Agarthi: Introduzione II
Il trio aspettò a scendere tra le strade, gli servivano abiti per mimetizzarsi; di certo non sarebbero passati inosservati con il loro solito abbigliamento.
<< Fammi indovinare… Argento ci ha dato degli abiti, vero?>> Chiese Sétanta. Non era il coltello più affilato nel cassetto, ma fin lì ci arrivava anche lui.
L’angelo annuì tirando fuori tre paia di vestiti nuovi perfettamente a tema datigli dal loro “capo”, probabilmente li aveva cuciti lui in persona.
E anche adesso nessuno dei due lo notò, solo Victor. Eppure gli sembrava così ovvio.
Ridacchiò tra sé e sé.
Se avevano solo una mappa imprecisa e aveva le informazioni frammentarie ricevute da madame Blavansky, come poteva conoscere i costumi di quel popolo?
Era dannatamente palese! Lui, o qualcuno per lui, era già stato lì poco tempo prima.
Non riusciva a capacitarsene, forse si fidavano inconsciamente di lui? No, non era questo.
… Oh, beh. Così era molto più divertente.
A Sétanta dispiacque togliersi il suo abito e dover nascondere quella magnifica, nuova, arma, ma per la causa questo e altro.
Probabilmente era la prima volta da molti anni che Semeyaza non indossava un completo sul lavoro. Aggiustò velocemente quella sottospecie di toga e indico la scalinata scolpita nella pietra vicino a loro, strano che ci fosse nonostante non si notassero segni di impronte di uomini. La conferma che non c’era nessuna ronda.
Si diressero verso la piazza del mercato, sembrava non dessero nell’occhio; interessante che pur isolati non si fossero sviluppate peculiarità uniche creando una diversa variante umana. L’ambiente simulava perfettamente quello esterno rendendo qualsiasi tipo di evoluzione inutile.
<< Tre pezzi! Tre pezzi soltanto per un abito!>> << Un pezzo per il bracciale!>> << Mezzo pezzo di ferro per una mela appena colta!>>
I venditori urlavano i vari prezzi della loro mercanzia a squarciagola, qui i “pezzi” erano la moneta di scambio… e secondo voi quel perfettino di Argento non li aveva riforniti del necessario? Avevano abbastanza denari per restare lì circa una settimana, Victor e Sétanta avevano molto più bisogno di un Angelo di riposare e nutrirsi. Non potevano sopravvivere senza i necessari nutrimenti.
<< Allora, quale sarebbe il piano?>>
<< Abbandoniamo la cosa di trovare un ufficiale per il momento, raccoglieremo informazioni dalle persone in ogni modo possibile.>> Rispose l’Angelo mentre rimuoveva le catene da Victor lasciandogli però il collare in modo da poter sopprimere parte dei suoi poteri.
Pianto un piede per terra con forza appena lo posò sull’ultimo dei gradini della scalinata.
Pianta della Comprensione: Armenia.
Si commesse velocemente ad ogni singola radice di pianta presente in 3 chilometri quadrati iniziando a sentire tutto quello che sentivano loro. Vibrazioni, suoni, temperatura, respiri.
Elaborò inconsciamente decine di migliaia di dati in meno di un minuto.
0,0004 secondi per essere esatti.
In 0,0002 secondi fu colpito in testa ad alta velocità da una roccia.
Sangue.
Davanti a tutti i presenti.
<< Semeyaza!>> Sétanta bloccò Victor per le braccia mentre ancora teneva in mano l’oggetto del delitto.
Le urla dei presenti, il confabulare e l’arrivare di un soldato.
<< Cosa succede?!>>
<< Un aggressione! quell’uomo ha aggredito quello a terra con un sasso!>>
Semeyaza si rialzò con calma, i danni non erano nulla di che ma doveva comunque fingersi realmente ferito. Ma perché Victor avrebbe fatto una cosa così stupida come aggredirlo?
Il collare si staccava solo inserendo il Craft suo o di Sétanta, non poteva precludersi a vita di usare il 100% delle sue abilità… a meno che…
<< Non intendo opporre resistenza.>> Commentò Victor porgendo i polsi per farsi ammanettare senza opporre resistenza. << Non prenderla sul personale, erano settimane che volevo farlo.>>
Fu trascinato via prima che potessero aggiungere qualcos’altro. Era stata una cose tremendamente veloce.
E fuori dallo stile di Victor.
<< Cosa diamine gli è preso?>> Il biondo aiutò l’altro a rimettersi in piedi.
<< Quel figlio di puttana è un genio.>> Rispose l’altro. << Ora potrà ottenere informazioni dalla prigione e dalle guardie e farle trasmetterle tramite le piante. Un modo certo per farmi avere i dati da elaborare.>> Si toccò la testa macchiandosi la mano di sangue. Il trauma cranico si era già rigenerato e non sentiva nemmeno dolore, però non si aspettava che Victor potesse raggiungere una velocità tale da anticipare i suoi sensi di pericolo da tranquillo. << Ma sono abbastanza certo che ci abbia preso gusto a colpirmi.>>
Victor si sedette sulla branda di legno, lo avevano rinchiuso in una cella sotterranea, ma non aveva intenzione di restarci troppo. Già stare all’ospedale psichiatrico gli era bastato ampiamente.
Argento gli aveva chiesto di mettere in pratica una missione segreta che non poteva affidare agli altri due, serviva qualcuno senza la cosiddetta “morale”.
Frugò in uno dei suoi stivali alla ricerca di ciò che gli aveva affidato l’uomo: una fiala con dentro qualcosa di vagamente simile ad un osso umano e delle istruzioni piuttosto semplici. Doveva solo scavar una buca, aprire la boccetta, svuotarne il contenuto e poi ricoprire il buco.
Avrebbe fatto tutto tranne il finale, voleva vedere cosa sarebbe successo con i suoi occhietti.
Buttata nella piccola buca scavata nel pavimento in terriccio, lo pseudo-osso cominciò a muoversi come fosse un lombrico nella terra.
<< Oh capisco, adesso.>> Sogghignò. << Cappuccetto Rosso, eh?>
<< Fammi indovinare… Argento ci ha dato degli abiti, vero?>> Chiese Sétanta. Non era il coltello più affilato nel cassetto, ma fin lì ci arrivava anche lui.
L’angelo annuì tirando fuori tre paia di vestiti nuovi perfettamente a tema datigli dal loro “capo”, probabilmente li aveva cuciti lui in persona.
E anche adesso nessuno dei due lo notò, solo Victor. Eppure gli sembrava così ovvio.
Ridacchiò tra sé e sé.
Se avevano solo una mappa imprecisa e aveva le informazioni frammentarie ricevute da madame Blavansky, come poteva conoscere i costumi di quel popolo?
Era dannatamente palese! Lui, o qualcuno per lui, era già stato lì poco tempo prima.
Non riusciva a capacitarsene, forse si fidavano inconsciamente di lui? No, non era questo.
… Oh, beh. Così era molto più divertente.
A Sétanta dispiacque togliersi il suo abito e dover nascondere quella magnifica, nuova, arma, ma per la causa questo e altro.
Probabilmente era la prima volta da molti anni che Semeyaza non indossava un completo sul lavoro. Aggiustò velocemente quella sottospecie di toga e indico la scalinata scolpita nella pietra vicino a loro, strano che ci fosse nonostante non si notassero segni di impronte di uomini. La conferma che non c’era nessuna ronda.
Si diressero verso la piazza del mercato, sembrava non dessero nell’occhio; interessante che pur isolati non si fossero sviluppate peculiarità uniche creando una diversa variante umana. L’ambiente simulava perfettamente quello esterno rendendo qualsiasi tipo di evoluzione inutile.
<< Tre pezzi! Tre pezzi soltanto per un abito!>> << Un pezzo per il bracciale!>> << Mezzo pezzo di ferro per una mela appena colta!>>
I venditori urlavano i vari prezzi della loro mercanzia a squarciagola, qui i “pezzi” erano la moneta di scambio… e secondo voi quel perfettino di Argento non li aveva riforniti del necessario? Avevano abbastanza denari per restare lì circa una settimana, Victor e Sétanta avevano molto più bisogno di un Angelo di riposare e nutrirsi. Non potevano sopravvivere senza i necessari nutrimenti.
<< Allora, quale sarebbe il piano?>>
<< Abbandoniamo la cosa di trovare un ufficiale per il momento, raccoglieremo informazioni dalle persone in ogni modo possibile.>> Rispose l’Angelo mentre rimuoveva le catene da Victor lasciandogli però il collare in modo da poter sopprimere parte dei suoi poteri.
Pianto un piede per terra con forza appena lo posò sull’ultimo dei gradini della scalinata.
Pianta della Comprensione: Armenia.
Si commesse velocemente ad ogni singola radice di pianta presente in 3 chilometri quadrati iniziando a sentire tutto quello che sentivano loro. Vibrazioni, suoni, temperatura, respiri.
Elaborò inconsciamente decine di migliaia di dati in meno di un minuto.
0,0004 secondi per essere esatti.
In 0,0002 secondi fu colpito in testa ad alta velocità da una roccia.
Sangue.
Davanti a tutti i presenti.
<< Semeyaza!>> Sétanta bloccò Victor per le braccia mentre ancora teneva in mano l’oggetto del delitto.
Le urla dei presenti, il confabulare e l’arrivare di un soldato.
<< Cosa succede?!>>
<< Un aggressione! quell’uomo ha aggredito quello a terra con un sasso!>>
Semeyaza si rialzò con calma, i danni non erano nulla di che ma doveva comunque fingersi realmente ferito. Ma perché Victor avrebbe fatto una cosa così stupida come aggredirlo?
Il collare si staccava solo inserendo il Craft suo o di Sétanta, non poteva precludersi a vita di usare il 100% delle sue abilità… a meno che…
<< Non intendo opporre resistenza.>> Commentò Victor porgendo i polsi per farsi ammanettare senza opporre resistenza. << Non prenderla sul personale, erano settimane che volevo farlo.>>
Fu trascinato via prima che potessero aggiungere qualcos’altro. Era stata una cose tremendamente veloce.
E fuori dallo stile di Victor.
<< Cosa diamine gli è preso?>> Il biondo aiutò l’altro a rimettersi in piedi.
<< Quel figlio di puttana è un genio.>> Rispose l’altro. << Ora potrà ottenere informazioni dalla prigione e dalle guardie e farle trasmetterle tramite le piante. Un modo certo per farmi avere i dati da elaborare.>> Si toccò la testa macchiandosi la mano di sangue. Il trauma cranico si era già rigenerato e non sentiva nemmeno dolore, però non si aspettava che Victor potesse raggiungere una velocità tale da anticipare i suoi sensi di pericolo da tranquillo. << Ma sono abbastanza certo che ci abbia preso gusto a colpirmi.>>
Victor si sedette sulla branda di legno, lo avevano rinchiuso in una cella sotterranea, ma non aveva intenzione di restarci troppo. Già stare all’ospedale psichiatrico gli era bastato ampiamente.
Argento gli aveva chiesto di mettere in pratica una missione segreta che non poteva affidare agli altri due, serviva qualcuno senza la cosiddetta “morale”.
Frugò in uno dei suoi stivali alla ricerca di ciò che gli aveva affidato l’uomo: una fiala con dentro qualcosa di vagamente simile ad un osso umano e delle istruzioni piuttosto semplici. Doveva solo scavar una buca, aprire la boccetta, svuotarne il contenuto e poi ricoprire il buco.
Avrebbe fatto tutto tranne il finale, voleva vedere cosa sarebbe successo con i suoi occhietti.
Buttata nella piccola buca scavata nel pavimento in terriccio, lo pseudo-osso cominciò a muoversi come fosse un lombrico nella terra.
<< Oh capisco, adesso.>> Sogghignò. << Cappuccetto Rosso, eh?>
Agarthi: Introduzione
Sétanta si sfregò le mani coperte dai guanti di lana, non si aspettava che avrebbe fatto così freddo.
<< Semeyaza, come fai a non indossare nessun cappotto? Sto morendo con la pelle di orso dalle zanne arcuate!>>
L’angelo si voltò lasciando che il piede che stava portando avanti affondasse nella neve ancora fresca.
<< Sono un Grigori, il mio corpo è stato creato per resistere e per adattarsi, mi bastano circa dieci decimi di secondo perché il mio organismo possa sopravvivere ad un nuovo ambiente.>>
Era stata una delle idee più geniali che le divinità avessero mai avuto, senza contare che, in quanto leader dei Grigori, il suo occhio più chiaro era in grado di percepire il pericolo più vicino. Sì, lo penso anche io, un potere piuttosto esagerato.
D’altro canto mettiamola così: i Grigori erano preposti al controllo dell'evoluzione degli esseri umani, conoscere i pericoli e resistere ad ogni ambiente era il minimo.
<< Comunque… dove si trova l’ingresso per questo “paradiso”?>>
<< L’ingresso per Agarthi dovrebbe essere vicino.>> Rispose tirando fuori dalla tasca una mappa che sembrava fatta velocemente. << Capelli d’Argento poteva prendersi dieci minuti per fare una mappa migliore. Sétanta, Victor come sta?>>
Il biondo scosse una catena tirando l’uomo all’altro capo verso di lui, lo avevano bloccato per i polsi e lo tenevano legato per la gola come fosse un cane al guinzaglio. Non si potevano fidare di lui.
Semeyaza si era procurato una lega speciale di adamas e oricalco rosso atlantideo, era abbastanza potente da resistere ad ogni arma e se usato per forgiare catene permetteva di sopprimere buona parte del Craft del carcerato.
Visto che ne aveva avuta la possibilità, aveva chiesto a Batraal, suo sottoposto ed esperto di forgiatura, di creare armi di grandi dimensioni per il barbaro compagno. Ben presto Sétanta si ritrovò tra le mani uno spadone da far invidia a qualsiasi grande guerriero da mischia.
Resistente persino ad una cannonata e leggero come un coltello. Perfetto.
<< Un po’ troppo rude, papino!>> Victor si avvicinò quando tirarono il guinzaglio senza troppa delicatezza, non la meritava. << Comunque fa freddo anche a me, chi vorrebbe vivere in una montagna innevata?>>
<< Il Monte Everest è solo l’entrata diretta, ci sarebbe voluto troppo tempo tramite il Monte Epomeo o le Cascate dell’iguazù. Argento ha ottenuto le informazioni grazie alla sua corrispondenza con Helena Blavansky .>>
L’Angelo per un secondo si chiese quante persone avesse approcciato nella sua vita per avere tutta quella roba nascosta.
Semeyaza si guardò un po’ in giro cercando di capire il posto giusto dove scavare, doveva trovare, secondo la mappa, una specie di grossa pietra vagamente segnata da solchi; almeno non erano nel bel mezzo di una bufera e nessun alpinista li aveva interrotti.
<< Ehi, Batman e Robin.>> Victor li chiamò. << L’ho trovata.>> Disse indicando con la lingua verso sinistra.
Il blu si avvicinò e, sorprendentemente, era vero. Il grosso masso era parzialmente coperto dalla neve, ma era lì.
Analizzò i tratti, ma sembrava solo un’opera artistica fatta in due minuti, nessun significato apparente. Una semplice indicazione o un rudimentale cartello stradale.
<< Sétanta, dammi la catena, tu pensa scavare.>>
Il biondo si illuminò, i lavori manuali erano il suo pane quotidiano, poteva vantarsi della sua stamina… in altre parole era un tipo tutto muscoli e poco cervello (tra i muscoli contiamo anche il suo cuore, il classico stereotipo del gigante buono).
Si mise in ginocchio, rimosse i guanti e cominciò a scavare a mani nude, come se il freddo di cui si lamentava poco prima non esistesse più. La velocità di spalatura era spaventosa, in poco aveva liberato la via sotterranea, fino ad un’istante prima bloccata dalla neve.
Una persona normale si chiederebbe, giustamente, come sia possibile che con tutte le esplorazioni partite per il monte Everest nessuna abbia mai potuto notate la presenza di un passaggio. Presto detto: nessuna persona che non sia in grado di usare il Craft può vederlo.
È come un trucchetto, potrebbero spalare via la neve e trovarci solo del terreno bagnato e freddo. È una semplice magia, la potete imparare su un qualsiasi libro.
<< Ora dobbiamo metterci a quattro zampe e gattonare? Con questa catena qualcuno si potrebbe fare una brutta idea.>> Victor ridacchiò, ma lo ignorarono. Era sorprendente come si ci poteva abituare velocemente ad un pazzo.
Uno alla volta cominciarono ad entrare; per primo Semeyaza, al centro Victor e dietro Sétanta. Preferivano evitare il rischio che un certo albino potesse attaccare entrambi alle spalle.
<< Comunque cosa sarebbe esattamente questa Agarthi?>> Chiese il biondo. Se lo stava chiedendo da un pezzo.
Semeyaza fece un profondo respiro, perché lui e Lucifero non leggevano mai documenti?
<< Agarthi è un antico mito che narra dell’esistenza di un mondo al centro della Terra governato dal prossimo leader del pianeta sotto una nazione unica dando inizio ad un’età d’oro. Secondo Helena Blavatsky, sulla quale noi basiamo le nostre informazioni, sarebbe stata fondata da alcuni sopravvissuti dal disastro di Lemuria… e qui casca Victor.>> Commentò l’Angelo senza girarsi. << Secondo le mie ricerche potrebbe essere una situazione simile a quella accaduta a Ys con Avalon o persino la stessa cosa.>>
<< In poche Agarthi potrebbe essere una colonia della mia gente, eh?>> Chiese retorico. << E io che credevo amaste la mia compagnia.>>
<< Dovremo basarci sulla loro religione. I discendenti di Ys sono gli unici che nei tempi moderni venerano ancora il Dodicesimo Dio.>>
L’avanzata durò circa venti minuti prima di potersi finalmente rimettere in piedi, la caverna finale era abbastanza grande e persino illuminata naturalmente.
L’angelo fu sorpreso e si diresse subito ad osservare i muri, non credeva che avrebbe visto delle piante di quel tipo in quel Mondo.
Bioluminescenza naturale. Sapeva, grazie a Cedric, che gli scienziati di compagnie come la sua avevano iniziato a modificare il DNA di alcuni esemplari tramite l'inserimento di geni di animali come le lucciole in modo che facessero luce, ma qui si trattava di evoluzione spontanea per adattarsi ad un ambiente scuro.
Affascinante.
Semeyaza strappò una fogliolina facendo attenzione a non danneggiare il resto, poi, velocemente la fece ricrescere sul suo braccio.
Usare una torcia elettrica o far far luce a Sétanta tramite la sua abilità avrebbe potuto creare dei problemi, invece con quello strano vegetale sarebbe stato più facile evitare che qualche animale capisse subito la loro presenza.
<< Una volta che siamo lì cosa facciamo? Parliamo con il loro capo o cosa?>>
<< Faremo in modo di incontrare un loro ufficiale o simili, non credo potremmo incontrare il loro sovrano. Non penso che fingersi ambasciatori del mondo esterno possa funzionare in qualche modo.>>
Semeyaza aveva analizzato la situazione in modo analitico, doveva sempre tenere conto che avrebbero potuto trovarsi davanti animali e piante sconosciute e presenti solo in quel preciso ecosistema e, sopratutto, di fare attenzione a Victor.
Per quanto al momento fosse definibile come alleato era pur sempre un omicida senza nessuna morale o rimorso, solo poche settimane prima aveva strappato l’intestino a Sétanta e l’aveva usato come una bella sciarpa.
Proseguirono per la caverna lentamente, era strano non vedere nessun soldato di guardia; la logica avrebbe portato a lasciarne, almeno per sicurezza, almeno un paio. Forse Agarthi non aveva un esercito? No, impossibile. Ogni paese ben organizzato ne possedeva uno, seppur per autodifesa.
Quindi… c’era qualcos’altro?
Mentre continuava a riflettere finalmente giunsero alla fine di quella grotta, una piccola luce li abbagliò negli occhi.
Quando la vista dell’angelo, quella più veloce ad adattarsi, glielo permise, poté osservare la bellezza di quella capitale sotterranea. Non si aspettava un simile panorama.
Gli ricordava i primi palazzi che gli umani avevano iniziato a costruire agli albori delle grandi civiltà organizzate, ma in una versione più ricercata. Non usavano pietre, ma palesi mattoni di un materiale che a prima vista non riusciva a comprendere, erano come verniciate per non permetterne l’identificazione, come a voler nascondere qualcosa.
La maggior parte dei tetti erano piatti, non c’era nessun bisogno di liberarsi di una pioggia che non c’è mai; probabilmente per le verdure facevano in modo di indurre le piogge artificialmente dentro qualche serra. Solo i palazzi più grandi avevano un qualcosa di simile ad una cupola sulla cima, forse erano depositi o templi religiosi.
Il soffitto era illuminato da una pianta simile a quelle trovate sui muri, ma in versione molto più grande che illuminava tutto con una luce gialla. Una specie di surrogato del sole? Avrebbe avuto senso, difficilmente una specie di evolve in modo avanzato senza una fonte ostante di luce. Ma da dove prendeva i nutrimenti? Per quelle dimensioni aveva bisogno di molti di essi.
Infine, con un po’ di attenzione poteva benissimo notare un qualcosa, nell’area centrale simile ad un mercato in corso.
<< Piano B. Si va a fare acquisti.>>
Victor si guardò alle spalle, sembrava che gli altri non lo avessero notato. Eppure li reputava decisamente intelligenti; forse era il suo istinto di assassino che lo aveva portato a sopravvivere tutti quegli anni a farglielo vedere.
Erano usciti senza problemi dalla grotta in pochi minuti… senza imboccare strade sbagliate. Sembrava che per gli altri due nemmeno esistessero, come se ci fossero già stati in passato, una specie di strano déjà vu che li portava sulla giusta via.
Sorrise sornione sotto i baffi.
Lui di certo non gli avrebbe detto nulla, ma una piccola idea di cosa fosse successo se la fece.
<< Ahhh sta andando tutto davvero bene.>>
<< Semeyaza, come fai a non indossare nessun cappotto? Sto morendo con la pelle di orso dalle zanne arcuate!>>
L’angelo si voltò lasciando che il piede che stava portando avanti affondasse nella neve ancora fresca.
<< Sono un Grigori, il mio corpo è stato creato per resistere e per adattarsi, mi bastano circa dieci decimi di secondo perché il mio organismo possa sopravvivere ad un nuovo ambiente.>>
Era stata una delle idee più geniali che le divinità avessero mai avuto, senza contare che, in quanto leader dei Grigori, il suo occhio più chiaro era in grado di percepire il pericolo più vicino. Sì, lo penso anche io, un potere piuttosto esagerato.
D’altro canto mettiamola così: i Grigori erano preposti al controllo dell'evoluzione degli esseri umani, conoscere i pericoli e resistere ad ogni ambiente era il minimo.
<< Comunque… dove si trova l’ingresso per questo “paradiso”?>>
<< L’ingresso per Agarthi dovrebbe essere vicino.>> Rispose tirando fuori dalla tasca una mappa che sembrava fatta velocemente. << Capelli d’Argento poteva prendersi dieci minuti per fare una mappa migliore. Sétanta, Victor come sta?>>
Il biondo scosse una catena tirando l’uomo all’altro capo verso di lui, lo avevano bloccato per i polsi e lo tenevano legato per la gola come fosse un cane al guinzaglio. Non si potevano fidare di lui.
Semeyaza si era procurato una lega speciale di adamas e oricalco rosso atlantideo, era abbastanza potente da resistere ad ogni arma e se usato per forgiare catene permetteva di sopprimere buona parte del Craft del carcerato.
Visto che ne aveva avuta la possibilità, aveva chiesto a Batraal, suo sottoposto ed esperto di forgiatura, di creare armi di grandi dimensioni per il barbaro compagno. Ben presto Sétanta si ritrovò tra le mani uno spadone da far invidia a qualsiasi grande guerriero da mischia.
Resistente persino ad una cannonata e leggero come un coltello. Perfetto.
<< Un po’ troppo rude, papino!>> Victor si avvicinò quando tirarono il guinzaglio senza troppa delicatezza, non la meritava. << Comunque fa freddo anche a me, chi vorrebbe vivere in una montagna innevata?>>
<< Il Monte Everest è solo l’entrata diretta, ci sarebbe voluto troppo tempo tramite il Monte Epomeo o le Cascate dell’iguazù. Argento ha ottenuto le informazioni grazie alla sua corrispondenza con Helena Blavansky .>>
L’Angelo per un secondo si chiese quante persone avesse approcciato nella sua vita per avere tutta quella roba nascosta.
Semeyaza si guardò un po’ in giro cercando di capire il posto giusto dove scavare, doveva trovare, secondo la mappa, una specie di grossa pietra vagamente segnata da solchi; almeno non erano nel bel mezzo di una bufera e nessun alpinista li aveva interrotti.
<< Ehi, Batman e Robin.>> Victor li chiamò. << L’ho trovata.>> Disse indicando con la lingua verso sinistra.
Il blu si avvicinò e, sorprendentemente, era vero. Il grosso masso era parzialmente coperto dalla neve, ma era lì.
Analizzò i tratti, ma sembrava solo un’opera artistica fatta in due minuti, nessun significato apparente. Una semplice indicazione o un rudimentale cartello stradale.
<< Sétanta, dammi la catena, tu pensa scavare.>>
Il biondo si illuminò, i lavori manuali erano il suo pane quotidiano, poteva vantarsi della sua stamina… in altre parole era un tipo tutto muscoli e poco cervello (tra i muscoli contiamo anche il suo cuore, il classico stereotipo del gigante buono).
Si mise in ginocchio, rimosse i guanti e cominciò a scavare a mani nude, come se il freddo di cui si lamentava poco prima non esistesse più. La velocità di spalatura era spaventosa, in poco aveva liberato la via sotterranea, fino ad un’istante prima bloccata dalla neve.
Una persona normale si chiederebbe, giustamente, come sia possibile che con tutte le esplorazioni partite per il monte Everest nessuna abbia mai potuto notate la presenza di un passaggio. Presto detto: nessuna persona che non sia in grado di usare il Craft può vederlo.
È come un trucchetto, potrebbero spalare via la neve e trovarci solo del terreno bagnato e freddo. È una semplice magia, la potete imparare su un qualsiasi libro.
<< Ora dobbiamo metterci a quattro zampe e gattonare? Con questa catena qualcuno si potrebbe fare una brutta idea.>> Victor ridacchiò, ma lo ignorarono. Era sorprendente come si ci poteva abituare velocemente ad un pazzo.
Uno alla volta cominciarono ad entrare; per primo Semeyaza, al centro Victor e dietro Sétanta. Preferivano evitare il rischio che un certo albino potesse attaccare entrambi alle spalle.
<< Comunque cosa sarebbe esattamente questa Agarthi?>> Chiese il biondo. Se lo stava chiedendo da un pezzo.
Semeyaza fece un profondo respiro, perché lui e Lucifero non leggevano mai documenti?
<< Agarthi è un antico mito che narra dell’esistenza di un mondo al centro della Terra governato dal prossimo leader del pianeta sotto una nazione unica dando inizio ad un’età d’oro. Secondo Helena Blavatsky, sulla quale noi basiamo le nostre informazioni, sarebbe stata fondata da alcuni sopravvissuti dal disastro di Lemuria… e qui casca Victor.>> Commentò l’Angelo senza girarsi. << Secondo le mie ricerche potrebbe essere una situazione simile a quella accaduta a Ys con Avalon o persino la stessa cosa.>>
<< In poche Agarthi potrebbe essere una colonia della mia gente, eh?>> Chiese retorico. << E io che credevo amaste la mia compagnia.>>
<< Dovremo basarci sulla loro religione. I discendenti di Ys sono gli unici che nei tempi moderni venerano ancora il Dodicesimo Dio.>>
L’avanzata durò circa venti minuti prima di potersi finalmente rimettere in piedi, la caverna finale era abbastanza grande e persino illuminata naturalmente.
L’angelo fu sorpreso e si diresse subito ad osservare i muri, non credeva che avrebbe visto delle piante di quel tipo in quel Mondo.
Bioluminescenza naturale. Sapeva, grazie a Cedric, che gli scienziati di compagnie come la sua avevano iniziato a modificare il DNA di alcuni esemplari tramite l'inserimento di geni di animali come le lucciole in modo che facessero luce, ma qui si trattava di evoluzione spontanea per adattarsi ad un ambiente scuro.
Affascinante.
Semeyaza strappò una fogliolina facendo attenzione a non danneggiare il resto, poi, velocemente la fece ricrescere sul suo braccio.
Usare una torcia elettrica o far far luce a Sétanta tramite la sua abilità avrebbe potuto creare dei problemi, invece con quello strano vegetale sarebbe stato più facile evitare che qualche animale capisse subito la loro presenza.
<< Una volta che siamo lì cosa facciamo? Parliamo con il loro capo o cosa?>>
<< Faremo in modo di incontrare un loro ufficiale o simili, non credo potremmo incontrare il loro sovrano. Non penso che fingersi ambasciatori del mondo esterno possa funzionare in qualche modo.>>
Semeyaza aveva analizzato la situazione in modo analitico, doveva sempre tenere conto che avrebbero potuto trovarsi davanti animali e piante sconosciute e presenti solo in quel preciso ecosistema e, sopratutto, di fare attenzione a Victor.
Per quanto al momento fosse definibile come alleato era pur sempre un omicida senza nessuna morale o rimorso, solo poche settimane prima aveva strappato l’intestino a Sétanta e l’aveva usato come una bella sciarpa.
Proseguirono per la caverna lentamente, era strano non vedere nessun soldato di guardia; la logica avrebbe portato a lasciarne, almeno per sicurezza, almeno un paio. Forse Agarthi non aveva un esercito? No, impossibile. Ogni paese ben organizzato ne possedeva uno, seppur per autodifesa.
Quindi… c’era qualcos’altro?
Mentre continuava a riflettere finalmente giunsero alla fine di quella grotta, una piccola luce li abbagliò negli occhi.
Quando la vista dell’angelo, quella più veloce ad adattarsi, glielo permise, poté osservare la bellezza di quella capitale sotterranea. Non si aspettava un simile panorama.
Gli ricordava i primi palazzi che gli umani avevano iniziato a costruire agli albori delle grandi civiltà organizzate, ma in una versione più ricercata. Non usavano pietre, ma palesi mattoni di un materiale che a prima vista non riusciva a comprendere, erano come verniciate per non permetterne l’identificazione, come a voler nascondere qualcosa.
La maggior parte dei tetti erano piatti, non c’era nessun bisogno di liberarsi di una pioggia che non c’è mai; probabilmente per le verdure facevano in modo di indurre le piogge artificialmente dentro qualche serra. Solo i palazzi più grandi avevano un qualcosa di simile ad una cupola sulla cima, forse erano depositi o templi religiosi.
Il soffitto era illuminato da una pianta simile a quelle trovate sui muri, ma in versione molto più grande che illuminava tutto con una luce gialla. Una specie di surrogato del sole? Avrebbe avuto senso, difficilmente una specie di evolve in modo avanzato senza una fonte ostante di luce. Ma da dove prendeva i nutrimenti? Per quelle dimensioni aveva bisogno di molti di essi.
Infine, con un po’ di attenzione poteva benissimo notare un qualcosa, nell’area centrale simile ad un mercato in corso.
<< Piano B. Si va a fare acquisti.>>
Victor si guardò alle spalle, sembrava che gli altri non lo avessero notato. Eppure li reputava decisamente intelligenti; forse era il suo istinto di assassino che lo aveva portato a sopravvivere tutti quegli anni a farglielo vedere.
Erano usciti senza problemi dalla grotta in pochi minuti… senza imboccare strade sbagliate. Sembrava che per gli altri due nemmeno esistessero, come se ci fossero già stati in passato, una specie di strano déjà vu che li portava sulla giusta via.
Sorrise sornione sotto i baffi.
Lui di certo non gli avrebbe detto nulla, ma una piccola idea di cosa fosse successo se la fece.
<< Ahhh sta andando tutto davvero bene.>>
Capitolo Dodicesimo: Nyahm Merzhin - Atto II
Non riuscì a fare a meno di cancellare completamente la pagina appena scritta sul computer, non andava bene come risultato.
Faceva a dir poco schifo.
Erano giorni che era bloccato su quello schermo, aveva terminato il lavoro per il suo editore in poco tempo ma quello era qualcosa di diverso.
Gli era stato chiesto di scrivere un libro di favole basandosi su alcune leggende che gli erano state scritte minuziosamente, di adattarle in modo che potessero apparire come amichevoli e inserire le parole in un sistema di cifratura in modo che desse termini che tradotti donassero il linguaggio divino.
Lui era solo un povero scrittore! Come poteva fare qualcosa del genere?!
L’Atbash poteva essere un’idea, era abbastanza vecchio seppur semplice. Quello di Vernam era più complesso, ma avrebbe dovuto cambiare la chiave di criptazione ad ogni singola pagina. Quello di Hill si basava sulla matematica e non aveva speranze di capirlo, figuriamoci usarlo.
Gli stava esplodendo la testa, chiuso in quella stanza senza poter uscire.
La porta non era chiusa a chiave e nessuna persona pericolosa lo bloccata ne qualcuno gli avrebbe sparato a vista. Semplicemente se non avesse terminato velocemente quel libro, avrebbe potuto essere la causa di un piccolo Armageddon.
Una responsabilità di niente.
Aveva dato una rilettura ad ogni singola opera che aveva nella sua stanza, da fumetti ai romanzi, aveva persino utilizzato il suo potere sino allo sfinimento per leggere pseudobiblia che gli sarebbero potuti essere utili.
<< Invero sei ancora all’inizio?>>
<< Senta, non è così facile come sembra.>>
<< Eppure noto che avete prodotto molta immondizia a tema.>> Concluse notando alcuni libri di dubbio livello su vampiri.
Sospirò, era già insopportabile quando si mostrava solo come voce nella sua testa, figuriamoci di persona.
Per quanto potesse definire in tal modo un essere semitrasparente sui due metri e passa. Pensò seriamente che fosse una fortuna che potesse vederlo solo lui, quel dannato perizoma, o fundoshi come preferivano definirlo alcuni, sarebbe stato un colpo di grazia alla sua immagine pubblica.
“Autore di libri per bambini, trovato con straniero seminudo in stanza. Sua nonna afferma: non usciva da giorni.”
Grandioso.
Già era nei guai, quando si presento per leggere in una libreria le sue favole tutti i bambini, e anche qualche madre, scoppiarono in lacrime alla sua visione. Quanto aspetti un autore per bambini, non puoi non immaginarti la classica dolce vecchia signora, magari con un paio di occhiali spessi quanto un fondo di bottiglia e con la borsetta piena di caramelle.
Peccato che Nyamh Merzhin fosse un uomo i cui tatuaggi partissero dal collo per finire al tallone e metà dei capelli rasati quasi a zero. La barbetta ispida non aiutava.
Un po’ la cosa lo feriva, lui non era cattivo.
<< Senta, Sapiente tra i Sapienti… per chi deve essere questo testo esattamente?>>
<< … Il Viandante. Credo.>>
<< … Crede?>> Domandò alzando un sopracciglio e spingendo all’indietro la sedia. << Lei non è tipo onnisciente?>>
<< Stolto. Solo uno stupido può credere di essere tale!>> Gli rispose senza mezzi termini. << L’ultima volta che il mio popolo credeva di esserlo si è concluso tutto con il suo massacro. La maggior parte di noi è morta.>>
<< Sì, lo so. Ho letto. E lei li ha traditi.>>
<< Non sono autodistruttivo, se vedo un appiglio lo afferro.>>
<< Non ha provato nulla a tradire la sua gente?>>
<< … No.>> Portò una mano sotto il mento, era una domanda che richiedeva una spiegazione esauriente. << Molti credono che noi non proviamo assolutamente emozioni. Questo è un errore. Semplicemente il nostro cervello in genere non rilascia le sostanze addette in un numero tale da generare qualcosa. In alcuni rari casi, complice l’istinto di sopravvivenza, sviluppiamo estremi e a lungo andare le sostanze si adattano completamente all’organismo. È semplice biologia.>>
Meritava quasi un applauso per la sua lezione, ma non lo fece.
Lo aveva cacciato in un brutto guaio con la scrittura di quel libro; certo, gli aveva salvato la vita quando pensò di suicidarsi, ma gli aveva decisamente rovinato il resto della vita.
<< Forza, umano, lo scorrere delle ore avanza.>>
Poggiò nuovamente i piedi a terra, gli aveva già detto che era difficile. Non doveva mettergli fretta!
<< Senti, se non ti andavo bene potevi benissimo scegliere un altro al posto mio.>> Cambiò il tuo tono.
<< “Scelto”? Cosa ti fa credere che, se ne avessi avuta la facoltà, avrei scelto te?>> Chiese retorico. Il suo sguardo, già glaciale come una notte nel deserto, si fece più stretto quasi volesse ucciderlo. << Nyamh Merzhin, 33 anni, single. Mai avuta una relazione. Non hai avuto il coraggio di entrare in un’accademia d’arte e hai ripiegato su un’università statale. Hai abbandonato il corso prima di laurearti. Hai trovato lavoro come scrittore, ma hai sfondato solo tra i bambini. Tremendo per un autore di formazione lovecratiana. Sin da bambino, dal punto di vista degli adulti, tu eri un “fallimento”, colui che non era nemmeno n grado di imparare una nozione matematica di base. Ora vivi con tuta nonna e cerchi di aiutare con part-time vari. Guadagni quanto un barbone. Probabilmente troverai il tuo scopo nella vita diventando concime e cibo per veri. Perché qualcuno dovrebbe sceglierti, quando nemmeno tu sceglieresti di essere te?>>
Ogni singola parola era vera.
Ognuna.
Senza il minimo errore.
Aveva vissuto una vita di merda ed inutile e quando aveva realizzato il suo sogno pubblicando un libro “diverso”… beh, non molti lo lessero.
Osannato dai critici, ma ripudiato dagli altri.
Chi leggerebbe un libro senza lieto fine? Un libro dove l’amore non prevale sull’odio, dove il male non viene punito e il bene non viene premiato, dove il principe la principessa non si sposano, dove Dio viene rinnegato e il demonio di turno lodato.
“Un libro che andrebbe solo bruciato” gli scrissero in un messaggio online.
“ Ammazzati.” “Cambia lavoro.” “Fai schifo.”
Erano tutte persone e associazioni di spiccata moralità.
Quando ottenne quel potere, la possibilità di leggere qualsiasi libro scritto o immaginato, credette di essere speciale, di essere diverso, che qualcuno, per una volta, lo avesse scelto.
Invece era solo un caso.
Il Sapiente non gli disse che una versione “malriuscita” di quel libro esisteva già, scritto da un altro Nyamh Merzhin secoli prima.
Un autore di favole inutile come lui. Un patetico.
Non fu pietà, solo non aveva bisogno di distruggerlo psicologicamente.
Se fosse morto avrebbe dovuto attendere la sua reincarnazione e non aveva tempo.
<< Scrivi.>>
<< … Qualcuno è mai stato scelto?>>
L’entità rimase in silenzio, poi, estraendo qualcosa di simile a uno forma spettrale da uno dei tanti volumi nella libreria inizio a sfogliarlo.
<< Non capisco, davvero è così importante? Guarda questi volumi che voi tanto amate, parlano tanti di prescelti, di eletti, è così interessante essere il prescelt...>>
<< Ti ho fatto una domanda!>> Gli urlò contro. Non gli interessavano stupidi paragoni con fumetti o libri.
In un caso normale avrebbe fatto in modo che morisse sul posto, in un modo o nell’altro, ma questa volta si trattava di un’eccezione. Era stato lui a portarlo in quello stato.
Avrebbe mostrato misericordia.
<< Sì. Per citare il solo Gran Galà: un miliardario senza muscoli ma con un’eccelsa mente, un uomo tutto muscoli eppur dotato di grande eroismo, due esseri celesti in cerca di un qualcosa, un serial killer in preda al delirio… tutti predestinati.>>
Per un secondo lo scrittore si rabbuiò, quindi i predestinati esistevano sul serio.
Gli eletti.
E lui non era uno di loro.
Prese in mano la tastiera e cominciò a scrivere, quasi posseduto da un qualcosa.
<< Noi stiamo aiutando quei prescelti, giusto?>>
Il Sapiente si avvicinò al lato della sedia per vederne la faccia. << Sì.>>
<< Senza di noi falliranno.>>
<< Esatto.>>
Oh. trovò la sua espressione una bella sorpresa.
Sembrava posseduto mentre scriveva, era in preda ad una pazzia e disperazione.
E sorrideva.
Sorrideva al limite del sadico mordendosi il labbro sino a sanguinare. Dai suoi occhi sembrava colare qualcosa di nero, si trattava di una controindicazione del suo potere?
<< Non sarebbe un capolavoro un’opera dove un vero fallito diventa il salvatore degli eroi?!>>
<< … Sarebbe la massima forma d’arte.>>
Nome: Nyahm Merzhin
Craft: The Despair plays the “Game of Life” - Scribe of Evil God.
Faceva a dir poco schifo.
Erano giorni che era bloccato su quello schermo, aveva terminato il lavoro per il suo editore in poco tempo ma quello era qualcosa di diverso.
Gli era stato chiesto di scrivere un libro di favole basandosi su alcune leggende che gli erano state scritte minuziosamente, di adattarle in modo che potessero apparire come amichevoli e inserire le parole in un sistema di cifratura in modo che desse termini che tradotti donassero il linguaggio divino.
Lui era solo un povero scrittore! Come poteva fare qualcosa del genere?!
L’Atbash poteva essere un’idea, era abbastanza vecchio seppur semplice. Quello di Vernam era più complesso, ma avrebbe dovuto cambiare la chiave di criptazione ad ogni singola pagina. Quello di Hill si basava sulla matematica e non aveva speranze di capirlo, figuriamoci usarlo.
Gli stava esplodendo la testa, chiuso in quella stanza senza poter uscire.
La porta non era chiusa a chiave e nessuna persona pericolosa lo bloccata ne qualcuno gli avrebbe sparato a vista. Semplicemente se non avesse terminato velocemente quel libro, avrebbe potuto essere la causa di un piccolo Armageddon.
Una responsabilità di niente.
Aveva dato una rilettura ad ogni singola opera che aveva nella sua stanza, da fumetti ai romanzi, aveva persino utilizzato il suo potere sino allo sfinimento per leggere pseudobiblia che gli sarebbero potuti essere utili.
<< Invero sei ancora all’inizio?>>
<< Senta, non è così facile come sembra.>>
<< Eppure noto che avete prodotto molta immondizia a tema.>> Concluse notando alcuni libri di dubbio livello su vampiri.
Sospirò, era già insopportabile quando si mostrava solo come voce nella sua testa, figuriamoci di persona.
Per quanto potesse definire in tal modo un essere semitrasparente sui due metri e passa. Pensò seriamente che fosse una fortuna che potesse vederlo solo lui, quel dannato perizoma, o fundoshi come preferivano definirlo alcuni, sarebbe stato un colpo di grazia alla sua immagine pubblica.
“Autore di libri per bambini, trovato con straniero seminudo in stanza. Sua nonna afferma: non usciva da giorni.”
Grandioso.
Già era nei guai, quando si presento per leggere in una libreria le sue favole tutti i bambini, e anche qualche madre, scoppiarono in lacrime alla sua visione. Quanto aspetti un autore per bambini, non puoi non immaginarti la classica dolce vecchia signora, magari con un paio di occhiali spessi quanto un fondo di bottiglia e con la borsetta piena di caramelle.
Peccato che Nyamh Merzhin fosse un uomo i cui tatuaggi partissero dal collo per finire al tallone e metà dei capelli rasati quasi a zero. La barbetta ispida non aiutava.
Un po’ la cosa lo feriva, lui non era cattivo.
<< Senta, Sapiente tra i Sapienti… per chi deve essere questo testo esattamente?>>
<< … Il Viandante. Credo.>>
<< … Crede?>> Domandò alzando un sopracciglio e spingendo all’indietro la sedia. << Lei non è tipo onnisciente?>>
<< Stolto. Solo uno stupido può credere di essere tale!>> Gli rispose senza mezzi termini. << L’ultima volta che il mio popolo credeva di esserlo si è concluso tutto con il suo massacro. La maggior parte di noi è morta.>>
<< Sì, lo so. Ho letto. E lei li ha traditi.>>
<< Non sono autodistruttivo, se vedo un appiglio lo afferro.>>
<< Non ha provato nulla a tradire la sua gente?>>
<< … No.>> Portò una mano sotto il mento, era una domanda che richiedeva una spiegazione esauriente. << Molti credono che noi non proviamo assolutamente emozioni. Questo è un errore. Semplicemente il nostro cervello in genere non rilascia le sostanze addette in un numero tale da generare qualcosa. In alcuni rari casi, complice l’istinto di sopravvivenza, sviluppiamo estremi e a lungo andare le sostanze si adattano completamente all’organismo. È semplice biologia.>>
Meritava quasi un applauso per la sua lezione, ma non lo fece.
Lo aveva cacciato in un brutto guaio con la scrittura di quel libro; certo, gli aveva salvato la vita quando pensò di suicidarsi, ma gli aveva decisamente rovinato il resto della vita.
<< Forza, umano, lo scorrere delle ore avanza.>>
Poggiò nuovamente i piedi a terra, gli aveva già detto che era difficile. Non doveva mettergli fretta!
<< Senti, se non ti andavo bene potevi benissimo scegliere un altro al posto mio.>> Cambiò il tuo tono.
<< “Scelto”? Cosa ti fa credere che, se ne avessi avuta la facoltà, avrei scelto te?>> Chiese retorico. Il suo sguardo, già glaciale come una notte nel deserto, si fece più stretto quasi volesse ucciderlo. << Nyamh Merzhin, 33 anni, single. Mai avuta una relazione. Non hai avuto il coraggio di entrare in un’accademia d’arte e hai ripiegato su un’università statale. Hai abbandonato il corso prima di laurearti. Hai trovato lavoro come scrittore, ma hai sfondato solo tra i bambini. Tremendo per un autore di formazione lovecratiana. Sin da bambino, dal punto di vista degli adulti, tu eri un “fallimento”, colui che non era nemmeno n grado di imparare una nozione matematica di base. Ora vivi con tuta nonna e cerchi di aiutare con part-time vari. Guadagni quanto un barbone. Probabilmente troverai il tuo scopo nella vita diventando concime e cibo per veri. Perché qualcuno dovrebbe sceglierti, quando nemmeno tu sceglieresti di essere te?>>
Ogni singola parola era vera.
Ognuna.
Senza il minimo errore.
Aveva vissuto una vita di merda ed inutile e quando aveva realizzato il suo sogno pubblicando un libro “diverso”… beh, non molti lo lessero.
Osannato dai critici, ma ripudiato dagli altri.
Chi leggerebbe un libro senza lieto fine? Un libro dove l’amore non prevale sull’odio, dove il male non viene punito e il bene non viene premiato, dove il principe la principessa non si sposano, dove Dio viene rinnegato e il demonio di turno lodato.
“Un libro che andrebbe solo bruciato” gli scrissero in un messaggio online.
“ Ammazzati.” “Cambia lavoro.” “Fai schifo.”
Erano tutte persone e associazioni di spiccata moralità.
Quando ottenne quel potere, la possibilità di leggere qualsiasi libro scritto o immaginato, credette di essere speciale, di essere diverso, che qualcuno, per una volta, lo avesse scelto.
Invece era solo un caso.
Il Sapiente non gli disse che una versione “malriuscita” di quel libro esisteva già, scritto da un altro Nyamh Merzhin secoli prima.
Un autore di favole inutile come lui. Un patetico.
Non fu pietà, solo non aveva bisogno di distruggerlo psicologicamente.
Se fosse morto avrebbe dovuto attendere la sua reincarnazione e non aveva tempo.
<< Scrivi.>>
<< … Qualcuno è mai stato scelto?>>
L’entità rimase in silenzio, poi, estraendo qualcosa di simile a uno forma spettrale da uno dei tanti volumi nella libreria inizio a sfogliarlo.
<< Non capisco, davvero è così importante? Guarda questi volumi che voi tanto amate, parlano tanti di prescelti, di eletti, è così interessante essere il prescelt...>>
<< Ti ho fatto una domanda!>> Gli urlò contro. Non gli interessavano stupidi paragoni con fumetti o libri.
In un caso normale avrebbe fatto in modo che morisse sul posto, in un modo o nell’altro, ma questa volta si trattava di un’eccezione. Era stato lui a portarlo in quello stato.
Avrebbe mostrato misericordia.
<< Sì. Per citare il solo Gran Galà: un miliardario senza muscoli ma con un’eccelsa mente, un uomo tutto muscoli eppur dotato di grande eroismo, due esseri celesti in cerca di un qualcosa, un serial killer in preda al delirio… tutti predestinati.>>
Per un secondo lo scrittore si rabbuiò, quindi i predestinati esistevano sul serio.
Gli eletti.
E lui non era uno di loro.
Prese in mano la tastiera e cominciò a scrivere, quasi posseduto da un qualcosa.
<< Noi stiamo aiutando quei prescelti, giusto?>>
Il Sapiente si avvicinò al lato della sedia per vederne la faccia. << Sì.>>
<< Senza di noi falliranno.>>
<< Esatto.>>
Oh. trovò la sua espressione una bella sorpresa.
Sembrava posseduto mentre scriveva, era in preda ad una pazzia e disperazione.
E sorrideva.
Sorrideva al limite del sadico mordendosi il labbro sino a sanguinare. Dai suoi occhi sembrava colare qualcosa di nero, si trattava di una controindicazione del suo potere?
<< Non sarebbe un capolavoro un’opera dove un vero fallito diventa il salvatore degli eroi?!>>
<< … Sarebbe la massima forma d’arte.>>
Nome: Nyahm Merzhin
Craft: The Despair plays the “Game of Life” - Scribe of Evil God.
Capitolo Undicesimo: Betzalel
Atterrò sul pavimento senza fare troppo caso che facesse rumore, non aveva nessun motivo per nascondere la propria presenza; l’essere stato annunciato o meno non era un problema. Al massimo una questione di buona creanza.
Svolgeva raramente il suo lavoro, era forse l’angelo che aveva più tempo libero tra tutti. L’ultima volta che era sceso in campo era stato per cavare un occhio a Tempo e non ci volle molto, la divinità gli offri volentieri l’occhio e i mezzi per estrarlo.
Tipo strano quel dio, ma simpatico. Teneva stretto tra le braccia un bambino mortale prima di iniziare al procedura.
Squadrò con un rapido gesto del capo il luogo per trovare il palazzo di Esistenza, il poter usare un solo occhio, il destro, limitava solo apparentemente il suo campo visivo.
Probabilmente nascondere occhi e volto è una moda o, più probabilmente, c’è un motivo dietro. Ovviamente io lo so e ancora più ovviamente non ve lo dico, altrimenti perderei buona parte del divertimento.
<< Chi sei? Cosa ci fai su pianeta di Sua Eccellenza Esistenza?>>
Il Metatron lo fermò a vista, ma non riuscì a riconoscerlo nemmeno facendo uno sforzo di memoria. Eppure… era certo di aver memorizzato le informazioni su ogni singolo essere alle dipendenze delle divinità. La divisa era di una tipologia alternativa, tipica di un angelo che gode di libertà decisionale, ma non aveva mai visto una divisa nera, di norma erano bianche anche per gente del calibro di Gabriel e Tabris. Il viso, di carnagione scura, era incupito da quella fasciatura simil turbante che nascondeva la parte destra del volto lasciando spuntare qua e là qualche ciuffo di capelli nero.
Facendo più attenzione avrebbe potuto, e forse avrebbe dovuto per il suo bene, notare che sui bottoni dorati risultava inciso un simbolo con incredibile precisione.
Non aveva tatuaggi semplici, quindi non era di origine mortale.
Non aveva tatuaggi complessi o un’aureola, quindi non era un membro dell’Ordine Angelico.
Il viso era pulito, ma visto il suo abbigliamento non poteva essere un Angelo semplice.
<< Identificati!>>
<< Betzalel.>> Rispose semplicemente. Nessuna ragione di mentire o nasconderlo. Non era un segreto.
<< Non ho mai sentito questo nome. Per chi lavori? Fato? Commedia? Eri forse agli ordini di Tradimento?>>
Come se Tradimento avesse mai avuto degli angeli a servirlo, tutti sapevano che a sua città-pianeta era vuota.
Betzalel era in dubbio se spiegargli o meno chi fosse in realtà, ma anche se lo avesse fatto non avrebbe avuto importanza. Nessuno si ricordava mai di lui, probabilmente il suo prossimo compito lo avrebbe ricevuto quando il biondino sarebbe andato in pensione o fosse morto.
Si limitò a scrollare la testa per togliersi quei pensieri.
<< Devo parlare con Esistenza.>> Affermò con calma, poi tirò fuori da una tasca una lettera nera consegnandogliela con un lancio rapido.
L’altro la prese al volo. Una lettera nera? Sapeva che qualche divinità consegnava lettere per dare i suoi ordini, ma mai lettere nere.
Quando vide il sigillo in ceralacca, lo stesso sui bottoni che non aveva notato, trasalì.
Un groppo alla gola, come se lo stesso strangolando, lo bloccò sul posto.
La testa di un agnello con lingua di drago. Il sigillo del Falso Profeta.
Il sigillo del Dio supremo Eternità.
<< C… come fai ad averla? E perché è nera?>> Non ebbe il coraggio di aprirla.
<< Ho ricevuto un ordine, nulla di più. Devo, semplicemente, punire Esistenza. Al mio signore non è piaciuto quello che avete cercato di fare a Ari Cheshire e ad Androktasiai… a pensarci bene anche tu sei complice e dovresti ricevere una punizione.>> Notò facendo mente locale sulla situazione. << Almeno la tua sarà una pena più blanda, tranquillo.>>
SI avvicinò con calma, come se fosse una cosa naturale. Non doveva prenderla a male, era solo il suo lavoro.
Alzò la mano e… uno schiaffetto sulla faccia.
Ora immaginate la scena al rallentatore, come si fa nei film: la mano colpisce la guancia destra, la pelle si sposta ondeggiando, l’occhio si copre un po’ e il Metatron vola letteralmente fuori dall’atmosfera.
Betzalel lo guardò volare via con un po’ di sorpresa, visto che era l’angelo personale di Esistenza credeva avrebbe retto un colpo simile… ora sappiamo tutti che si sbagliava alla grande. Avrebbe dovuto passare meno tempo davanti allo specchio o un po’ di più in palestra.
Scrollò le spalle e si diresse verso la porta, la trovò decisamente troppo grande per l’altezza media di una divinità; solitamente nelle loro forme umane raggiungevano solitamente i due metri e venti e la porta superava di dieci.
“Complesso di superiorità” pensò. Aveva visitato la dimora di Tempo e la sua casa era proporzionata alla sua persona, ma si trattava di due figure molto diverse.
Aveva letto i documenti che Tabris e Gabriel tenevano nell’archivio prima di recarsi al lavoro e non nascose di essere dubbioso: non era la prima volta che Esistenza metteva in pratica atti poco consoni al figlio del Dio Supremo.
Sino a quel momento era stato accettato, Eternità era a conoscenza che in ogni caso Tempo lo avrebbe punito o che Fato, con la scusa di portargli informazioni, avrebbe fatto in modo di sondare le sue intenzioni, ma qui era finito in un campo a cui non doveva nemmeno avvicinarsi.
Tentare di uccidere sua nipote e un suo amico.
Eternità non era mai stato presente nella sua famiglia, volente o nolente, non poteva.
Forse se il figlio era finito in quel modo era anche colpa sua, lo aveva generato troppo presto.
<< Non ho recuperato il documento... tanto ne ho un’altra.>>
Questo è essere preparati!
Si rimise in moto raggiungendo il corridoio, anche i soffitti erano altissimi e tutto di un fastidioso color metallico. Aveva estirpato ogni singola pianta dal suo pianeta per sostituirle con mero metallo.
Non era decisamente il suo genere, lui a casa aveva persino un coniglietto domestico.
<< Esistenza, si trova qui?>>
Un raggio di luce si infranse dinanzi a lui, era davvero un caso fortuito che avesse usato un incantesimo di difesa prima di entrare. Quel colpo lo avrebbe ucciso sul posto.
Davvero. Molto. Fortuito.
Troppo.
<< Lo prenderò per un sì.>> Avrebbe preferito si facesse vedere e basta, ma non voleva. << Sono Betzalel, inviato di vostro padre. Ho qui una lettera con tutte le informazioni.>>
Fu incenerita anche quella e non ne aveva una terza.
La cosa iniziava a farsi fastidiosa.
<< Signore, se non esce dovrò ricorrere alle maniere forti. Sono autorizzato da suo padre.>>
Le pareti si chiusero velocemente attorno a lui come in una morsa, ormai era ovvio che muoveva tutto il pianeta quasi fosse parte del suo corpo. Un potere comune tra le divinità.
Aprì la morsa, erano pur sempre di metallo comune per quanto resistente, un qualsiasi angelo abbastanza allenato poteva romperle.
Portò la mano destra dianzi a sé e, chiudendo piano le dita, tirò fuori un uomo nudo e calvo dal dentro il muro portante.
Non aveva genitali e non possedeva il pudore di coprirsi la zona pubica, nessun imbarazzo per nessuno.
Il dio non riusciva a capacitarsi di come avesse fatto ad estrarlo, si era fuso a livello molecolare con il suo stesso pianeta! Non era una cosa che un angelo qualsiasi poteva fare!
<< Mi ripresento sono Betzalel.>> Si lanciò contro rompendogli il naso, l’attrito dato dalla velocità fu tale da bruciargli la maglia leggera della divisa che portava.
Atterrato si mise in posizione come un pugile pronto a scagliare un altro colpo.
Dal naso di Esistenza colò del sangue, questa era un’altra cosa di cui non si capacitava.
<< Sangue? Io sono un Dio, sono puro concetto. Non posso sanguinare.>> Poi realizzò. << Oh, capisco… tu sei il “Punitore” inviato da mio padre.>>
<< Era tutto nella lettera. Io sono Betzalel, il “Punitore di Dei”, Angelo dell’Ombra al servizio di Sua Eccellenza Eternità.>> Mosse il pugno in aria colpendolo nuovamente, ma stavolta sfruttando lo spostamento dell’aria. Un dente saltato. << Suo padre mi ha ordinato di punirla. Tentare di causare la morte di due divinità per il proprio ego è un crimine che meriterebbe la pena capitale, ma nella sua grande misericordia mi ha ordinato solo di pestarla un po’ a sangue senza che terzi ne vengano a conoscenza.>>
In questi termini gli andava anche bene. Se Tempo, Morte e Fato lo avessero scoperto non se la sarebbe cavata in quel modo.
Ecco, ora facciamo uno spiegone: Esistenza è una merda.
Decisamente non è il tipo di persona con cui vorreste passare un pomeriggio, il suo ideale è un mondo immutabile, statico, che non cambia mai, fermo in un esatto momento nel tempo con lui a capo.
Non gli importava nulla della sua famiglia, non aveva amici e l’unico motivo per cui aveva Metatron al suo fianco fu per il suo piano per far cadere Lucifero dallo status di membro dell’Ordine Angelico.
Feccia tra la feccia.
Il suo scopo era uccidere Androktasiai, sua nipote peraltro, e Ari per impedirli loro di divenire, un giorno, Grandi Dei e potergli forse usurpare il trono. Sentite puzza di Chrono con Zeus?
E ora la parte divertente: Esistenza è meno potente di quanto lui stesso creda.
E in quel momento lo avrebbe capito. Preparatevi, perché ora si ride.
Esistenza rigenerò il dente e il setto nasale, sembrava che almeno quello non potesse impedirlo con il suo potere.
Materializzò nella mano Divide Et Impera, la sua Rappresentante.
Era solito lasciare quel fioretto nelle abili mani del suo sottoposto angelico, ma, quando lo desiderava, poteva evocarla per utilizzarla in battaglia.
Una Rappresentante, un’arma che si dice abbia una potenza superiore ad una bomba atomica, pericolosa persino per un Dio.
Con un singolo fendente l’abbatté sopra la testa dell’avversario.
La fermò.
Stretta nella sua di mano, teneva fermamente stretta una macuahuitl. Era sorprendente come una semplice arma potesse fermare una Rappresentante.
Lo rilanciò via con forza.
<< Una spada comune in grado di fermare una Rappresentante?! Cosa diamine… capisco. L’ha forgiata Fato, vero? È come quelle Spade Leggendarie! Excalibur o Gioiosa!>> Gli urlò contro.
Complimenti, aveva fatto gridare e infuriare un dio che per eoni era stato calmo come una pozzanghera.
Lo aveva umiliato.
<< No, è una semplice macuahuitl fatta con una lega speciale di oricalco azzurro al posto dell’ossidiana e un’impugnatura in quintessenza. Certo, è stata forgiata da dio Fato, ma non è più affilata di un’arma divina di grado SSS.>> Alzò lo sguardo dalla lama a verso il nemico. << Ma se lei sta venendo sconfitto è solo merito del mio potere.>>
Il braccio del dio saltò, e con esso la sua spada.
Beltzalel, Angelo dell’Ombra.
Il suo potere Craft è “Contra omnia divina potestate”. Ogni potere divino che si abbatte su di lui quando il suo Craft è attivo viene annullato, tale potere si attiva anche sugli oggetti che tocca.
Per dirla in parole più semplici, se attacca un dio il suo corpo diventa di carne e sangue, se combatte una Rappresentante essa diventa un’arma di livello estremamente alto ma senza alcun potere divino.
Un angelo nato appositamente per punire le divinità.
Un angelo abbastanza abile da tenere testa a un guerriero addestrato e abbastanza forte da tener testa ad un gigante.
E fedele con tutto il suo cuore al Dio Supremo.
<< Aspetta! Dimmelo! Hai ucciso tu Giustizia e gli altri?!>> Non era preoccupazione per i caduti, ma per sé stesso. Aveva paura di unirsi a loro in qualsiasi luogo fossero finiti.
Codardia pura.
<< Ora accetti la sua punizione e basta… Amiir Taruah.>>
Uscì dalla dimora facendo sparire la sua arma, era stato un lavoro fastidioso. Un dio stupido e disgustoso.
Sorrise, gli piaceva fare una buona azione e punire i cattivi.
Come un supereroe.
Lo aveva lasciato urlante e dolorante, gli sarebbe servita almeno qualche ora prima di guarire del tutto.
Aveva chiesto se era stato lui a uccidere Tradimento, Coraggio e Giustizia… questo significava che lui era fuori dalla lista degli indagati, eh? Aveva tolto Vita, troppo pigra per impugnare un’arma, e i gemelli Commedia e Tragedia, troppo deboli.
Restavano: Morte, Fato e Tempo, tutte persone di spiccato buon nome. Oh sì, po c’era il Dodicesimo ma non poteva scappare dalla sua prigione.
Quindi… un membro dell’Ordine Angelico? Possedevano Benedizioni donate da Eternità, con un po’ di impegno, gente del calibro di Tabris, poteva far fuori un dio. Sopratutto con una Spada Leggendaria adatta.
L’Uomo Nero era anche nella sua lista, ma qualcosa non gli tornava, perché non affermarlo apertamente? Per lui sarebbe stato un successo di cui vantarsi, medesima cosa per Akheilos e i suoi.
Oh giusto. Realizzò.
<< Resta anche l’Ebreo Errante, l’Uomo dai Capelli d’Argento. L’uomo mai reincarnato...>> Alzò gli occhi al cielo. << Oh beh, ci arriveremo prima o poi. >>
Si trattò la testa e poi notarlo. Si era dimenticato di indossarlo.
Estrasse dalla sua tasca dei pantaloni un orecchino a perla e lo indossò.
Era un regalo prezioso.
Svolgeva raramente il suo lavoro, era forse l’angelo che aveva più tempo libero tra tutti. L’ultima volta che era sceso in campo era stato per cavare un occhio a Tempo e non ci volle molto, la divinità gli offri volentieri l’occhio e i mezzi per estrarlo.
Tipo strano quel dio, ma simpatico. Teneva stretto tra le braccia un bambino mortale prima di iniziare al procedura.
Squadrò con un rapido gesto del capo il luogo per trovare il palazzo di Esistenza, il poter usare un solo occhio, il destro, limitava solo apparentemente il suo campo visivo.
Probabilmente nascondere occhi e volto è una moda o, più probabilmente, c’è un motivo dietro. Ovviamente io lo so e ancora più ovviamente non ve lo dico, altrimenti perderei buona parte del divertimento.
<< Chi sei? Cosa ci fai su pianeta di Sua Eccellenza Esistenza?>>
Il Metatron lo fermò a vista, ma non riuscì a riconoscerlo nemmeno facendo uno sforzo di memoria. Eppure… era certo di aver memorizzato le informazioni su ogni singolo essere alle dipendenze delle divinità. La divisa era di una tipologia alternativa, tipica di un angelo che gode di libertà decisionale, ma non aveva mai visto una divisa nera, di norma erano bianche anche per gente del calibro di Gabriel e Tabris. Il viso, di carnagione scura, era incupito da quella fasciatura simil turbante che nascondeva la parte destra del volto lasciando spuntare qua e là qualche ciuffo di capelli nero.
Facendo più attenzione avrebbe potuto, e forse avrebbe dovuto per il suo bene, notare che sui bottoni dorati risultava inciso un simbolo con incredibile precisione.
Non aveva tatuaggi semplici, quindi non era di origine mortale.
Non aveva tatuaggi complessi o un’aureola, quindi non era un membro dell’Ordine Angelico.
Il viso era pulito, ma visto il suo abbigliamento non poteva essere un Angelo semplice.
<< Identificati!>>
<< Betzalel.>> Rispose semplicemente. Nessuna ragione di mentire o nasconderlo. Non era un segreto.
<< Non ho mai sentito questo nome. Per chi lavori? Fato? Commedia? Eri forse agli ordini di Tradimento?>>
Come se Tradimento avesse mai avuto degli angeli a servirlo, tutti sapevano che a sua città-pianeta era vuota.
Betzalel era in dubbio se spiegargli o meno chi fosse in realtà, ma anche se lo avesse fatto non avrebbe avuto importanza. Nessuno si ricordava mai di lui, probabilmente il suo prossimo compito lo avrebbe ricevuto quando il biondino sarebbe andato in pensione o fosse morto.
Si limitò a scrollare la testa per togliersi quei pensieri.
<< Devo parlare con Esistenza.>> Affermò con calma, poi tirò fuori da una tasca una lettera nera consegnandogliela con un lancio rapido.
L’altro la prese al volo. Una lettera nera? Sapeva che qualche divinità consegnava lettere per dare i suoi ordini, ma mai lettere nere.
Quando vide il sigillo in ceralacca, lo stesso sui bottoni che non aveva notato, trasalì.
Un groppo alla gola, come se lo stesso strangolando, lo bloccò sul posto.
La testa di un agnello con lingua di drago. Il sigillo del Falso Profeta.
Il sigillo del Dio supremo Eternità.
<< C… come fai ad averla? E perché è nera?>> Non ebbe il coraggio di aprirla.
<< Ho ricevuto un ordine, nulla di più. Devo, semplicemente, punire Esistenza. Al mio signore non è piaciuto quello che avete cercato di fare a Ari Cheshire e ad Androktasiai… a pensarci bene anche tu sei complice e dovresti ricevere una punizione.>> Notò facendo mente locale sulla situazione. << Almeno la tua sarà una pena più blanda, tranquillo.>>
SI avvicinò con calma, come se fosse una cosa naturale. Non doveva prenderla a male, era solo il suo lavoro.
Alzò la mano e… uno schiaffetto sulla faccia.
Ora immaginate la scena al rallentatore, come si fa nei film: la mano colpisce la guancia destra, la pelle si sposta ondeggiando, l’occhio si copre un po’ e il Metatron vola letteralmente fuori dall’atmosfera.
Betzalel lo guardò volare via con un po’ di sorpresa, visto che era l’angelo personale di Esistenza credeva avrebbe retto un colpo simile… ora sappiamo tutti che si sbagliava alla grande. Avrebbe dovuto passare meno tempo davanti allo specchio o un po’ di più in palestra.
Scrollò le spalle e si diresse verso la porta, la trovò decisamente troppo grande per l’altezza media di una divinità; solitamente nelle loro forme umane raggiungevano solitamente i due metri e venti e la porta superava di dieci.
“Complesso di superiorità” pensò. Aveva visitato la dimora di Tempo e la sua casa era proporzionata alla sua persona, ma si trattava di due figure molto diverse.
Aveva letto i documenti che Tabris e Gabriel tenevano nell’archivio prima di recarsi al lavoro e non nascose di essere dubbioso: non era la prima volta che Esistenza metteva in pratica atti poco consoni al figlio del Dio Supremo.
Sino a quel momento era stato accettato, Eternità era a conoscenza che in ogni caso Tempo lo avrebbe punito o che Fato, con la scusa di portargli informazioni, avrebbe fatto in modo di sondare le sue intenzioni, ma qui era finito in un campo a cui non doveva nemmeno avvicinarsi.
Tentare di uccidere sua nipote e un suo amico.
Eternità non era mai stato presente nella sua famiglia, volente o nolente, non poteva.
Forse se il figlio era finito in quel modo era anche colpa sua, lo aveva generato troppo presto.
<< Non ho recuperato il documento... tanto ne ho un’altra.>>
Questo è essere preparati!
Si rimise in moto raggiungendo il corridoio, anche i soffitti erano altissimi e tutto di un fastidioso color metallico. Aveva estirpato ogni singola pianta dal suo pianeta per sostituirle con mero metallo.
Non era decisamente il suo genere, lui a casa aveva persino un coniglietto domestico.
<< Esistenza, si trova qui?>>
Un raggio di luce si infranse dinanzi a lui, era davvero un caso fortuito che avesse usato un incantesimo di difesa prima di entrare. Quel colpo lo avrebbe ucciso sul posto.
Davvero. Molto. Fortuito.
Troppo.
<< Lo prenderò per un sì.>> Avrebbe preferito si facesse vedere e basta, ma non voleva. << Sono Betzalel, inviato di vostro padre. Ho qui una lettera con tutte le informazioni.>>
Fu incenerita anche quella e non ne aveva una terza.
La cosa iniziava a farsi fastidiosa.
<< Signore, se non esce dovrò ricorrere alle maniere forti. Sono autorizzato da suo padre.>>
Le pareti si chiusero velocemente attorno a lui come in una morsa, ormai era ovvio che muoveva tutto il pianeta quasi fosse parte del suo corpo. Un potere comune tra le divinità.
Aprì la morsa, erano pur sempre di metallo comune per quanto resistente, un qualsiasi angelo abbastanza allenato poteva romperle.
Portò la mano destra dianzi a sé e, chiudendo piano le dita, tirò fuori un uomo nudo e calvo dal dentro il muro portante.
Non aveva genitali e non possedeva il pudore di coprirsi la zona pubica, nessun imbarazzo per nessuno.
Il dio non riusciva a capacitarsi di come avesse fatto ad estrarlo, si era fuso a livello molecolare con il suo stesso pianeta! Non era una cosa che un angelo qualsiasi poteva fare!
<< Mi ripresento sono Betzalel.>> Si lanciò contro rompendogli il naso, l’attrito dato dalla velocità fu tale da bruciargli la maglia leggera della divisa che portava.
Atterrato si mise in posizione come un pugile pronto a scagliare un altro colpo.
Dal naso di Esistenza colò del sangue, questa era un’altra cosa di cui non si capacitava.
<< Sangue? Io sono un Dio, sono puro concetto. Non posso sanguinare.>> Poi realizzò. << Oh, capisco… tu sei il “Punitore” inviato da mio padre.>>
<< Era tutto nella lettera. Io sono Betzalel, il “Punitore di Dei”, Angelo dell’Ombra al servizio di Sua Eccellenza Eternità.>> Mosse il pugno in aria colpendolo nuovamente, ma stavolta sfruttando lo spostamento dell’aria. Un dente saltato. << Suo padre mi ha ordinato di punirla. Tentare di causare la morte di due divinità per il proprio ego è un crimine che meriterebbe la pena capitale, ma nella sua grande misericordia mi ha ordinato solo di pestarla un po’ a sangue senza che terzi ne vengano a conoscenza.>>
In questi termini gli andava anche bene. Se Tempo, Morte e Fato lo avessero scoperto non se la sarebbe cavata in quel modo.
Ecco, ora facciamo uno spiegone: Esistenza è una merda.
Decisamente non è il tipo di persona con cui vorreste passare un pomeriggio, il suo ideale è un mondo immutabile, statico, che non cambia mai, fermo in un esatto momento nel tempo con lui a capo.
Non gli importava nulla della sua famiglia, non aveva amici e l’unico motivo per cui aveva Metatron al suo fianco fu per il suo piano per far cadere Lucifero dallo status di membro dell’Ordine Angelico.
Feccia tra la feccia.
Il suo scopo era uccidere Androktasiai, sua nipote peraltro, e Ari per impedirli loro di divenire, un giorno, Grandi Dei e potergli forse usurpare il trono. Sentite puzza di Chrono con Zeus?
E ora la parte divertente: Esistenza è meno potente di quanto lui stesso creda.
E in quel momento lo avrebbe capito. Preparatevi, perché ora si ride.
Esistenza rigenerò il dente e il setto nasale, sembrava che almeno quello non potesse impedirlo con il suo potere.
Materializzò nella mano Divide Et Impera, la sua Rappresentante.
Era solito lasciare quel fioretto nelle abili mani del suo sottoposto angelico, ma, quando lo desiderava, poteva evocarla per utilizzarla in battaglia.
Una Rappresentante, un’arma che si dice abbia una potenza superiore ad una bomba atomica, pericolosa persino per un Dio.
Con un singolo fendente l’abbatté sopra la testa dell’avversario.
La fermò.
Stretta nella sua di mano, teneva fermamente stretta una macuahuitl. Era sorprendente come una semplice arma potesse fermare una Rappresentante.
Lo rilanciò via con forza.
<< Una spada comune in grado di fermare una Rappresentante?! Cosa diamine… capisco. L’ha forgiata Fato, vero? È come quelle Spade Leggendarie! Excalibur o Gioiosa!>> Gli urlò contro.
Complimenti, aveva fatto gridare e infuriare un dio che per eoni era stato calmo come una pozzanghera.
Lo aveva umiliato.
<< No, è una semplice macuahuitl fatta con una lega speciale di oricalco azzurro al posto dell’ossidiana e un’impugnatura in quintessenza. Certo, è stata forgiata da dio Fato, ma non è più affilata di un’arma divina di grado SSS.>> Alzò lo sguardo dalla lama a verso il nemico. << Ma se lei sta venendo sconfitto è solo merito del mio potere.>>
Il braccio del dio saltò, e con esso la sua spada.
Beltzalel, Angelo dell’Ombra.
Il suo potere Craft è “Contra omnia divina potestate”. Ogni potere divino che si abbatte su di lui quando il suo Craft è attivo viene annullato, tale potere si attiva anche sugli oggetti che tocca.
Per dirla in parole più semplici, se attacca un dio il suo corpo diventa di carne e sangue, se combatte una Rappresentante essa diventa un’arma di livello estremamente alto ma senza alcun potere divino.
Un angelo nato appositamente per punire le divinità.
Un angelo abbastanza abile da tenere testa a un guerriero addestrato e abbastanza forte da tener testa ad un gigante.
E fedele con tutto il suo cuore al Dio Supremo.
<< Aspetta! Dimmelo! Hai ucciso tu Giustizia e gli altri?!>> Non era preoccupazione per i caduti, ma per sé stesso. Aveva paura di unirsi a loro in qualsiasi luogo fossero finiti.
Codardia pura.
<< Ora accetti la sua punizione e basta… Amiir Taruah.>>
Uscì dalla dimora facendo sparire la sua arma, era stato un lavoro fastidioso. Un dio stupido e disgustoso.
Sorrise, gli piaceva fare una buona azione e punire i cattivi.
Come un supereroe.
Lo aveva lasciato urlante e dolorante, gli sarebbe servita almeno qualche ora prima di guarire del tutto.
Aveva chiesto se era stato lui a uccidere Tradimento, Coraggio e Giustizia… questo significava che lui era fuori dalla lista degli indagati, eh? Aveva tolto Vita, troppo pigra per impugnare un’arma, e i gemelli Commedia e Tragedia, troppo deboli.
Restavano: Morte, Fato e Tempo, tutte persone di spiccato buon nome. Oh sì, po c’era il Dodicesimo ma non poteva scappare dalla sua prigione.
Quindi… un membro dell’Ordine Angelico? Possedevano Benedizioni donate da Eternità, con un po’ di impegno, gente del calibro di Tabris, poteva far fuori un dio. Sopratutto con una Spada Leggendaria adatta.
L’Uomo Nero era anche nella sua lista, ma qualcosa non gli tornava, perché non affermarlo apertamente? Per lui sarebbe stato un successo di cui vantarsi, medesima cosa per Akheilos e i suoi.
Oh giusto. Realizzò.
<< Resta anche l’Ebreo Errante, l’Uomo dai Capelli d’Argento. L’uomo mai reincarnato...>> Alzò gli occhi al cielo. << Oh beh, ci arriveremo prima o poi. >>
Si trattò la testa e poi notarlo. Si era dimenticato di indossarlo.
Estrasse dalla sua tasca dei pantaloni un orecchino a perla e lo indossò.
Era un regalo prezioso.
Capitolo Decimo: Lucifero contro Capelli d'Argento
Si attirava gli sguardi di odio di chiunque in quella stanza lo conoscesse anche solo per la sua fama di folle psicopatico. Di lui si raccontavano diverse storie, di come avesse ucciso i suoi stessi genitori o di come avesse avvelenato l’intero suo paese natale per puro e semplice sfizio.
Dal canto suo non smetteva di sorridere divertito per le loro facce, li trovava così facili da manipolare.
“Bello, bello!” Si ripeteva. “Giocherò con tutti voi.”
<< Argento, cosa ci fa Victor qui?>> Chiese Cedric mettendo una mano vicino alla tasca.
<< Ho invitato Victor a unirsi stabilmente al castello, Gilgamesh.>>
Victor scoppiò a ridere. << “Gilgamesh”? Che razza di nomignolo ti hanno affibbiato?>>
Delphi non smetteva di passare dal fissare un volto all’altro, era come trovarsi davanti a due Cedric, l’unica differenza tra i due stava nei capelli; se uno li aveva bianchi, l’altro li aveva di un color tendente all’ametista.
Questo e, beh, l’espressione sui loro visi.
<< Victor, puoi andare a riposare al terzo piano. Stanza numero sette a destra.>>
Victor passò accanto al cugino agitando le mani e piegando indietro la sua schiena verso i suoi cosiddetti compagni.
<< Okey dokey.>>
Rimasti da soli nella camera, prima che Cedric potesse dire qualcosa, Lucifero prese il suo posto. I suoi occhi grigio metallico erano furenti.
A grandi passi si avvicinò all’androgino fissandolo dal basso in alto, nonostante la differenza di altezza non mostrava la minima paura, muscoli e la determinazione compensavano ampiamente, e apparentemente, lo svantaggio.
La fama di Victor era giunta alle orecchie dell’Angelo Nero e non gli piaceva, sapeva benissimo cosa aveva fatto a Sétanta, di come avesse usato il suo intestino come una sciarpa per gioco rischiando di farlo morire per dissanguamento.
Non poteva permettere che qualcuno come lui si unisse alla loro famiglia. Era mettersi una serpe in seno.
<< Hai qualcosa da dirmi, Lucifero?>>
<< Eccome, Argento. Non voglio che quel… coso si avvicini a noi. Senza offesa, Gilly, so che è tuo cugino e tutto il resto, ma siamo tutti d’accordo che dovrebbe marcire divorato da qualche verme.>>
Tutti, ad eccezione di Delphi che non ne sapeva nulla, annuirono.
Se nel loro gruppo Argento era quella fastidiosa zia che a Natale regala i calzini sporchi, Victor era appena diventato quel parente al quale ai funerali dici sempre “la prossima volta tocca a te, eh?”.
L’uomo non sbatté le palpebre o cambiò espressione, si limitava a trattenere uno sbadiglio di noia. Davvero credeva gli interessasse minimamente la sua opinione?
Victor era utile alla causa.
Non gli importava quanta gente avesse ucciso, come lo aveva fatto o chi fossero. Gli esseri viventi muoiono ogni giorno per le motivazioni più svariate: assassinate, divorate, incidenti, malattia, età avanzata. L’unico motivo per cui l’omicidio è vietato è perché si tenta la cosiddetta convivenza pacifica.
Stupidaggini.
I crimini sono all’ordine del giorno, le leggi servono solo a limitarli al minimo.
Le vittime di Victor erano quel minimo.
<< “I demoni hanno fede, ma tremano”, eh?>> Chiese sarcastico mentre citava Dostoevskij. Non era un buon segno, proprio no. << Abbassa le intenzioni punitive e accetta il nostro alleato. Se dovesse crearvi problemi riferitemelo e basta. Siamo d’accordo?>>
Chiese, o meglio affermò velatamente, mentre gli passava accanto. Quei suoi fastidiosi capelli lunghi quasi finirono in faccia a Lucifero.
I tipi come lui lo facevano incazzare da morire, erano peggio di suo fratello Metatron.
Almeno lui aveva le palle di ammettere di essere uno stronzo epocale.
<< Non siamo d’accordo...>> Infiammò una mano. << … Manco per il cazzo!>>
Gli lanciò contro una palla di fuoco dritta verso la nuca; nessuno immaginava che se ne sarebbe uscito fuori con un attacco a sorpresa.
Diciamoci la verità in faccia, nessuno di loro può rivaleggiare con Capelli d’Argento. Punto. Stiamo parlando di una pers… no, persona non è forse il termine migliore per descriverlo, definiamolo entità. Parliamo di un‘entità in grado di uccidere un drago a sette teste semplicemente toccandolo con il suo indice.
Lucifero, per quanto fosse uno degli Angeli più potenti, non poteva nemmeno avvicinarsi al suo livello, era come se una rana cercasse di nuotare nel vasto oceano.
Sono conscio che uso spesso frasi del genere, ma qui si parla realmente di un altro livello.
Ora vi chiederete se Lucifero sia solo un povero idiota o se avesse un piano, la risposta vi sorprenderà: Lucifero aveva un piano.
Argento si limitò a spegnere la palla con la punta dell’indice destro, annullare un Craft non era nulla di che per lui. E di certo l’Angelo doveva saperlo.
Si ritrovò un pugno dritto in faccia, un pugno dato a mani nude sul suo bellissimo volto.
Nessun potere, nessun Craft o abilità, un dannatissimo, stupido, semplice pugno.
Solo un rivolo di sangue, che si fermò subito, scese da una narice. Sorprendente.
<< Lucifero… ha fatto un graffio ad Argento?>> Semeyaza sgranò gli occhi, era decisamente una delle cose più sconvolgenti che aveva visto da quando si era unito al loro gruppo.
<< Che dire? Complimenti, Lucifero, bel colpo.>> Constatò l’uomo senza smettere di sorridere. << Ma come si vuol dire… “Non conviene che il debole abbia la lingua audace”.>>
Si pulì con un fazzoletto di stoffa il rivolo di sangue e lo rimise nella tasca del cappotto pesante capotto di pelle nera.
Poi, fece una cosa che nessuno lo aveva ancora visto fare: si tolse il cappotto e il cappello a falde larghe che portava in ogni momento della giornata mostrando finalmente il suo fisico.
Era magro ma allo stesso atletico, come se avesse compresso tutte le fibre muscolari per non occupare troppo spazio, il petto era coperto da una canottiera aderente nera che lasciava scoperte le braccia; faceva a pugni con i capelli argentei da cui prendeva il nome.
<< Fiat iustitia et pereant mundus.>> Si lanciò contro il biondo sferrandogli un pugno da cui si difese con difficoltà col suo; sapeva che era veloce ma qui si andava sull’esagerato.
In ogni caso non era nulla di davvero grave, un semplice pugno come tanti. Lo pensò sino a quando non fissò il braccio colpito.
La pelle della mano si stava velocemente scomponendo lasciando spazio solo a ossa e muscoli pulsanti, poteva persino vedere le sue vene e arterie che trasportavano il sangue.
Quante dannate abilità possedeva Argento? Aveva sentito parlare di talentuosi individui in grado di usare di usare due tipi di Craft oltre al comune potenziamento fisico eppure nessuno che potesse fare una cosa del genere.
Il Craft era emettere all’esterno al propria anima e l’anima non si può cambiare o adattare. Si può evolvere ma ciò dipende da situazioni di vita estreme e si tratta comunque di qualcosa che non cambia troppo dal punto di partenza.
<< Ad bestias.>> Unì le mani come fossero la bocca di un qualche animale e da esse uscì una grossa mascella nera e fangosa, all’Angelo tornò immediatamente un brutto flashback del Drago dell’Apocalisse evocato da Iruel.
<< Lunghe pelli, ossa di morta. Blasfemo. Iracondo. Urlatore di bestemmie. Scaglia le tue mani impure verso Nostro Signore. Ars Goetia: Mastino dalle Tre Teste.>>
Una strana creatura simile a un cane gigante fece da scudo umano a Lucifero impedendo che venisse dilaniato; bastò questo singolo colpo per farlo scomparire in un latrato di dolore.
<< Ohi, Argento, non credi di star esagerando? Con le risse gli uomini solidificano le amicizie, ma stavi per ammazzarlo.>> Bael lo teneva puntato col braccio, pronto ad evocare un nuovo incantesimo offensivo.
Era rimasto in disparte, era l’ultimo arrivato e non se la sentiva di fare qualcosa senza comprendere se quella fosse o meno una cosa normale ma quando Delphi, spaventata, gli diede l’ordine di intervenire non poté tirarsi indietro.
Faceva parte del contratto.
<< Re dell’Inferno Bael, quello è davvero un bell’incantesimo. Nientepopodimeno che un incanto dell’Ars Goetia.>> Argento sorrise. << Ma ho sempre preferito altro: Pentacolo di Salomone.>>
Schioccò le dita e il demone, sorpreso, si ritrovò in ginocchio, incapace di fare qualsiasi cosa per via di quella luce giallastra che proveniva dal pavimento. Aveva invocato un Pentacolo di Controllo, uno dei pochi modi per fermare un Demone del Lemegeton facilmente, ma per prepararlo o evocarlo serviva un canto lungo e complesso e lui lo aveva attivano semplicemente scioccando le dita?
Solo Salomone, suo inventore, ne era in grado.
<< Chi è il prossimo a volersi fare avanti? Sétanta? Semeyaza? O forse tu Cedric? Dovreste sapere che odio i cani disobbedienti.>> Commentò tornando al suo solito tono di voce, quel tipo di voce che ti fa vibrare la schiena come se un coltello attraversasse ogni singolo vertebra.
Tanto bastò per annullare ogni loro voglia di combattere, nessuno riusciva nemmeno a pensare di fare una mossa.
Aveva annientato alcuni dei guerrieri più potenti del Multiverso solo con delle parole.
<< Bene, vedo che siamo di nuovo tutti amici.>> Concluse sarcastico. << Andremo d’accordo anche il nuovo arrivato, okay? >>
Riprese i suoi abiti dal pavimento e si allontano cancellando anche il cerchio magico da sotto i piedi di Bael lasciandoli soli. Era soddisfatto di non aver nemmeno estrarre Gioiosa dal suo fodero.
<< Porca troia!>> Lucifero imprecò mentre lentamente rigenerava la pelle del braccio, era un’azione terribilmente dolorosa, se non fosse stato un Angelo di alto grado si sarebbe dovuto rivolgere a un curatore.
<< Lucifero, stai bene?>> Domandò Delphi abbassandosi.
<< Non sto bene nemmeno per il cazzo! Sono ferito moralmente e fisicamente, che razza di poteri ha quello?>>
<< Perché non hai usato la tua Benedizione? Stavi nell’Ordine Angelico, no? O Eternità te l’ha sequestrata?>>
<< No, ho ancora “Stella del Mattino” ma per qualche motivo non si è attiva nemmeno quando ci ho provato, quel bastardo non solo cancella il Craft ma persino il potere che deriva direttamente dal Dio Creatore. Noi ci scherzavamo sopra, ma lui decisamente appartiene a qualcosa che è al pari dei Grandi Dei.>>
Bael annuì e prese la parola appoggiandosi a Sétanta, quel sigillo gli aveva divorato le energie. << Noi avevamo un termine per una creatura leggendaria simile a lui… anzi forse è stato creato proprio per lui: ‘Il.>>
Victor si era divertito ad osservarli giocare tra di loro come dei poveri idioti.
<< Sembra un posto divertente… chi potrei sgozzare per primo?>>
Argento entrò nella sua stanza, chiuso a chiave, e si sedette soddisfatto alla sua scrivania.
Sorrise soddisfatto, realmente soddisfatto.
<< Si ribellano a me… perfetto. Se possono ribellarsi contro di me, potranno ribellarsi anche contro l’Uomo Nero. Forza mortali, non tradite la fede che ho in voi.>>
Dal canto suo non smetteva di sorridere divertito per le loro facce, li trovava così facili da manipolare.
“Bello, bello!” Si ripeteva. “Giocherò con tutti voi.”
<< Argento, cosa ci fa Victor qui?>> Chiese Cedric mettendo una mano vicino alla tasca.
<< Ho invitato Victor a unirsi stabilmente al castello, Gilgamesh.>>
Victor scoppiò a ridere. << “Gilgamesh”? Che razza di nomignolo ti hanno affibbiato?>>
Delphi non smetteva di passare dal fissare un volto all’altro, era come trovarsi davanti a due Cedric, l’unica differenza tra i due stava nei capelli; se uno li aveva bianchi, l’altro li aveva di un color tendente all’ametista.
Questo e, beh, l’espressione sui loro visi.
<< Victor, puoi andare a riposare al terzo piano. Stanza numero sette a destra.>>
Victor passò accanto al cugino agitando le mani e piegando indietro la sua schiena verso i suoi cosiddetti compagni.
<< Okey dokey.>>
Rimasti da soli nella camera, prima che Cedric potesse dire qualcosa, Lucifero prese il suo posto. I suoi occhi grigio metallico erano furenti.
A grandi passi si avvicinò all’androgino fissandolo dal basso in alto, nonostante la differenza di altezza non mostrava la minima paura, muscoli e la determinazione compensavano ampiamente, e apparentemente, lo svantaggio.
La fama di Victor era giunta alle orecchie dell’Angelo Nero e non gli piaceva, sapeva benissimo cosa aveva fatto a Sétanta, di come avesse usato il suo intestino come una sciarpa per gioco rischiando di farlo morire per dissanguamento.
Non poteva permettere che qualcuno come lui si unisse alla loro famiglia. Era mettersi una serpe in seno.
<< Hai qualcosa da dirmi, Lucifero?>>
<< Eccome, Argento. Non voglio che quel… coso si avvicini a noi. Senza offesa, Gilly, so che è tuo cugino e tutto il resto, ma siamo tutti d’accordo che dovrebbe marcire divorato da qualche verme.>>
Tutti, ad eccezione di Delphi che non ne sapeva nulla, annuirono.
Se nel loro gruppo Argento era quella fastidiosa zia che a Natale regala i calzini sporchi, Victor era appena diventato quel parente al quale ai funerali dici sempre “la prossima volta tocca a te, eh?”.
L’uomo non sbatté le palpebre o cambiò espressione, si limitava a trattenere uno sbadiglio di noia. Davvero credeva gli interessasse minimamente la sua opinione?
Victor era utile alla causa.
Non gli importava quanta gente avesse ucciso, come lo aveva fatto o chi fossero. Gli esseri viventi muoiono ogni giorno per le motivazioni più svariate: assassinate, divorate, incidenti, malattia, età avanzata. L’unico motivo per cui l’omicidio è vietato è perché si tenta la cosiddetta convivenza pacifica.
Stupidaggini.
I crimini sono all’ordine del giorno, le leggi servono solo a limitarli al minimo.
Le vittime di Victor erano quel minimo.
<< “I demoni hanno fede, ma tremano”, eh?>> Chiese sarcastico mentre citava Dostoevskij. Non era un buon segno, proprio no. << Abbassa le intenzioni punitive e accetta il nostro alleato. Se dovesse crearvi problemi riferitemelo e basta. Siamo d’accordo?>>
Chiese, o meglio affermò velatamente, mentre gli passava accanto. Quei suoi fastidiosi capelli lunghi quasi finirono in faccia a Lucifero.
I tipi come lui lo facevano incazzare da morire, erano peggio di suo fratello Metatron.
Almeno lui aveva le palle di ammettere di essere uno stronzo epocale.
<< Non siamo d’accordo...>> Infiammò una mano. << … Manco per il cazzo!>>
Gli lanciò contro una palla di fuoco dritta verso la nuca; nessuno immaginava che se ne sarebbe uscito fuori con un attacco a sorpresa.
Diciamoci la verità in faccia, nessuno di loro può rivaleggiare con Capelli d’Argento. Punto. Stiamo parlando di una pers… no, persona non è forse il termine migliore per descriverlo, definiamolo entità. Parliamo di un‘entità in grado di uccidere un drago a sette teste semplicemente toccandolo con il suo indice.
Lucifero, per quanto fosse uno degli Angeli più potenti, non poteva nemmeno avvicinarsi al suo livello, era come se una rana cercasse di nuotare nel vasto oceano.
Sono conscio che uso spesso frasi del genere, ma qui si parla realmente di un altro livello.
Ora vi chiederete se Lucifero sia solo un povero idiota o se avesse un piano, la risposta vi sorprenderà: Lucifero aveva un piano.
Argento si limitò a spegnere la palla con la punta dell’indice destro, annullare un Craft non era nulla di che per lui. E di certo l’Angelo doveva saperlo.
Si ritrovò un pugno dritto in faccia, un pugno dato a mani nude sul suo bellissimo volto.
Nessun potere, nessun Craft o abilità, un dannatissimo, stupido, semplice pugno.
Solo un rivolo di sangue, che si fermò subito, scese da una narice. Sorprendente.
<< Lucifero… ha fatto un graffio ad Argento?>> Semeyaza sgranò gli occhi, era decisamente una delle cose più sconvolgenti che aveva visto da quando si era unito al loro gruppo.
<< Che dire? Complimenti, Lucifero, bel colpo.>> Constatò l’uomo senza smettere di sorridere. << Ma come si vuol dire… “Non conviene che il debole abbia la lingua audace”.>>
Si pulì con un fazzoletto di stoffa il rivolo di sangue e lo rimise nella tasca del cappotto pesante capotto di pelle nera.
Poi, fece una cosa che nessuno lo aveva ancora visto fare: si tolse il cappotto e il cappello a falde larghe che portava in ogni momento della giornata mostrando finalmente il suo fisico.
Era magro ma allo stesso atletico, come se avesse compresso tutte le fibre muscolari per non occupare troppo spazio, il petto era coperto da una canottiera aderente nera che lasciava scoperte le braccia; faceva a pugni con i capelli argentei da cui prendeva il nome.
<< Fiat iustitia et pereant mundus.>> Si lanciò contro il biondo sferrandogli un pugno da cui si difese con difficoltà col suo; sapeva che era veloce ma qui si andava sull’esagerato.
In ogni caso non era nulla di davvero grave, un semplice pugno come tanti. Lo pensò sino a quando non fissò il braccio colpito.
La pelle della mano si stava velocemente scomponendo lasciando spazio solo a ossa e muscoli pulsanti, poteva persino vedere le sue vene e arterie che trasportavano il sangue.
Quante dannate abilità possedeva Argento? Aveva sentito parlare di talentuosi individui in grado di usare di usare due tipi di Craft oltre al comune potenziamento fisico eppure nessuno che potesse fare una cosa del genere.
Il Craft era emettere all’esterno al propria anima e l’anima non si può cambiare o adattare. Si può evolvere ma ciò dipende da situazioni di vita estreme e si tratta comunque di qualcosa che non cambia troppo dal punto di partenza.
<< Ad bestias.>> Unì le mani come fossero la bocca di un qualche animale e da esse uscì una grossa mascella nera e fangosa, all’Angelo tornò immediatamente un brutto flashback del Drago dell’Apocalisse evocato da Iruel.
<< Lunghe pelli, ossa di morta. Blasfemo. Iracondo. Urlatore di bestemmie. Scaglia le tue mani impure verso Nostro Signore. Ars Goetia: Mastino dalle Tre Teste.>>
Una strana creatura simile a un cane gigante fece da scudo umano a Lucifero impedendo che venisse dilaniato; bastò questo singolo colpo per farlo scomparire in un latrato di dolore.
<< Ohi, Argento, non credi di star esagerando? Con le risse gli uomini solidificano le amicizie, ma stavi per ammazzarlo.>> Bael lo teneva puntato col braccio, pronto ad evocare un nuovo incantesimo offensivo.
Era rimasto in disparte, era l’ultimo arrivato e non se la sentiva di fare qualcosa senza comprendere se quella fosse o meno una cosa normale ma quando Delphi, spaventata, gli diede l’ordine di intervenire non poté tirarsi indietro.
Faceva parte del contratto.
<< Re dell’Inferno Bael, quello è davvero un bell’incantesimo. Nientepopodimeno che un incanto dell’Ars Goetia.>> Argento sorrise. << Ma ho sempre preferito altro: Pentacolo di Salomone.>>
Schioccò le dita e il demone, sorpreso, si ritrovò in ginocchio, incapace di fare qualsiasi cosa per via di quella luce giallastra che proveniva dal pavimento. Aveva invocato un Pentacolo di Controllo, uno dei pochi modi per fermare un Demone del Lemegeton facilmente, ma per prepararlo o evocarlo serviva un canto lungo e complesso e lui lo aveva attivano semplicemente scioccando le dita?
Solo Salomone, suo inventore, ne era in grado.
<< Chi è il prossimo a volersi fare avanti? Sétanta? Semeyaza? O forse tu Cedric? Dovreste sapere che odio i cani disobbedienti.>> Commentò tornando al suo solito tono di voce, quel tipo di voce che ti fa vibrare la schiena come se un coltello attraversasse ogni singolo vertebra.
Tanto bastò per annullare ogni loro voglia di combattere, nessuno riusciva nemmeno a pensare di fare una mossa.
Aveva annientato alcuni dei guerrieri più potenti del Multiverso solo con delle parole.
<< Bene, vedo che siamo di nuovo tutti amici.>> Concluse sarcastico. << Andremo d’accordo anche il nuovo arrivato, okay? >>
Riprese i suoi abiti dal pavimento e si allontano cancellando anche il cerchio magico da sotto i piedi di Bael lasciandoli soli. Era soddisfatto di non aver nemmeno estrarre Gioiosa dal suo fodero.
<< Porca troia!>> Lucifero imprecò mentre lentamente rigenerava la pelle del braccio, era un’azione terribilmente dolorosa, se non fosse stato un Angelo di alto grado si sarebbe dovuto rivolgere a un curatore.
<< Lucifero, stai bene?>> Domandò Delphi abbassandosi.
<< Non sto bene nemmeno per il cazzo! Sono ferito moralmente e fisicamente, che razza di poteri ha quello?>>
<< Perché non hai usato la tua Benedizione? Stavi nell’Ordine Angelico, no? O Eternità te l’ha sequestrata?>>
<< No, ho ancora “Stella del Mattino” ma per qualche motivo non si è attiva nemmeno quando ci ho provato, quel bastardo non solo cancella il Craft ma persino il potere che deriva direttamente dal Dio Creatore. Noi ci scherzavamo sopra, ma lui decisamente appartiene a qualcosa che è al pari dei Grandi Dei.>>
Bael annuì e prese la parola appoggiandosi a Sétanta, quel sigillo gli aveva divorato le energie. << Noi avevamo un termine per una creatura leggendaria simile a lui… anzi forse è stato creato proprio per lui: ‘Il.>>
Victor si era divertito ad osservarli giocare tra di loro come dei poveri idioti.
<< Sembra un posto divertente… chi potrei sgozzare per primo?>>
Argento entrò nella sua stanza, chiuso a chiave, e si sedette soddisfatto alla sua scrivania.
Sorrise soddisfatto, realmente soddisfatto.
<< Si ribellano a me… perfetto. Se possono ribellarsi contro di me, potranno ribellarsi anche contro l’Uomo Nero. Forza mortali, non tradite la fede che ho in voi.>>
Capitolo Nono: Emozioni?
Akheilos riaprì gli occhi, sotto il pesante mascherone da formica sudava copiosamente; si tratteneva a stento dal vomitare altro sangue dalla bocca.
Si sollevo da terra di scatto scagliandogli con forza contro la creatura che aveva lui stesso evocato in quelli che erano stati, per gli altri presenti, pochi minuti.
Era qualcosa di simile ad una donna, seppur non fosse facile comprendere se lo fosse davvero, deforme dalla pelle bluastra, sulla fronte lunghe corna affilate come quelle di un oni e i denti erano di un colore nero e simili a zanne; il forte impatto contro il muro la portò a lasciar cadere per terra la lanterna dal fioco barlume.
Aveva evocato Ao andon tramite il rituale dei cento racconti dell’orrore, lo hyakumonogatari kaidankai, in modo che lo portasse dal Dodicesimo Dio nel tentativo di eliminarlo ma non era nemmeno riuscito a raggiungere le sbarre della sua prigione. Era stato fermato da assurde abominazioni nate dal suo stesso subconscio.
E ricordi. Fottutissimi ricordi.
Doveva essere questo il potere del Dodicesimo, rilasciare le paure e i ricordi negativi di coloro a cui si avvicinava; serviva qualcuno di incredibilmente forte per fare anche solo pochi metri in quella prigione.
<< Perché non mi hai avvertito?>>
<< Sighiohe...>> Aveva la voce rotta dalla forza sulla sua trachea. << Io sono solo un mezzo! Non so cosa accade una volta che qualcuno passa oltre!>>
Tentò di giustificare la sua situazione, una parola sbagliata e lo faceva fuori. Quelli come lui venivano creati come nulla in modo automatico, era come un moob nemico di un videogioco, se crepava non importava a nessuno. Nessuno tranne che a lui!
Akhelios era furioso, ma lo lasciò andare.
Tra sé e sé la creatura ringraziò quello sbalzo di pietà nei suoi confronti portandosi le mani artigliate al collo e massaggiandoselo, in tanti anni di duro lavoro come spirito dei cento racconti, non si era mai trovato in una situazione del genere.
Normalmente chi lo invocava era qualcuno che non ci credeva molto, che metteva in pratica il rituale per puro e semplice gioco, si limitava a spaventarli e se ne andava ma quel tizio invece lo aveva richiamato conscio del suo ruolo segreto di tramite tra i Mondi e il Limbo del Dodicesimo: l’aevum.
Aveva sentito parlare di lui e il suo gruppo, individui che seguivano il modus operandi dell’Uomo Nero nel suo periodo d’oro ma non ne condividevano gli ideali, persino tra le creature divine di basso livello, anche se forse era meglio definirli esseri celesti, erano divenuti famosi; si raccontava che il Dio Morte e il Dio fato ne avessero interrogato e condannato uno pochi secoli prima.
Era sempre difficile calcolare il passare dagli anni per via della differenza di velocità dello scorrere del tempo nei diversi Mondi, persino alcune divinità avevano ancora problemi di fuso orario.
<< Il re si è arrabbiato in modo tremendo.>> Commentò uno degli uomini che erano stati invitati a partecipare all’incontro.
Akheilos aveva inviato una richiesta per il regno in cui si invitavano i maggiori di diciotto anni, esperti in storie dell’orrore, a partecipare al “gioco”. Erano stati informati a grandi linee di cosa sarebbe accaduto e dei rischi che avrebbero potuto correre, se uno di loro avesse perso al vita il re si sarebbe impegnato a mantenere la sua famiglia.
A sorpresa erano giunti più del previsto a partecipare, ma solo pochi passarono la severa selezione finale.
<< Già, mi dispiace per te, creatura.>> Aggiunse un secondo.
Avevano preso quasi a simpatia quel mostro apparso dal nulla alla centesima storia, il loro sovrano era un uomo giusto ma alle volte si lasciava andare alle emozioni. Personalmente questo non dispiaceva ai sudditi, lo facevano sembrare più umano e vicino a loro, era bello sapere che anche i re ogni tanto si lasciavano andare.
<< Tu che ne pensi, ragazzo? Tu sei uno straniero, giusto?>>
Le parole del vecchio invitato si rivolsero a quello che sembrava il più giovane tra di loro, un ragazzo con occhi e capelli dorati tirati all’indietro. Era vestito in modo elegante, con un abito nero perfettamente stirato e un fazzoletto di seta o velluto al collo, per tutto il tempo non aveva espresso parole all’infuori dei suoi racconti dell’orrore.
I racconti migliori e più spaventosi che i presenti avessero sentito; uno di loro era anche un navigato scrittore piuttosto affermato nell’argomento ma quando il giovanotto iniziava a raccontare sembrava che stesse narrando una storia vera. Da lui vissuta.
Però li spaventava la sua completa mancanza di espressioni facciali, in ogni singola parola non mostrava la minima emozione, era quasi una macchina.
<< … Non mi interessa per quella cosa.>> Rispose freddo. << Piuttosto, dimmi, ci sono altri modi per accedere all’aevum?>>
Lo spirito raggelò immediatamente, quei suoi occhi gialli per un secondo avevano brillato di un riflesso color del sangue, come se avesse dei rubini incastonati nelle sue iridi.
Ao andon deglutì, quel tipo gli ricordava le storie sulla prima e unica vera guerra.
<< No, non es… esiste. B… bisogna mettere in pratica… il… il rituale!>>
<< … Quindi siamo costretti a raccontarci delle stupide storie? Il mio nobile fratello maggiore non ne sarà.. come dite voi umani?>> Domandò rivolgendosi alla persona accanto a lui. << “Felici”? Cosa significherà poi al parola “felice”? O “triste”?>>
Si alzò dal suo posto a sedere per fare qualche passo la creatura con la lanterna in mano, sembrava riflettere tra sé e sé ma nessuno capiva cosa intendeva con “voi umani”. Un non umano non avrebbe mai potuto oltrepassare e difese di re Akheilos, le difese magiche poste da Brettone erano troppo potenti per essere superate.
<< Tu, umano dai capelli neri.>> Lo chiamò indicandolo con il dito. << Cosa vuol dire “emozioni”? Sono qualcosa che si mangia? Le puoi vedere o toccare? Puoi possederle come fossero un oggetto fisico e come materiale di scambio?>>
<< No, sono qualcosa di astratto che non ha valore monetario o di scambio. Sono un qualcosa di intimo e personale.>> Tentò di spiegarsi gesticolando, non era facile esprimere di cosa si trattasse; specie visto l’attacco di panico che lo aveva avvolto. Era un sentimento che non riusciva a spiegare, era una persona come lui ma allo stesso tempo gli trasmetteva una sensazione simile a quella di orda di lupi famelici.
Il biondo mise l mano sotto il mento iniziando a riflettere sulle informazioni poche che gli erano state donate.
Un concetto astratto, qualcosa di intimo, non poteva essere usato come merce di scambio o a livello economico, non potevano essere facilmente dominate senza una lunga preparazione, era difficile da spiegare e comprendere anche per i suoi possessori.
Le emozioni, ergo, erano un extra inutile per un essere vivente.
Non capiva perché il suo nobile fratello maggiore e la sua nobile sorella maggiore ne fossero così interessati, c’era forse qualcosa che non comprendeva? Qualcosa nascosto in profondità?
Tutto ciò che serve si può vedere e toccare, persino l’anima.
<< Comprendo, grazie della spiegazione. In ogni caso ho deciso che esse non sono necessarie alla mia sopravvivenza esattamente come voi presenti. Per favore, morite.>>
I suoi capelli tornarono corti, legandosi tra di loro da soli e posizionandosi dietro la nuca. Aveva fatto attenzione a non sporcare nella stanza di sangue o viscere, sembrava che se ne fossero andati a casa dopo il gioco, la sola cosa rimasta accanto alle candele spente era la lanterna in cui brillata una fiammella azzurra che Ao andon si era portato.
Ecco, lui sarebbe stato difficile da digerire con quello stomaco umano che aveva rubato. Gli avrebbe provoca un leggero bruciore di stomaco.
<< Nobile Fratello, va bene come mi sono comportato?>> Chiese mentre con forza apriva l’aria creando quello che aveva tutta l’aria di un tunnel nero come la pece.
<< Hai fatto un ottimo lavoro.>> Rispose l’Uomo Nero alzandosi il cappello per salutarlo. << Allora, lasci lì la lanterna? Ti spiace se la prendo
io?>>
<< Fai pure se lo desideri.>>
Si chinò stringendo tra le mani l’oggetto e ridacchiando allegro << Hai risolto i tuoi dubbi sulle emozioni?>>
<< No, ma ho avuto nuove informazioni su di esse. Le analizzerò con calma.>>
Il maggiore dei due fratelli alzò le spalle facendo un sorriso, era abbastanza soddisfatto del suo tentativo di apprendimento. Era comunque molto più avanti di molti altri dei loro parenti.
<< “Illimitato Desiderio Androgino”… suona lungo, che ne dici se ti chiamassi semplicemente C?>>
Si sollevo da terra di scatto scagliandogli con forza contro la creatura che aveva lui stesso evocato in quelli che erano stati, per gli altri presenti, pochi minuti.
Era qualcosa di simile ad una donna, seppur non fosse facile comprendere se lo fosse davvero, deforme dalla pelle bluastra, sulla fronte lunghe corna affilate come quelle di un oni e i denti erano di un colore nero e simili a zanne; il forte impatto contro il muro la portò a lasciar cadere per terra la lanterna dal fioco barlume.
Aveva evocato Ao andon tramite il rituale dei cento racconti dell’orrore, lo hyakumonogatari kaidankai, in modo che lo portasse dal Dodicesimo Dio nel tentativo di eliminarlo ma non era nemmeno riuscito a raggiungere le sbarre della sua prigione. Era stato fermato da assurde abominazioni nate dal suo stesso subconscio.
E ricordi. Fottutissimi ricordi.
Doveva essere questo il potere del Dodicesimo, rilasciare le paure e i ricordi negativi di coloro a cui si avvicinava; serviva qualcuno di incredibilmente forte per fare anche solo pochi metri in quella prigione.
<< Perché non mi hai avvertito?>>
<< Sighiohe...>> Aveva la voce rotta dalla forza sulla sua trachea. << Io sono solo un mezzo! Non so cosa accade una volta che qualcuno passa oltre!>>
Tentò di giustificare la sua situazione, una parola sbagliata e lo faceva fuori. Quelli come lui venivano creati come nulla in modo automatico, era come un moob nemico di un videogioco, se crepava non importava a nessuno. Nessuno tranne che a lui!
Akhelios era furioso, ma lo lasciò andare.
Tra sé e sé la creatura ringraziò quello sbalzo di pietà nei suoi confronti portandosi le mani artigliate al collo e massaggiandoselo, in tanti anni di duro lavoro come spirito dei cento racconti, non si era mai trovato in una situazione del genere.
Normalmente chi lo invocava era qualcuno che non ci credeva molto, che metteva in pratica il rituale per puro e semplice gioco, si limitava a spaventarli e se ne andava ma quel tizio invece lo aveva richiamato conscio del suo ruolo segreto di tramite tra i Mondi e il Limbo del Dodicesimo: l’aevum.
Aveva sentito parlare di lui e il suo gruppo, individui che seguivano il modus operandi dell’Uomo Nero nel suo periodo d’oro ma non ne condividevano gli ideali, persino tra le creature divine di basso livello, anche se forse era meglio definirli esseri celesti, erano divenuti famosi; si raccontava che il Dio Morte e il Dio fato ne avessero interrogato e condannato uno pochi secoli prima.
Era sempre difficile calcolare il passare dagli anni per via della differenza di velocità dello scorrere del tempo nei diversi Mondi, persino alcune divinità avevano ancora problemi di fuso orario.
<< Il re si è arrabbiato in modo tremendo.>> Commentò uno degli uomini che erano stati invitati a partecipare all’incontro.
Akheilos aveva inviato una richiesta per il regno in cui si invitavano i maggiori di diciotto anni, esperti in storie dell’orrore, a partecipare al “gioco”. Erano stati informati a grandi linee di cosa sarebbe accaduto e dei rischi che avrebbero potuto correre, se uno di loro avesse perso al vita il re si sarebbe impegnato a mantenere la sua famiglia.
A sorpresa erano giunti più del previsto a partecipare, ma solo pochi passarono la severa selezione finale.
<< Già, mi dispiace per te, creatura.>> Aggiunse un secondo.
Avevano preso quasi a simpatia quel mostro apparso dal nulla alla centesima storia, il loro sovrano era un uomo giusto ma alle volte si lasciava andare alle emozioni. Personalmente questo non dispiaceva ai sudditi, lo facevano sembrare più umano e vicino a loro, era bello sapere che anche i re ogni tanto si lasciavano andare.
<< Tu che ne pensi, ragazzo? Tu sei uno straniero, giusto?>>
Le parole del vecchio invitato si rivolsero a quello che sembrava il più giovane tra di loro, un ragazzo con occhi e capelli dorati tirati all’indietro. Era vestito in modo elegante, con un abito nero perfettamente stirato e un fazzoletto di seta o velluto al collo, per tutto il tempo non aveva espresso parole all’infuori dei suoi racconti dell’orrore.
I racconti migliori e più spaventosi che i presenti avessero sentito; uno di loro era anche un navigato scrittore piuttosto affermato nell’argomento ma quando il giovanotto iniziava a raccontare sembrava che stesse narrando una storia vera. Da lui vissuta.
Però li spaventava la sua completa mancanza di espressioni facciali, in ogni singola parola non mostrava la minima emozione, era quasi una macchina.
<< … Non mi interessa per quella cosa.>> Rispose freddo. << Piuttosto, dimmi, ci sono altri modi per accedere all’aevum?>>
Lo spirito raggelò immediatamente, quei suoi occhi gialli per un secondo avevano brillato di un riflesso color del sangue, come se avesse dei rubini incastonati nelle sue iridi.
Ao andon deglutì, quel tipo gli ricordava le storie sulla prima e unica vera guerra.
<< No, non es… esiste. B… bisogna mettere in pratica… il… il rituale!>>
<< … Quindi siamo costretti a raccontarci delle stupide storie? Il mio nobile fratello maggiore non ne sarà.. come dite voi umani?>> Domandò rivolgendosi alla persona accanto a lui. << “Felici”? Cosa significherà poi al parola “felice”? O “triste”?>>
Si alzò dal suo posto a sedere per fare qualche passo la creatura con la lanterna in mano, sembrava riflettere tra sé e sé ma nessuno capiva cosa intendeva con “voi umani”. Un non umano non avrebbe mai potuto oltrepassare e difese di re Akheilos, le difese magiche poste da Brettone erano troppo potenti per essere superate.
<< Tu, umano dai capelli neri.>> Lo chiamò indicandolo con il dito. << Cosa vuol dire “emozioni”? Sono qualcosa che si mangia? Le puoi vedere o toccare? Puoi possederle come fossero un oggetto fisico e come materiale di scambio?>>
<< No, sono qualcosa di astratto che non ha valore monetario o di scambio. Sono un qualcosa di intimo e personale.>> Tentò di spiegarsi gesticolando, non era facile esprimere di cosa si trattasse; specie visto l’attacco di panico che lo aveva avvolto. Era un sentimento che non riusciva a spiegare, era una persona come lui ma allo stesso tempo gli trasmetteva una sensazione simile a quella di orda di lupi famelici.
Il biondo mise l mano sotto il mento iniziando a riflettere sulle informazioni poche che gli erano state donate.
Un concetto astratto, qualcosa di intimo, non poteva essere usato come merce di scambio o a livello economico, non potevano essere facilmente dominate senza una lunga preparazione, era difficile da spiegare e comprendere anche per i suoi possessori.
Le emozioni, ergo, erano un extra inutile per un essere vivente.
Non capiva perché il suo nobile fratello maggiore e la sua nobile sorella maggiore ne fossero così interessati, c’era forse qualcosa che non comprendeva? Qualcosa nascosto in profondità?
Tutto ciò che serve si può vedere e toccare, persino l’anima.
<< Comprendo, grazie della spiegazione. In ogni caso ho deciso che esse non sono necessarie alla mia sopravvivenza esattamente come voi presenti. Per favore, morite.>>
I suoi capelli tornarono corti, legandosi tra di loro da soli e posizionandosi dietro la nuca. Aveva fatto attenzione a non sporcare nella stanza di sangue o viscere, sembrava che se ne fossero andati a casa dopo il gioco, la sola cosa rimasta accanto alle candele spente era la lanterna in cui brillata una fiammella azzurra che Ao andon si era portato.
Ecco, lui sarebbe stato difficile da digerire con quello stomaco umano che aveva rubato. Gli avrebbe provoca un leggero bruciore di stomaco.
<< Nobile Fratello, va bene come mi sono comportato?>> Chiese mentre con forza apriva l’aria creando quello che aveva tutta l’aria di un tunnel nero come la pece.
<< Hai fatto un ottimo lavoro.>> Rispose l’Uomo Nero alzandosi il cappello per salutarlo. << Allora, lasci lì la lanterna? Ti spiace se la prendo
io?>>
<< Fai pure se lo desideri.>>
Si chinò stringendo tra le mani l’oggetto e ridacchiando allegro << Hai risolto i tuoi dubbi sulle emozioni?>>
<< No, ma ho avuto nuove informazioni su di esse. Le analizzerò con calma.>>
Il maggiore dei due fratelli alzò le spalle facendo un sorriso, era abbastanza soddisfatto del suo tentativo di apprendimento. Era comunque molto più avanti di molti altri dei loro parenti.
<< “Illimitato Desiderio Androgino”… suona lungo, che ne dici se ti chiamassi semplicemente C?>>
Adam: Vagito
Gli avanzi di carne e sangue colavano dalla bocca creata per l’occasione della creatura nera appena nata, il primo disgustoso pasto del bebè e che aveva fatto il suo ingresso nel mondo con un sonoro vagito, macabro sostituto di pappine e latte materno.
L’Uomo Nero non si sarebbe mai aspettato un risvolto del genere quando iniziò a tenerlo d’occhio anni prima, sapeva che aveva qualcosa di speciale ma non si aspettava nulla di simile. Una spettacolare sorpresa!
Si prese qualche minuto per contemplarlo con gli occhi di un bambino che stava assistendo ad uno spettacolo di magia, non voleva perdersi nemmeno un minuto di quella scena!
Il primo omicidio, era per lui, era come una vergine che veniva violata; una sensazione e possibilità che avveniva solo una volta nella vita.
Un po’ però gli dispiaceva, aveva sempre lo immaginato completamente puro era si era insozzato. Che tristezza.
Funziona sempre così, dopo intensa, splendida gioia, giunge la noia e la tristezza, il dolore dell’irrepetibilità sostituiva la frenesia della prima volta.
<< Allora, come ti senti?>> Domandò aggiustandosi l’amato cappello. << Il primo omicidio non deve essere facile, figliol...>>
Il suo ventre su trapassato dalle mani affilate, scheletriche e nere dell’essere, questo era strano. Un’evocazione che attaccava qualcuno al cui evocatore era affezionato? Strano, forse si trattava di una delle folle Bestie dell’Apocalisse che anche l’angelo Iruel evocava? No, nella “Rivelazione” nessuno combaciava alla sua descrizione.
<< Okay, bene.>> Commentò senza sputare sangue o lamentarsi, si limitò a strapparsi la testa di netto per lanciarla in alto.
Non ci volle molto per rigenerarsi completamente, ossa, tessuti, muscoli, nervi; non era come nei fumetti in cui ci voleva del tempo, per lui era stato immediato come il battere delle ali di un colibrì.
Atterrò elegantemente mettendo al suo posto la sua nuova cravatta, gli abiti potevano essere fatti alla sua stessa materia ma per natura preferiva acquistarli in qualche negozio alla moda; quelli in particolare gli erano costati un occhio della testa.
Si grattò il pizzetto nero come a dover riflettere su come agire, ucciderlo non avrebbe influito sull’evocatore a livello psico-fisico, lo avrebbe solo indebolito per qualche ora.
In poco tempo quell’essere nero era stato partorito dall’ombra di Adam e gli era ancora attaccato per la parte inferiore come un cordone ombelicale è connesso alla madre, poteva forse tentare di tagliarlo?…No, quello strano essere aveva dimostrato di poter modificare la sua struttura fisica, non era improbabile il poter rendere elastico il proprio corpo, la sola parte che restava sempre uguale era la maschera allungata da volatile. In quel caso non restava che fare una singola cosa.
<< Questa è una cosa che… diamine, odio proprio farlo.>> Lo sguardo nei suoi occhi scarlatti cambiò, da spensierato divenne improvvisamente serio. << Scusa tanto, farà tanto male ad entrambi.>>
Scagliò in aria una pietra che aveva fatto fuoriuscire letteralmente dalla carne della sua mano sinistra, un’azione che reputava terribilmente disgustosa e inelegante.
<< “Witches’ Hill. La collina delle Streghe innocenti morte.”>>
La pietra si frantumò in mille e più pezzi che caddero a terra come meteoriti conficcandosi con forza nel cemento. Poi, ad un movimento delle dita nere dell’uomo crebbero pali neri e appuntiti che si incrociarono tra di loro in spiragli il più piccoli possibili, anche liquefacendosi la maschera non sarebbe mai potuta passare attraverso i buchi.
Non amava usare i suoi poteri, non era un’abilità di cui vantarsi, ma alle volte il bisogno supera ogni tipo di virtù… e poi se avesse usato altro avrebbe potuto uccidere l’intera nazione.
<< Finiamola qui, okay?>> Chiese con un sorriso gentile. << Improbo Tribunale delle Streghe di Salem...>>
Come la creatura era nata dall’ombra di Adam, un insieme di rami iniziò ad innalzarsi dalla schiena dell’Uomo Nero, sembrava che il peso non fosse un problema per lui.
Da ogni lungo ramo del color del petrolio pendeva quello che aveva l’aria di un cappio vuoto, uno scenario di morte e sofferenza.
<< … Il cappio al collo della bugiarda Abigail.>>
Cominciò a battere delicatamente la mano sulla guancia del giovane, aveva perso la parrucca nera che indossava solitamente restando con i suoi capelli bianco rossi liberi.
Si chiese perché se ne vergognasse, erano bellissimi.
Aveva un terribile cerchio alla testa, come se fosse ubriaco; voleva solo dormire un po’. L’altro pensò fosse normale, risvegliare il Craft in modo forzato e traumatico come quello poteva portare a consumare molta della propria anima, sino a quando non si fosse rigenerata completamente era abbastanza inerme, come quando si finisce per andare in deficit d’ossigeno in montagna.
Doveva essersi mentalmente represso davvero a lungo per portare la sua anima a generare una cosa del genere, l’aveva analizzata grazie al suo potere e non apparteneva alla categoria dell’evocazione, era qualcosa di diverso e che non aveva mai visto.
Era letteralmente una sua emanazione in grado di utilizzare a sua volta delle variazione del Craft. Era un essere vivente dotato di una sua anima immortale e senziente, Adam aveva creato una nuova razza simbiotica.
Tale potere non rientrava nemmeno nella categoria dell’atipico come lui, era qualcosa di unico in tutta la storia; senza contare che in quelle sfere che spuntavano dal suo corpo erano incisi segni nella lingua divina, ne era certo.
Gli serviva un nome, un nome gli avrebbe dato un’identità e quindi un potere… sì, lo aveva. Era perfetto.
Un ragazzo così puro da creare un altro essere vivente per non dover uccidere, così buono da non aver mai vomitato un’offesa, un cuore che non era in grado di generare odio sino alla fine.
<< Signore, cosa… cosa è successo? Non ricordo quasi nulla, solo nero.>>
<< Hai solo generato un potere, ricordi quando ti salvai da bambino? Tu hai lo stesso potere, permettimi di essere io a dargli un nome in tuo onore. Si chiamerà in tuo Kalokagathia Eidolon, è perfetto.>> Concluse. << Ora dormi.>> Lo prese in braccio come un padre fa con un figlio piccolo che si mette a dormire sul divano invece che sul letto. << Da adesso ti proteggerò e ti insegnerò tutto io, Adam. Sarai l’essere umano definitivo.>>
L’Uomo Nero non si sarebbe mai aspettato un risvolto del genere quando iniziò a tenerlo d’occhio anni prima, sapeva che aveva qualcosa di speciale ma non si aspettava nulla di simile. Una spettacolare sorpresa!
Si prese qualche minuto per contemplarlo con gli occhi di un bambino che stava assistendo ad uno spettacolo di magia, non voleva perdersi nemmeno un minuto di quella scena!
Il primo omicidio, era per lui, era come una vergine che veniva violata; una sensazione e possibilità che avveniva solo una volta nella vita.
Un po’ però gli dispiaceva, aveva sempre lo immaginato completamente puro era si era insozzato. Che tristezza.
Funziona sempre così, dopo intensa, splendida gioia, giunge la noia e la tristezza, il dolore dell’irrepetibilità sostituiva la frenesia della prima volta.
<< Allora, come ti senti?>> Domandò aggiustandosi l’amato cappello. << Il primo omicidio non deve essere facile, figliol...>>
Il suo ventre su trapassato dalle mani affilate, scheletriche e nere dell’essere, questo era strano. Un’evocazione che attaccava qualcuno al cui evocatore era affezionato? Strano, forse si trattava di una delle folle Bestie dell’Apocalisse che anche l’angelo Iruel evocava? No, nella “Rivelazione” nessuno combaciava alla sua descrizione.
<< Okay, bene.>> Commentò senza sputare sangue o lamentarsi, si limitò a strapparsi la testa di netto per lanciarla in alto.
Non ci volle molto per rigenerarsi completamente, ossa, tessuti, muscoli, nervi; non era come nei fumetti in cui ci voleva del tempo, per lui era stato immediato come il battere delle ali di un colibrì.
Atterrò elegantemente mettendo al suo posto la sua nuova cravatta, gli abiti potevano essere fatti alla sua stessa materia ma per natura preferiva acquistarli in qualche negozio alla moda; quelli in particolare gli erano costati un occhio della testa.
Si grattò il pizzetto nero come a dover riflettere su come agire, ucciderlo non avrebbe influito sull’evocatore a livello psico-fisico, lo avrebbe solo indebolito per qualche ora.
In poco tempo quell’essere nero era stato partorito dall’ombra di Adam e gli era ancora attaccato per la parte inferiore come un cordone ombelicale è connesso alla madre, poteva forse tentare di tagliarlo?…No, quello strano essere aveva dimostrato di poter modificare la sua struttura fisica, non era improbabile il poter rendere elastico il proprio corpo, la sola parte che restava sempre uguale era la maschera allungata da volatile. In quel caso non restava che fare una singola cosa.
<< Questa è una cosa che… diamine, odio proprio farlo.>> Lo sguardo nei suoi occhi scarlatti cambiò, da spensierato divenne improvvisamente serio. << Scusa tanto, farà tanto male ad entrambi.>>
Scagliò in aria una pietra che aveva fatto fuoriuscire letteralmente dalla carne della sua mano sinistra, un’azione che reputava terribilmente disgustosa e inelegante.
<< “Witches’ Hill. La collina delle Streghe innocenti morte.”>>
La pietra si frantumò in mille e più pezzi che caddero a terra come meteoriti conficcandosi con forza nel cemento. Poi, ad un movimento delle dita nere dell’uomo crebbero pali neri e appuntiti che si incrociarono tra di loro in spiragli il più piccoli possibili, anche liquefacendosi la maschera non sarebbe mai potuta passare attraverso i buchi.
Non amava usare i suoi poteri, non era un’abilità di cui vantarsi, ma alle volte il bisogno supera ogni tipo di virtù… e poi se avesse usato altro avrebbe potuto uccidere l’intera nazione.
<< Finiamola qui, okay?>> Chiese con un sorriso gentile. << Improbo Tribunale delle Streghe di Salem...>>
Come la creatura era nata dall’ombra di Adam, un insieme di rami iniziò ad innalzarsi dalla schiena dell’Uomo Nero, sembrava che il peso non fosse un problema per lui.
Da ogni lungo ramo del color del petrolio pendeva quello che aveva l’aria di un cappio vuoto, uno scenario di morte e sofferenza.
<< … Il cappio al collo della bugiarda Abigail.>>
Cominciò a battere delicatamente la mano sulla guancia del giovane, aveva perso la parrucca nera che indossava solitamente restando con i suoi capelli bianco rossi liberi.
Si chiese perché se ne vergognasse, erano bellissimi.
Aveva un terribile cerchio alla testa, come se fosse ubriaco; voleva solo dormire un po’. L’altro pensò fosse normale, risvegliare il Craft in modo forzato e traumatico come quello poteva portare a consumare molta della propria anima, sino a quando non si fosse rigenerata completamente era abbastanza inerme, come quando si finisce per andare in deficit d’ossigeno in montagna.
Doveva essersi mentalmente represso davvero a lungo per portare la sua anima a generare una cosa del genere, l’aveva analizzata grazie al suo potere e non apparteneva alla categoria dell’evocazione, era qualcosa di diverso e che non aveva mai visto.
Era letteralmente una sua emanazione in grado di utilizzare a sua volta delle variazione del Craft. Era un essere vivente dotato di una sua anima immortale e senziente, Adam aveva creato una nuova razza simbiotica.
Tale potere non rientrava nemmeno nella categoria dell’atipico come lui, era qualcosa di unico in tutta la storia; senza contare che in quelle sfere che spuntavano dal suo corpo erano incisi segni nella lingua divina, ne era certo.
Gli serviva un nome, un nome gli avrebbe dato un’identità e quindi un potere… sì, lo aveva. Era perfetto.
Un ragazzo così puro da creare un altro essere vivente per non dover uccidere, così buono da non aver mai vomitato un’offesa, un cuore che non era in grado di generare odio sino alla fine.
<< Signore, cosa… cosa è successo? Non ricordo quasi nulla, solo nero.>>
<< Hai solo generato un potere, ricordi quando ti salvai da bambino? Tu hai lo stesso potere, permettimi di essere io a dargli un nome in tuo onore. Si chiamerà in tuo Kalokagathia Eidolon, è perfetto.>> Concluse. << Ora dormi.>> Lo prese in braccio come un padre fa con un figlio piccolo che si mette a dormire sul divano invece che sul letto. << Da adesso ti proteggerò e ti insegnerò tutto io, Adam. Sarai l’essere umano definitivo.>>
Capitolo Ottavo: L'evocazione
Argento chiuse le pesanti ante di legno con un lucchetto di ferro, in parte temeva di dare una brutta impressione alla ragazza.
O meglio così sarebbe stato per qualsiasi essere umano dotato di comune buon senso.
Lui si era limitato a spiegarle brevemente cosa avrebbe fatto, chiusura del lucchetto compreso. Non consideravano Capelli d’Argento come una specie sessuata, quanto più un qualcosa nato da sotto un cavolo e che si sarebbe riprodotto vomitando un uomo in modo asessuato o dividendosi in due fastidiosi albini.
Non avevano problemi a lasciare una donna con lui e lei stessa non aveva paura nonostante la situazione.
<< Tu te la cavi con i riti magici, giusto, Delphi?>>
<< Sì, al tempio mi hanno insegnato qualche base. Perché?>>
<< Mai evocato un demone?>>
<< Un demone?>>
<< Già...>> Mise la mano libera sotto il mento. << Colpa mia, demone non è il termine esatto. È il nome riportato sul libro, ma effettivamente non sono definibili in quel modo secondo i canoni completi. Forse secondo quelli del cristianesimo.>>
Era la prima volta che lo sentiva parlare così a lungo da quando lo conosceva. Di solito si limitava al minimo indispensabile per dare ordini, anche a tavola, dove nascevano le discussioni più animate, lui non si presentava o, nelle rare volte in cui partecipava, si limitava a mangiare qualcosa in silenzio.
Finito di rimuginare, iniziò a fissare un orologio da polso molto usurato. Non era un amante della moda, gli bastava fosse funzionale.
Accennò solo che stavano aspettando una persona senza la quale non avrebbero potuto fare nulla se non rimandare il tutto.
E lui odiava i ritardi inutili.
Ma l’invitato non era mai in ritardo, era uno dei suoi pregi principali.
Ecco, lo sentì. Il rumore degli zoccoli iniziò a rimbombare nella stanza scura e poi apparve.
Entrò attraversando il muro, come fosse fatto di fumo, ma il rumore delle ruote del carro facevano comprendere la sua solidità.
Giuntò al centro della sala, tirò le briglie del cavallo nero, o almeno quello che sembrava esserlo. Il cranio oblungo che copriva la testa lasciava spazio all’immaginazione e anche il suo corpo sembrava avere qualcosa di molto strano, ma era difficile inquadrarlo. Quasi come se non lo volesse.
La carrozza, simile ad una vecchia diligenza, era di un legno usurato eppure dava l’assurda aria di resistere ad ogni urto.
Il cocchiere sembrava tranquillo, ma era difficile capire cosa fosse esattamente. In un cappotto largo e nero copriva completamente il suo corpo con la complicità di in cilindro fasciato di rosso. Solo due sfere luminose, forse i suoi occhi, erano visibili.
Appena scorse la ragazza le fece gesto di avvicinarsi con un segno della mano coperta da guanti sin troppo grandi per le sue dimensioni, nonostante la paura che le provocava quell’improvviso arrivo decise di fidarsi del suo istinto e fece come detto.
Il cocchiere prese la mano e si esibì in un gentile baciamano per poi lasciarla andare. Nonostante il suo aspetto inquietante era un galantuomo e quello era il minimo verso una donna.
<< Delphi, ti presento Father Corpse. Puoi considerarlo un membro “speciale” del nostro gruppo, oltre a me sei l’unica a conoscerlo. È un piacere vederti, hai portato ciò che ti ho chiesto?>>
L’uomo annuì, se così si può chiamare, e scese dal suo posto mostrando per qualche momento un paio di stivali. Poi con un gesto indicò ad Argento di aiutarlo a scaricare i bagagli che aveva portato.
Ognuno prese uno dei lati di quelle che sembravano delle casse da morto finemente rifinite, un qualcosa che buona parte delle persone non potrebbe permettersi senza bruciare tutta l’eredità da lasciare ad ipotetici parenti.
<< Di cosa si tratta?>>
<< Cadaveri non reclamati di persone senza nome. Serviranno per il rito.>> Notò lo sguardo di disgusto e paura. << Non fare così, se non se ne fosse occupato Father Corpse, sarebbero stati buttati in una fossa comune. Una volta completato, gli daremo una degna sepoltura. Lo prometto.>>
Quando Argento giurava allora era vero, aveva tanti difetti, ma aveva un minimo di senso dell’onore.
Era necessario quando stringi così tanti affari con persone diverse, se non dimostri di essere onesto allora nessuno vorrà firmare. l’estetica di un uomo d’affari.
I due uomini posarono i corpi attorno alla sala quasi a casaccio, non c’era bisogno di un ordine particolare, colui che volevano richiamare non era un tipo che teneva a queste cose.
Posizionò alcuni strani cristalli di un colore violaceo e rosso accanto alle bare, sembrava che fossero ripieni di qualche strana energia. E così era, Capelli d’Argento aveva passato ore a riempirli con il suo Craft.
Aveva le istruzioni su come agire sui fogli, ma non era sicuro che avrebbe funzionato tutto al primo tentativo. Si trattava comunque di compiere un evocazione tramite il vero Lemegeton.
L’ultimo che ci aveva provato era stato Francesco Prelati, ma non esistono prove che ci sia davvero riuscito. Passò alla storia come un imbroglione in costume che truffò un pazzo serial killer pedofilo, vedendola così provava un certo senso di pietà per Gilles de Rais.
Delphi e lui avrebbero rappresentato l’uomo e la donna, a quanto pare l’entità voleva vederli entrambi. Gusti personali.
Il catalizzatore finale era una piccola storia, una semplice storia. Non c’era bisogno che fosse spaventosa, andava bene anche una per bambini.
E Argento ne raccontò una via di mezzo, ma alla fine della fiera le storie di una volta erano così.
Delphi rimase ad ascoltarlo parola per parola, non riusciva a credere che potesse narrare in un modo così dolce, gentile ed appassionato. Era come se stesse raccontando un episodio della sua vita.
Father Corpse rimase invece sempre in silenzio accarezzando i suoi destrieri gentilmente, ma anche lui ascoltò pazientemente il finale.
E poi, al centro appare una luce. Prima rossa, poi viola, poi cambiò in una tonalità di azzurro. Sembrava volesse mostrare un intero arcobaleno.
<< Avevo richiesto solo due persone, invece ne vedo tre.>> Una voce uscì dal centro di quel vortice di luce. << Perdonatemi la domanda, ma cosa desiderate?>>
Per essere una creatura “demoniaca” era piuttosto educata.
Argento si fece avanti. << Il mio nome è Capelli d’Argento, ti ho convocato perché mi serve un compagno e tu sei il più adatto dei settantadue del Lemegeton. Ti prego di stringere il tuo contratto con me!>>
Father Corpse non rispose, aveva chiesto un uomo e una donna. L’uomo aveva risposto, ora toccava a lei.
Non si aspettava di dover dire qualcosa, pensava di avere un mero ruolo di catalizzatore.
<< Allora, signorina con le corna? Non ti mordo mica.>> Tentò di alleggerire la pressione.
<< Mi … mi chiamo Delphi! Piacere di conoscerla! Sono una ex pizia e compagna di squadra di Capelli d’Argento, per favore stringi il contratto con lui!>>
Attese, come a pensarci sopra.
<< Lui non ha nulla che possa interessarmi, tu invece… forma un contratto con me. In cambio desidero le tue corna.>>
<< Le mie corna?>>
<< Le tue corna, esatto. Non sono corna normali, sono qualcosa di unico, di speciale. Io sono un collezionista. Stringi il contratto con me, prometto che quando giungerà il momento le asporterò senza ferirti o farti soffrire.>>
Non sapeva come rispondergli, aveva sempre avuto paura delle sue corna. Le aveva sempre considerate una deformità, non ne era mai stata orgogliosa.
Ma ora, per la prima volta, c’erano persone che le amavano. Era una risposta difficile, ma a cosa servivano quelle corna se aveva una famiglia?
Con o senza sarebbe sempre rimasta la stessa. Se avesse rifiutato avrebbe potuto infrangere i sogni di coloro a cui aveva imparato a tenere e qualcuno avrebbe perso più di molti altri.
<< Accetto! Stringiamo un contratto!>>
La luce vorticò su sé stessa come fosse vento sino a condensarsi in una massa antropomorfa in ginocchio.
Finalmente poi ogni luce scomparve presentando al centro un uomo, in ginocchio, dalla carnagione leggermente scura e capelli grigi con qualche nota di nero qua e là. Il petto era nudo, solo dalla vita in giù era vestito da un mezzo abito, coperto in parte dalla parte superiore.
Aprì gli occhi rossi e porse la mano con le unghie nere.
<< Il mio nome di battesimo è Amalikh, letteralmente “Il Primo”, ma nel Lemegeton sono conosciuto come Bael e il mio titolo è “Re dell’Inferno”. Nonostante quel che si dica sono nato umano, sono solo uscito dal Ciclo della Reincarnazione prima di tutti, sono più vicino a Buddha che a un demone. Per effetto del sigillo di Salomone sono stato richiuso con altri settantuno compagni nel suo libro. Sino a quando il contratto non si interromperà le nostre vite sono legate.>>
<< Piacere di conoscerti.>> Strinse la mano con un sorriso.
Argento rimase piacevolmente sorpreso di quella scena. I documenti in suo possesso non riportavano, in effetti, come decidessero di stringere il contratto, ma pensava puntassero al più forte.
Se avesse saputo della passione collezionista di Bael, allora avrebbe pensato di offrirgli uno dei suoi tesori. Magari la tecnica di spada di Sasaki Kojiro che aveva imparato nel lontano Giappone e di cui era il solo ancora in grado di usarla, oppure di un pezzo del Cristallo delle Urla che si diceva appartenesse al re Havalistosveska e che lui ottenne dopo aver prestato i suoi servigi ad un nobile dell’India.
Certamente cose che superavano di molto le semplici corna di una donna.
Era da un po’ che ipotizzava che Delphi potesse possedere qualche abilità di ammaliamento verso gli altri di cui lui stessa non era a conoscenza, ma anche Semeyaza, come lui, aveva immunità totale a cose del genere. Si trattava allora, forse, di un Talento? Leadership Assoluta? Legame Perfetto, forse? No, nessuna dei due.
Era rimasta ventitré anni in un tempio, non avrebbe avuto la possibilità di sviluppare le sue abilità per fare una cosa del genere.
L’unica possibilità rimasta, la più interessante, era che lei, semplicemente, fosse una persona talmente buona da essere amata da chiunque incontrasse. Una persona del genere era una su cento miliardi. Persino lui nei suoi secoli di vita ne aveva incontrare due o tre, nel migliore dei casi.
Era gente interessante, una di esse era persino divenuta una regina che aveva avuto l’onore di servire personalmente.
Poi, da un momento all’altro, la luce che sembrava essersi spenta condensandosi in Bael era ricominciata a splendere di altri colori: magenta, porpora, blu.
<< Bael, ti fai evocare e poi ti lasci pagare solo con un paio di stupide corna? Strappagliele e basta!>>
Il demone del Lemegeton schiocco la lingua, tra tutti proprio lui doveva apparire? Aveva sempre avuto quella brutta abitudine di mettersi in mezzo nei rituali di evocazione altrui per seminare scompiglio e zizzania.
Tra coloro con cui condivideva le pagine era certamente quello verso il quale provava più astio.
Era riuscito ad ascendere allo stato di anima libera per puro caso, era nato con un abilità Craft che gli permetteva di separare corpo e spirito. L’aveva allenata abbastanza bene e anni di stato spirituale senza limiti corporei, l’aveva reso più potente.
Lui e gli altri invece aveva faticato con lo studio e l’allenamento fino all’età avanzata.
<< Seere, non perdi l’occasione per rompere le uova nel paniere a noialtri, eh? Tornatene nelle pagine del tuo capitolo, cercavano il Re, non un misero pezzente.>> Rispose con un gesto della mano, si poteva udire anche un << Sciò, sciò.>>
In tutto questo Delphi cercava di comprendere cosa stesse esattamente accadendo, Father Corpse tentava di rimettere al loro posto le bare ormai inutili e Capelli d’Argento guardava la scena senza troppa attenzione e rimuginando sui fatti suoi.
Bael pensò che non sarebbe stato però un male la sua comparsa, avrebbe potuto mostrare alla sua contraente che cosa sapeva fare. Sarebbe stato un buon inizio per il loro rapporto di collaborazione.
Seere, infastidito della tranquillità di quelli che considerava esseri inferiori, pensò bene di condensarsi in una forma mostruosa.
Le entità del Lemegeton, che da qui in poi definiremo con semplicità LemeDem per distinguerli dagli altri “demoni”, sempre che non vogliate avere un brutto mal di testa, possiedono, come gli Angeli di alto grado, due forme distinte. La prima è la loro orma originale, quella con cui erano nati nel mondo mortale e che costa poca energia, la seconda, invece, è una forma acquisita che permette di utilizzare al 100% il proprio nuovo status.
Nel caso nemico, si trattava di un grosso animale simile a un bisonte glabro. Le piaghe della pelle nera erano disgustose al solo vedere, le lunghe corna si incurvavano prima verso l’interno e poi verso l’esterno in una specie di strana “u”, le zampe, al posto degli zoccoli, avevano qualcosa di simile a mani artigliate, la sua bocca conteneva una serie di denti aguzzi che lasciavano cadere la saliva.
Aveva tutta l’aria di un qualcosa inventato da un regista con poca fantasia.
<< Vieni, Bael, vieni! Mostrami che sai fare! Mostra alla tua contraente e a questi vermi cosa sarebbe in grado di fare il “Re dell’Inferno”! Non sei nulla in confronto a me!>>
<< Smettila di urlare. Sto pensando.>> Argento lo interruppe e lo pugnalò con uno sguardo.
Poi, senza togliere la mano che teneva sotto il mento per concentrarsi, gli tagliò via la testa, facendo crollare il corpo ormai morto a terra. La caduta causò un polverone pari al suo rimbombo.
<< Father Corpse, prendi pure la carcassa se vuoi. Non mi è utile.>> Concluse scrollando Gioiosa dal sangue, nessuno aveva visto quando l’aveva estratta o aveva tagliato le carni. Si era solo visto il momento in cui la spada era comparsa nella mano libera.
Il piccoletto si mosse velocemente verso la carcassa, facendo attenzione a non fa cadere il cilindro o a mostrare la sua faccia, non aveva mai avuto la possibilità di vedere un cadavere del genere.
Argento gli aveva fatto proprio un bel regalo.
<< Uh… Delphi, giusto? Posso farti una domanda?>>
<< Certo.>>
<< Con un mostro del genere in squadra… io a che vi servo?>>
O meglio così sarebbe stato per qualsiasi essere umano dotato di comune buon senso.
Lui si era limitato a spiegarle brevemente cosa avrebbe fatto, chiusura del lucchetto compreso. Non consideravano Capelli d’Argento come una specie sessuata, quanto più un qualcosa nato da sotto un cavolo e che si sarebbe riprodotto vomitando un uomo in modo asessuato o dividendosi in due fastidiosi albini.
Non avevano problemi a lasciare una donna con lui e lei stessa non aveva paura nonostante la situazione.
<< Tu te la cavi con i riti magici, giusto, Delphi?>>
<< Sì, al tempio mi hanno insegnato qualche base. Perché?>>
<< Mai evocato un demone?>>
<< Un demone?>>
<< Già...>> Mise la mano libera sotto il mento. << Colpa mia, demone non è il termine esatto. È il nome riportato sul libro, ma effettivamente non sono definibili in quel modo secondo i canoni completi. Forse secondo quelli del cristianesimo.>>
Era la prima volta che lo sentiva parlare così a lungo da quando lo conosceva. Di solito si limitava al minimo indispensabile per dare ordini, anche a tavola, dove nascevano le discussioni più animate, lui non si presentava o, nelle rare volte in cui partecipava, si limitava a mangiare qualcosa in silenzio.
Finito di rimuginare, iniziò a fissare un orologio da polso molto usurato. Non era un amante della moda, gli bastava fosse funzionale.
Accennò solo che stavano aspettando una persona senza la quale non avrebbero potuto fare nulla se non rimandare il tutto.
E lui odiava i ritardi inutili.
Ma l’invitato non era mai in ritardo, era uno dei suoi pregi principali.
Ecco, lo sentì. Il rumore degli zoccoli iniziò a rimbombare nella stanza scura e poi apparve.
Entrò attraversando il muro, come fosse fatto di fumo, ma il rumore delle ruote del carro facevano comprendere la sua solidità.
Giuntò al centro della sala, tirò le briglie del cavallo nero, o almeno quello che sembrava esserlo. Il cranio oblungo che copriva la testa lasciava spazio all’immaginazione e anche il suo corpo sembrava avere qualcosa di molto strano, ma era difficile inquadrarlo. Quasi come se non lo volesse.
La carrozza, simile ad una vecchia diligenza, era di un legno usurato eppure dava l’assurda aria di resistere ad ogni urto.
Il cocchiere sembrava tranquillo, ma era difficile capire cosa fosse esattamente. In un cappotto largo e nero copriva completamente il suo corpo con la complicità di in cilindro fasciato di rosso. Solo due sfere luminose, forse i suoi occhi, erano visibili.
Appena scorse la ragazza le fece gesto di avvicinarsi con un segno della mano coperta da guanti sin troppo grandi per le sue dimensioni, nonostante la paura che le provocava quell’improvviso arrivo decise di fidarsi del suo istinto e fece come detto.
Il cocchiere prese la mano e si esibì in un gentile baciamano per poi lasciarla andare. Nonostante il suo aspetto inquietante era un galantuomo e quello era il minimo verso una donna.
<< Delphi, ti presento Father Corpse. Puoi considerarlo un membro “speciale” del nostro gruppo, oltre a me sei l’unica a conoscerlo. È un piacere vederti, hai portato ciò che ti ho chiesto?>>
L’uomo annuì, se così si può chiamare, e scese dal suo posto mostrando per qualche momento un paio di stivali. Poi con un gesto indicò ad Argento di aiutarlo a scaricare i bagagli che aveva portato.
Ognuno prese uno dei lati di quelle che sembravano delle casse da morto finemente rifinite, un qualcosa che buona parte delle persone non potrebbe permettersi senza bruciare tutta l’eredità da lasciare ad ipotetici parenti.
<< Di cosa si tratta?>>
<< Cadaveri non reclamati di persone senza nome. Serviranno per il rito.>> Notò lo sguardo di disgusto e paura. << Non fare così, se non se ne fosse occupato Father Corpse, sarebbero stati buttati in una fossa comune. Una volta completato, gli daremo una degna sepoltura. Lo prometto.>>
Quando Argento giurava allora era vero, aveva tanti difetti, ma aveva un minimo di senso dell’onore.
Era necessario quando stringi così tanti affari con persone diverse, se non dimostri di essere onesto allora nessuno vorrà firmare. l’estetica di un uomo d’affari.
I due uomini posarono i corpi attorno alla sala quasi a casaccio, non c’era bisogno di un ordine particolare, colui che volevano richiamare non era un tipo che teneva a queste cose.
Posizionò alcuni strani cristalli di un colore violaceo e rosso accanto alle bare, sembrava che fossero ripieni di qualche strana energia. E così era, Capelli d’Argento aveva passato ore a riempirli con il suo Craft.
Aveva le istruzioni su come agire sui fogli, ma non era sicuro che avrebbe funzionato tutto al primo tentativo. Si trattava comunque di compiere un evocazione tramite il vero Lemegeton.
L’ultimo che ci aveva provato era stato Francesco Prelati, ma non esistono prove che ci sia davvero riuscito. Passò alla storia come un imbroglione in costume che truffò un pazzo serial killer pedofilo, vedendola così provava un certo senso di pietà per Gilles de Rais.
Delphi e lui avrebbero rappresentato l’uomo e la donna, a quanto pare l’entità voleva vederli entrambi. Gusti personali.
Il catalizzatore finale era una piccola storia, una semplice storia. Non c’era bisogno che fosse spaventosa, andava bene anche una per bambini.
E Argento ne raccontò una via di mezzo, ma alla fine della fiera le storie di una volta erano così.
Delphi rimase ad ascoltarlo parola per parola, non riusciva a credere che potesse narrare in un modo così dolce, gentile ed appassionato. Era come se stesse raccontando un episodio della sua vita.
Father Corpse rimase invece sempre in silenzio accarezzando i suoi destrieri gentilmente, ma anche lui ascoltò pazientemente il finale.
E poi, al centro appare una luce. Prima rossa, poi viola, poi cambiò in una tonalità di azzurro. Sembrava volesse mostrare un intero arcobaleno.
<< Avevo richiesto solo due persone, invece ne vedo tre.>> Una voce uscì dal centro di quel vortice di luce. << Perdonatemi la domanda, ma cosa desiderate?>>
Per essere una creatura “demoniaca” era piuttosto educata.
Argento si fece avanti. << Il mio nome è Capelli d’Argento, ti ho convocato perché mi serve un compagno e tu sei il più adatto dei settantadue del Lemegeton. Ti prego di stringere il tuo contratto con me!>>
Father Corpse non rispose, aveva chiesto un uomo e una donna. L’uomo aveva risposto, ora toccava a lei.
Non si aspettava di dover dire qualcosa, pensava di avere un mero ruolo di catalizzatore.
<< Allora, signorina con le corna? Non ti mordo mica.>> Tentò di alleggerire la pressione.
<< Mi … mi chiamo Delphi! Piacere di conoscerla! Sono una ex pizia e compagna di squadra di Capelli d’Argento, per favore stringi il contratto con lui!>>
Attese, come a pensarci sopra.
<< Lui non ha nulla che possa interessarmi, tu invece… forma un contratto con me. In cambio desidero le tue corna.>>
<< Le mie corna?>>
<< Le tue corna, esatto. Non sono corna normali, sono qualcosa di unico, di speciale. Io sono un collezionista. Stringi il contratto con me, prometto che quando giungerà il momento le asporterò senza ferirti o farti soffrire.>>
Non sapeva come rispondergli, aveva sempre avuto paura delle sue corna. Le aveva sempre considerate una deformità, non ne era mai stata orgogliosa.
Ma ora, per la prima volta, c’erano persone che le amavano. Era una risposta difficile, ma a cosa servivano quelle corna se aveva una famiglia?
Con o senza sarebbe sempre rimasta la stessa. Se avesse rifiutato avrebbe potuto infrangere i sogni di coloro a cui aveva imparato a tenere e qualcuno avrebbe perso più di molti altri.
<< Accetto! Stringiamo un contratto!>>
La luce vorticò su sé stessa come fosse vento sino a condensarsi in una massa antropomorfa in ginocchio.
Finalmente poi ogni luce scomparve presentando al centro un uomo, in ginocchio, dalla carnagione leggermente scura e capelli grigi con qualche nota di nero qua e là. Il petto era nudo, solo dalla vita in giù era vestito da un mezzo abito, coperto in parte dalla parte superiore.
Aprì gli occhi rossi e porse la mano con le unghie nere.
<< Il mio nome di battesimo è Amalikh, letteralmente “Il Primo”, ma nel Lemegeton sono conosciuto come Bael e il mio titolo è “Re dell’Inferno”. Nonostante quel che si dica sono nato umano, sono solo uscito dal Ciclo della Reincarnazione prima di tutti, sono più vicino a Buddha che a un demone. Per effetto del sigillo di Salomone sono stato richiuso con altri settantuno compagni nel suo libro. Sino a quando il contratto non si interromperà le nostre vite sono legate.>>
<< Piacere di conoscerti.>> Strinse la mano con un sorriso.
Argento rimase piacevolmente sorpreso di quella scena. I documenti in suo possesso non riportavano, in effetti, come decidessero di stringere il contratto, ma pensava puntassero al più forte.
Se avesse saputo della passione collezionista di Bael, allora avrebbe pensato di offrirgli uno dei suoi tesori. Magari la tecnica di spada di Sasaki Kojiro che aveva imparato nel lontano Giappone e di cui era il solo ancora in grado di usarla, oppure di un pezzo del Cristallo delle Urla che si diceva appartenesse al re Havalistosveska e che lui ottenne dopo aver prestato i suoi servigi ad un nobile dell’India.
Certamente cose che superavano di molto le semplici corna di una donna.
Era da un po’ che ipotizzava che Delphi potesse possedere qualche abilità di ammaliamento verso gli altri di cui lui stessa non era a conoscenza, ma anche Semeyaza, come lui, aveva immunità totale a cose del genere. Si trattava allora, forse, di un Talento? Leadership Assoluta? Legame Perfetto, forse? No, nessuna dei due.
Era rimasta ventitré anni in un tempio, non avrebbe avuto la possibilità di sviluppare le sue abilità per fare una cosa del genere.
L’unica possibilità rimasta, la più interessante, era che lei, semplicemente, fosse una persona talmente buona da essere amata da chiunque incontrasse. Una persona del genere era una su cento miliardi. Persino lui nei suoi secoli di vita ne aveva incontrare due o tre, nel migliore dei casi.
Era gente interessante, una di esse era persino divenuta una regina che aveva avuto l’onore di servire personalmente.
Poi, da un momento all’altro, la luce che sembrava essersi spenta condensandosi in Bael era ricominciata a splendere di altri colori: magenta, porpora, blu.
<< Bael, ti fai evocare e poi ti lasci pagare solo con un paio di stupide corna? Strappagliele e basta!>>
Il demone del Lemegeton schiocco la lingua, tra tutti proprio lui doveva apparire? Aveva sempre avuto quella brutta abitudine di mettersi in mezzo nei rituali di evocazione altrui per seminare scompiglio e zizzania.
Tra coloro con cui condivideva le pagine era certamente quello verso il quale provava più astio.
Era riuscito ad ascendere allo stato di anima libera per puro caso, era nato con un abilità Craft che gli permetteva di separare corpo e spirito. L’aveva allenata abbastanza bene e anni di stato spirituale senza limiti corporei, l’aveva reso più potente.
Lui e gli altri invece aveva faticato con lo studio e l’allenamento fino all’età avanzata.
<< Seere, non perdi l’occasione per rompere le uova nel paniere a noialtri, eh? Tornatene nelle pagine del tuo capitolo, cercavano il Re, non un misero pezzente.>> Rispose con un gesto della mano, si poteva udire anche un << Sciò, sciò.>>
In tutto questo Delphi cercava di comprendere cosa stesse esattamente accadendo, Father Corpse tentava di rimettere al loro posto le bare ormai inutili e Capelli d’Argento guardava la scena senza troppa attenzione e rimuginando sui fatti suoi.
Bael pensò che non sarebbe stato però un male la sua comparsa, avrebbe potuto mostrare alla sua contraente che cosa sapeva fare. Sarebbe stato un buon inizio per il loro rapporto di collaborazione.
Seere, infastidito della tranquillità di quelli che considerava esseri inferiori, pensò bene di condensarsi in una forma mostruosa.
Le entità del Lemegeton, che da qui in poi definiremo con semplicità LemeDem per distinguerli dagli altri “demoni”, sempre che non vogliate avere un brutto mal di testa, possiedono, come gli Angeli di alto grado, due forme distinte. La prima è la loro orma originale, quella con cui erano nati nel mondo mortale e che costa poca energia, la seconda, invece, è una forma acquisita che permette di utilizzare al 100% il proprio nuovo status.
Nel caso nemico, si trattava di un grosso animale simile a un bisonte glabro. Le piaghe della pelle nera erano disgustose al solo vedere, le lunghe corna si incurvavano prima verso l’interno e poi verso l’esterno in una specie di strana “u”, le zampe, al posto degli zoccoli, avevano qualcosa di simile a mani artigliate, la sua bocca conteneva una serie di denti aguzzi che lasciavano cadere la saliva.
Aveva tutta l’aria di un qualcosa inventato da un regista con poca fantasia.
<< Vieni, Bael, vieni! Mostrami che sai fare! Mostra alla tua contraente e a questi vermi cosa sarebbe in grado di fare il “Re dell’Inferno”! Non sei nulla in confronto a me!>>
<< Smettila di urlare. Sto pensando.>> Argento lo interruppe e lo pugnalò con uno sguardo.
Poi, senza togliere la mano che teneva sotto il mento per concentrarsi, gli tagliò via la testa, facendo crollare il corpo ormai morto a terra. La caduta causò un polverone pari al suo rimbombo.
<< Father Corpse, prendi pure la carcassa se vuoi. Non mi è utile.>> Concluse scrollando Gioiosa dal sangue, nessuno aveva visto quando l’aveva estratta o aveva tagliato le carni. Si era solo visto il momento in cui la spada era comparsa nella mano libera.
Il piccoletto si mosse velocemente verso la carcassa, facendo attenzione a non fa cadere il cilindro o a mostrare la sua faccia, non aveva mai avuto la possibilità di vedere un cadavere del genere.
Argento gli aveva fatto proprio un bel regalo.
<< Uh… Delphi, giusto? Posso farti una domanda?>>
<< Certo.>>
<< Con un mostro del genere in squadra… io a che vi servo?>>
Capitolo Settimo: Le corna
<< Posso toccare le tue corna?>>
<< Eh?>>
Cedric ebbe qualche secondo per realizzare le sue parole, credeva di averle sole pensate. È incredibile quanto un uomo con un Q.I. sopra i duecento punti possa essere stupido.
I suoi occhi viola si specchiarono per qualche istante in quelli neri della ragazza, si poteva sentire l’imbarazzo. Se qualcuno fosse passato tra i due si sarebbe scontrato contro un muro immaginario.
Un durissimo muro.
Inutile dire che una ragazza dolce e pura come Delphi non poté che andarsene di corsa lasciandolo lì, seduto, con l’aria di chi voleva sbattere la testa con il tavolo sino a dimenticare tutto.
Semeyaza aveva assistito a tutta la scena evitando di proferire parola, si era limitato a leggere il suo quotidiano come ogni mattina vivendo qualche piacevole momento di vita familiare.
Santo cielo, anche i suoi figli si sarebbero ridotti come lui da grandi?
<< Non posso credere di averlo detto ad alta voce...>>
<< Nel Secondo Mondo potrebbe denunciarti per molestai sessuale, sai?>> Commentò l’angelo. << Ma infondo lei non è un “demone”. In ogni caso hai fatto una pessima figura, non sei mai uscito con una ragazza?>>
<< Mai.>>
<< … Immaginavo.>> Posò il giornale sul tavolo, si tolse gli occhiali che ogni tanto usava per far riposare gli occhi riponendoli nella tasca della camicia e si alzò. << Ti spiegherò un paio di cose, dopotutto sono Semeyaza.>> Concluse calmo.
Cuore di padre.
Passando in un’altra ala del castello che usavano come base, Delphi tentò di smettere di arrossire per quelle parole.
E qui casca l’asino se mi permettete.
Tutta questa faccenda di “parole sbagliate” era un colossale equivoco. Le sue parole erano state perfette.
Delphi Apotropaeos, età 23 anni, gruppo sanguigno AB-, precedente professione: pizia.
Nei ventitré anni che aveva vissuto nel Tempio della Musica nel Dodicesimo Mondo non aveva mai sentito dire, neanche dei suoi tutori, una parola positiva sulle due corna che le spuntavano ai lati della testa.
Per quanto nel Secondo Mondo fosse normale avere delle corna, una condizione comune al 75% alla specie dominante, negli altri non era così diffusa. Era nel medesimo tempo visto come qualcosa di divino e demoniaco.
Qualcosa da cui tenersi alla larga.
Come un mostro.
<< Le tue corna sono affascinanti.>>
Parole dannatamente semplici, forse dette per caso, ma per lei erano nuove. Quale persona le avrebbe mai detto cose del genere?
… Tutti i membri della sua nuova famiglia.
C’era un qualcosa di divertente nel modo in cui Cedric l’aveva portata via dal tempio.
Lo aveva chiamato: << Il miglior rapimento della storia.>>
Ma più che un rapimento ai suoi occhi era un salvataggio.
Quando era giunta al castello, Argento le aveva messo a disposizione, come per tutti, la sua biblioteca. Aveva comprato lui stesso, nel corso della sua vita, ogni singolo volume presente. Doveva essere qualcosa nell’aria del castello, ma era riuscita capire immediatamente ogni parola nonostante la lingua diversa.
Riflettendoci bene ognuno di loro era di un etnia differente, ma riuscivano a dialogare senza barriere linguistiche. Nessuno sembrava notarlo.
In ogni caso, il primo volume che iniziò a leggere fu un romanzo fantastico chiamato “Peter Pan”. Le veniva un po’ da paragonarsi a Wendy, anche se ciò la portava ad immaginare Argento nel ruolo di Campanellino e la cosa aveva una piccola vena di… demenzialità. Non che non riuscisse ad immaginarsi l’androgino uomo in un abito da donna, anzi era certa che sarebbe stato bene, ma vederlo svolazzare qua e là era strano.
Questo faceva degli altri i bimbi sperduti, nonostante tutti loro fossero più vecchi di lei. Sétanta, il più giovane dopo lei e Cedric, aveva circa quaranta anni.
<< Stai facendo sogni su Argento nel ruolo di Campanellino?>>
Lucifero spuntò alle sue spalle.
<< Ah, signor Lucifero!>>
<< Lucy. Chiamami Lucy, Del.>> Rispose divertito, nessuno lo chiamava “signore” da quando era corso seminudo per i giardino di Morte. E per semi, intendo che era coperto da uno striminzito fazzoletto, anche sporco.
<< Va bene… Lucy, ma come ha indovinato?>>
<< Sono mezzo sbronzo, credo influisca molto sul mio cervello.>> Disse mostrando una bottiglia di birra, una di quelle sottomarche che compri quando hai solo voglia di una sbornia triste. << Allora, che ti succede? Guai con il mappamondo? È vecchio, il Munighainestein è descritto come repubblica quando è una dittatura da settant’anni.>>
<< No, è che… Cedric… lui...>> Arrossì improvvisamente come un peperone, persino le corna grigie cambiarono colore. L’angelo aumentò il suo sorriso, allora è così che stavano le cose.
Era proprio come immaginava, tra quei due era scoccata la scintilla sin dal primo momento.
Ah, l’amore a prima vista.
Certo, lui era più propenso alla botta e via, allo scopamicizia o, al massimo, una relazione basata sul sesso iniziata sotto il falso nome di Juan Espacio (identità di cui aveva un buon numero di falsi documenti), ma accettava benissimo che gli altri si dessero a un’insensata relazione duratura.
Infondo lui chi era per mettersi in mezzo? Beh, sempre che non fosse interessato alla ragazza, ma questo non era il caso.
Aveva occhioni troppo da cucciolo per fargli passare l’idea anche solo per l’anticamera del suo, al momento, non molto attivo cervello.
<< Ti ha fatto delle avance?>> Domandò allusivo.
<< Ha… beh.. chiesto di toccare le mie corna.>>
<< Significa molestia? In alcuni Mondi lo è, se ti dicono che non lo è mentono. Esperienza personale.>>
La ragazza aumentò il rossore. Il primo amore è sempre magnifico.
Era per lui l’occasione di dire qualcosa di importante, di grande, che sarebbe stato d’aiuto e li avrebbe fatti fidanzare. Quello che fa un amico.
Ma non voleva mentirgli facendo vane promesse.
<< L’amore io non lo capisco, ne ci credo. Ma magari mi sbaglio. Non posso dirti se i tuoi o i suoi sentimenti siano veri o meno, questo lo sapete solo voi due, così come non so se siete perfetti insieme. Penso solo che le persone debbano cercare qualcuno che li completino, che dia vita a un rapporto felice. Certo, non si può essere sempre tali. Litigherete, alle volte vi infurierete, magari non vorrete parlarvi per giorni, ma se poi, a fine giornata, tutto scompare, vi abbracciare e vi sorridete… sai, quello è ciò che cerchi e, se lo trovi, tientelo stretto perché potrebbe sfuggirti. Ma non ti consiglio di fidarti del tutto delle parole di Satana in campo romantico.>> Spiegò Lucifero.
La ragazza annuì, nonostante tutto era molto saggio. Non aveva vissuto tanti secoli senza imparare nulla dalla vita.
Sperava di essere stato utile, non aveva potuto trasmettere molte lezioni di vita a suo fratello minore. Ora poteva vantarsi di avere anche una sorellina.
Le mise una mano sui capelli scuri.
<< Vai a vedere come va a finire, faccio il tifo per te.>>
La ragazza tornò di corsa indietro, pronta a parlarne con Cedric. O almeno iniziare.
Lucifero alzò gli occhi verso il soffitto di pietra, una parte di lui rideva. Gli ricordava una favola di un libro per bambini che aveva letto nella Biblioteca di Morte.
Diamine,non ricordava come si intitolava. Aveva un titolo strano e lungo… mah, non importava.
Cedric fu spinto davanti a lei da Semeyaza, era giunto il momento di fare il ruolo del padre. Gli aveva dato qualche consiglio di vita.
<< Uhm… senti, Delphi… io per prima… forse non dovevo chiederti di toccare le tue corna, sono stato maleducato. Non sapevo che fosse offensivo. Ho scoperto da poco questa cosa del Multiverso e non conosco il galateo.>> Si grattò la chioma ametista cercando anche di evitare di incrociare il suo sguardo.
<< No, non è quello il problema. È che nessuno mi ha mai chiesto una cosa del genere, di solito hanno paura. Mi fa strano che attraggano qualcuno.>>
Sono d’accordo con buona parte di voi lettori, i gusti fisici di Cedric sono strani, ma paese che vai usanze che trovi.
<< Se... se vuoi toccarle… p… puoi!>> Quasi lo urlò. << Sono solo corna infondo. Nulla di che...>>
L’altro deglutì, dopotutto era si era davvero emozionato.
Avvicinò le mani verso i lati della testa da cui spuntavano le due protuberanze ossee.
<< Ti stavo cercando, Delphi.>> Argento si mise in mezzo con alcuni vecchi fogli sottobraccio. << Mi servirebbe il tuo aiuto per un lavoro urgente. Gradirei se riprendeste più tardi i vostri riti di accoppiamento.>>
“Riti di accoppiamento”? Sul serio aveva definito quel momento intimo e umano in un modo simile?
Ma non aveva quello che si dice del tatto? Ah no, parlavano di Argento. Era già tanto se aveva permesso di tenere con loro Delphi.
E anche in quell'occasione fece poco simpatiche allusioni ormonali.
Se non fosse lui, avrebbe potuto prenderle per delle battute.
<< P… potremmo riprendere dopo, Cedric!>>
Cedric rimase lì, fermo nel corridoio.
Di sasso. Pietrificato come le pietre che componevano il castello in cui si trovava.
Lucifero, in un moto empatico, gli mise un braccio attorno al collo e lo guardò come si guarda un compagno di guerra traumatizzato.
Gli avrebbe offerto una birra e poi gli avrebbe ricordato quel “riprendere dopo”.
Semeyaza sfogliò un libro, lo aveva cercato nella biblioteca dopo che era iniziata quella babele. Era un libro di fiabe, lo aveva letto anni prima. Lo stesso che di cui parlava l’altro angelo.
L’autore era un personaggio sconosciuto, di cui non si sapeva nemmeno il sesso, ma aveva riscosso un certo successo tra le creature sovrannaturali.
Le sue fiabe sembravano raccontare cose che gli dei stessi avevano dimenticato.
<< Nyamh Merzhin… farò delle ricerche su di lui.>>
<< Eh?>>
Cedric ebbe qualche secondo per realizzare le sue parole, credeva di averle sole pensate. È incredibile quanto un uomo con un Q.I. sopra i duecento punti possa essere stupido.
I suoi occhi viola si specchiarono per qualche istante in quelli neri della ragazza, si poteva sentire l’imbarazzo. Se qualcuno fosse passato tra i due si sarebbe scontrato contro un muro immaginario.
Un durissimo muro.
Inutile dire che una ragazza dolce e pura come Delphi non poté che andarsene di corsa lasciandolo lì, seduto, con l’aria di chi voleva sbattere la testa con il tavolo sino a dimenticare tutto.
Semeyaza aveva assistito a tutta la scena evitando di proferire parola, si era limitato a leggere il suo quotidiano come ogni mattina vivendo qualche piacevole momento di vita familiare.
Santo cielo, anche i suoi figli si sarebbero ridotti come lui da grandi?
<< Non posso credere di averlo detto ad alta voce...>>
<< Nel Secondo Mondo potrebbe denunciarti per molestai sessuale, sai?>> Commentò l’angelo. << Ma infondo lei non è un “demone”. In ogni caso hai fatto una pessima figura, non sei mai uscito con una ragazza?>>
<< Mai.>>
<< … Immaginavo.>> Posò il giornale sul tavolo, si tolse gli occhiali che ogni tanto usava per far riposare gli occhi riponendoli nella tasca della camicia e si alzò. << Ti spiegherò un paio di cose, dopotutto sono Semeyaza.>> Concluse calmo.
Cuore di padre.
Passando in un’altra ala del castello che usavano come base, Delphi tentò di smettere di arrossire per quelle parole.
E qui casca l’asino se mi permettete.
Tutta questa faccenda di “parole sbagliate” era un colossale equivoco. Le sue parole erano state perfette.
Delphi Apotropaeos, età 23 anni, gruppo sanguigno AB-, precedente professione: pizia.
Nei ventitré anni che aveva vissuto nel Tempio della Musica nel Dodicesimo Mondo non aveva mai sentito dire, neanche dei suoi tutori, una parola positiva sulle due corna che le spuntavano ai lati della testa.
Per quanto nel Secondo Mondo fosse normale avere delle corna, una condizione comune al 75% alla specie dominante, negli altri non era così diffusa. Era nel medesimo tempo visto come qualcosa di divino e demoniaco.
Qualcosa da cui tenersi alla larga.
Come un mostro.
<< Le tue corna sono affascinanti.>>
Parole dannatamente semplici, forse dette per caso, ma per lei erano nuove. Quale persona le avrebbe mai detto cose del genere?
… Tutti i membri della sua nuova famiglia.
C’era un qualcosa di divertente nel modo in cui Cedric l’aveva portata via dal tempio.
Lo aveva chiamato: << Il miglior rapimento della storia.>>
Ma più che un rapimento ai suoi occhi era un salvataggio.
Quando era giunta al castello, Argento le aveva messo a disposizione, come per tutti, la sua biblioteca. Aveva comprato lui stesso, nel corso della sua vita, ogni singolo volume presente. Doveva essere qualcosa nell’aria del castello, ma era riuscita capire immediatamente ogni parola nonostante la lingua diversa.
Riflettendoci bene ognuno di loro era di un etnia differente, ma riuscivano a dialogare senza barriere linguistiche. Nessuno sembrava notarlo.
In ogni caso, il primo volume che iniziò a leggere fu un romanzo fantastico chiamato “Peter Pan”. Le veniva un po’ da paragonarsi a Wendy, anche se ciò la portava ad immaginare Argento nel ruolo di Campanellino e la cosa aveva una piccola vena di… demenzialità. Non che non riuscisse ad immaginarsi l’androgino uomo in un abito da donna, anzi era certa che sarebbe stato bene, ma vederlo svolazzare qua e là era strano.
Questo faceva degli altri i bimbi sperduti, nonostante tutti loro fossero più vecchi di lei. Sétanta, il più giovane dopo lei e Cedric, aveva circa quaranta anni.
<< Stai facendo sogni su Argento nel ruolo di Campanellino?>>
Lucifero spuntò alle sue spalle.
<< Ah, signor Lucifero!>>
<< Lucy. Chiamami Lucy, Del.>> Rispose divertito, nessuno lo chiamava “signore” da quando era corso seminudo per i giardino di Morte. E per semi, intendo che era coperto da uno striminzito fazzoletto, anche sporco.
<< Va bene… Lucy, ma come ha indovinato?>>
<< Sono mezzo sbronzo, credo influisca molto sul mio cervello.>> Disse mostrando una bottiglia di birra, una di quelle sottomarche che compri quando hai solo voglia di una sbornia triste. << Allora, che ti succede? Guai con il mappamondo? È vecchio, il Munighainestein è descritto come repubblica quando è una dittatura da settant’anni.>>
<< No, è che… Cedric… lui...>> Arrossì improvvisamente come un peperone, persino le corna grigie cambiarono colore. L’angelo aumentò il suo sorriso, allora è così che stavano le cose.
Era proprio come immaginava, tra quei due era scoccata la scintilla sin dal primo momento.
Ah, l’amore a prima vista.
Certo, lui era più propenso alla botta e via, allo scopamicizia o, al massimo, una relazione basata sul sesso iniziata sotto il falso nome di Juan Espacio (identità di cui aveva un buon numero di falsi documenti), ma accettava benissimo che gli altri si dessero a un’insensata relazione duratura.
Infondo lui chi era per mettersi in mezzo? Beh, sempre che non fosse interessato alla ragazza, ma questo non era il caso.
Aveva occhioni troppo da cucciolo per fargli passare l’idea anche solo per l’anticamera del suo, al momento, non molto attivo cervello.
<< Ti ha fatto delle avance?>> Domandò allusivo.
<< Ha… beh.. chiesto di toccare le mie corna.>>
<< Significa molestia? In alcuni Mondi lo è, se ti dicono che non lo è mentono. Esperienza personale.>>
La ragazza aumentò il rossore. Il primo amore è sempre magnifico.
Era per lui l’occasione di dire qualcosa di importante, di grande, che sarebbe stato d’aiuto e li avrebbe fatti fidanzare. Quello che fa un amico.
Ma non voleva mentirgli facendo vane promesse.
<< L’amore io non lo capisco, ne ci credo. Ma magari mi sbaglio. Non posso dirti se i tuoi o i suoi sentimenti siano veri o meno, questo lo sapete solo voi due, così come non so se siete perfetti insieme. Penso solo che le persone debbano cercare qualcuno che li completino, che dia vita a un rapporto felice. Certo, non si può essere sempre tali. Litigherete, alle volte vi infurierete, magari non vorrete parlarvi per giorni, ma se poi, a fine giornata, tutto scompare, vi abbracciare e vi sorridete… sai, quello è ciò che cerchi e, se lo trovi, tientelo stretto perché potrebbe sfuggirti. Ma non ti consiglio di fidarti del tutto delle parole di Satana in campo romantico.>> Spiegò Lucifero.
La ragazza annuì, nonostante tutto era molto saggio. Non aveva vissuto tanti secoli senza imparare nulla dalla vita.
Sperava di essere stato utile, non aveva potuto trasmettere molte lezioni di vita a suo fratello minore. Ora poteva vantarsi di avere anche una sorellina.
Le mise una mano sui capelli scuri.
<< Vai a vedere come va a finire, faccio il tifo per te.>>
La ragazza tornò di corsa indietro, pronta a parlarne con Cedric. O almeno iniziare.
Lucifero alzò gli occhi verso il soffitto di pietra, una parte di lui rideva. Gli ricordava una favola di un libro per bambini che aveva letto nella Biblioteca di Morte.
Diamine,non ricordava come si intitolava. Aveva un titolo strano e lungo… mah, non importava.
Cedric fu spinto davanti a lei da Semeyaza, era giunto il momento di fare il ruolo del padre. Gli aveva dato qualche consiglio di vita.
<< Uhm… senti, Delphi… io per prima… forse non dovevo chiederti di toccare le tue corna, sono stato maleducato. Non sapevo che fosse offensivo. Ho scoperto da poco questa cosa del Multiverso e non conosco il galateo.>> Si grattò la chioma ametista cercando anche di evitare di incrociare il suo sguardo.
<< No, non è quello il problema. È che nessuno mi ha mai chiesto una cosa del genere, di solito hanno paura. Mi fa strano che attraggano qualcuno.>>
Sono d’accordo con buona parte di voi lettori, i gusti fisici di Cedric sono strani, ma paese che vai usanze che trovi.
<< Se... se vuoi toccarle… p… puoi!>> Quasi lo urlò. << Sono solo corna infondo. Nulla di che...>>
L’altro deglutì, dopotutto era si era davvero emozionato.
Avvicinò le mani verso i lati della testa da cui spuntavano le due protuberanze ossee.
<< Ti stavo cercando, Delphi.>> Argento si mise in mezzo con alcuni vecchi fogli sottobraccio. << Mi servirebbe il tuo aiuto per un lavoro urgente. Gradirei se riprendeste più tardi i vostri riti di accoppiamento.>>
“Riti di accoppiamento”? Sul serio aveva definito quel momento intimo e umano in un modo simile?
Ma non aveva quello che si dice del tatto? Ah no, parlavano di Argento. Era già tanto se aveva permesso di tenere con loro Delphi.
E anche in quell'occasione fece poco simpatiche allusioni ormonali.
Se non fosse lui, avrebbe potuto prenderle per delle battute.
<< P… potremmo riprendere dopo, Cedric!>>
Cedric rimase lì, fermo nel corridoio.
Di sasso. Pietrificato come le pietre che componevano il castello in cui si trovava.
Lucifero, in un moto empatico, gli mise un braccio attorno al collo e lo guardò come si guarda un compagno di guerra traumatizzato.
Gli avrebbe offerto una birra e poi gli avrebbe ricordato quel “riprendere dopo”.
Semeyaza sfogliò un libro, lo aveva cercato nella biblioteca dopo che era iniziata quella babele. Era un libro di fiabe, lo aveva letto anni prima. Lo stesso che di cui parlava l’altro angelo.
L’autore era un personaggio sconosciuto, di cui non si sapeva nemmeno il sesso, ma aveva riscosso un certo successo tra le creature sovrannaturali.
Le sue fiabe sembravano raccontare cose che gli dei stessi avevano dimenticato.
<< Nyamh Merzhin… farò delle ricerche su di lui.>>
La Guerra Segreta di ???: L'inquilino del 7-C
Aveva deciso di prendersi qualche giorno di libertà dal suo lavoro a tempo pieno, aveva affidato tutto ai suoi colleghi, riempito una valigia con l’indispensabile per qualche settimana fuori, un paio di migliaia di dollari ed affittato un appartamento in periferia.
Ogni giorno per uscire si vestiva allo stesso identico modo, un pesante cappotto giallo spento, di quelli che sembravano usciti da un film d'investigazione, un cappello, occhiali da sole e una mascherina chirurgica, una di quelli che i giapponesi usano quando sono raffreddati. Nessuno degli inquilini poteva vantarsi di averlo visto in faccia nemmeno una volta.
Appena tornava nel suo appartamento, il 7-C, finiva sempre per chiudersi a guardare la televisione o a cucinarsi qualcosa, si poteva sentire un profumo straordinariamente buono. Alcuni avevano iniziato a pensare fosse uno chef professionista come quelli dei programmi televisivi che andavano tanto di moda. Persino quando riceveva la visita di qualche curioso era coperto dalla testa ai piedi.
Ogni tanto sentiva bussare alla porta e ogni volta che dava un’occhiata allo spioncino non vedeva nulla. Qualche simpaticone che si divertiva a disturbare le sue ferie?
Entrò nel palazzo con in mano la spesa, aveva deciso di prepararsi qualcosa di buono, di speciale. Qualsiasi cosa si pensasse non preparava piatti troppo complessi, si limitava a usare le ricette che sua madre gli aveva insegnato quando era in vita.
<< L’ascensore è rotto. La solita sfortuna.>> Biascicò con una nota di fastidio. Farsi tre piani di scale a piedi non era la cosa migliore, non che non ne avesse la forza. Semplicemente odiava quando non poteva ottimizzare il suo tempo.
Guardò l’orologio al polso della mano destra.
<< Farò tardi per i cartoni animati, oggi c’è quella serie che mi piace.>> Aggiunse al suo monologo.
I cartoni animati non erano propriamente la sua passione, ma qualche rara volta riusciva a trovare qualcosa di bello da guardare. I restanti programmi che trovava in quella rete erano telegiornali di dubbio livello, giornalisti che teoricamente erano super partes che esaltavano la propria fazione come cagnolini scodinzolanti, e i già citati programmi di cucina. Era una gara allo squallore.
Solitamente quando non lavorava, in patria, si chiudeva in stanza a vedere qualche DVD, ne aveva accumulata una bella collezione col tempo. Alcuni suoi assistenti commentavano che ormai poteva quasi definirsi un esperto di cinematografia, passava da semplici commedie a opere reperibili solo e soltanto sotto forma di pizza per vecchie cineprese.
Un peccato averli lasciati quasi tutti a casa, ne avrebbe dovuto comprare uno alla prossima uscita insieme ad un paio di cuffie.
Anche perché la tizia della porta accanto non faceva altro che urlare al telefono come in crisi isterica, non riusciva nemmeno a capire una singola parola. Santo cielo, quando odiava quando la gente non faceva altro che strepitare. Si erano evoluti dallo stato di comune bestia da secoli ormai, c'era bisogno di dimostrare quanto se lo fossero meritati.
Poi, i suoi pensieri sull’evoluzionismo, vennero interrotti da una vocina proveniente dal basso. Da dietro gli occhiali da sole abbassò lo sguardo.
<< Ehilà.>>
<< … Ehilà.>> Rispose al saluto della bambina.
Si chiese se i suoi genitori non le avessero insegnato a non rivolgere la parola ai tizi sospetti, sua madre Cordelia lo faceva spesso quando era piccolo. Una volta si beccò un battipanni dove non batte il sole per averle disobbedito.
<< Ci dai una mano con la spesa?>> Chiese indicando una donna che, come lui poco prima, osservava il cartello sull’ascensore mentre teneva in mano delle buste della spesa.
Sfacciata e senza nessun istinto di autoconservazione della propria sicurezza. Quella bambina che razza di educazione aveva ricevuto?
Non se la sarebbe cavata nemmeno dieci minuti dove era cresciuto lui! Senza contare che lui stesso aveva una busta piuttosto pesante.
<< Andiamo, sei sul metro e novanta per… sono quasi certa potresti strangolare un toro a mani nude.>>
<< …Okay, perché no.>>
Ma aveva sempre apprezzato la faccia tosta.
Accompagnato dalla piccoletta si presentò alla madre, ebbe un sussulto prima di capire di chi si trattasse. Non si faceva troppe domande sul suo strano abbigliamento, aveva incontrato alcune persone con problemi della pelle costrette a vestirsi in modo simile… forse meno ridicolo, ma la base era quella.
Si caricò tutte le buste da solo, si sentì quasi in dovere all’improvviso. Da una semplice cortesia tra abitanti della stessa palazzina si era passata a vera e propria galanteria.
Ma quella sarebbe stata la prima e ultima volta, non aveva il tempo o la voglia per farlo spesso.
<< Grazie, signor… ?>> Non si era mai presentato a nessuno.
<< Jungsievers.>> Rispose salendo le scale.
<< Jungsievers? Un cognome strano se mi permette.>>
Scioccò la lingua cercando di non farsi sentire, era il cognome di sua madre, ovvio che non permetteva. Ma sua madre gli aveva anche insegnato che alle volte era meglio fare silenzio.
<< Significa più o meno “Piccolo Sigfrido”, mamma!>>
La bambina si intromise nella discussione. Era piuttosto sveglia per la sua età, non credeva che una di… quanto? Nove? Dieci anni forse? Conoscesse il tedesco.
Forse uno dei suoi genitori era tedesco? In ogni caso si complimentò con la madre, la cultura andava sempre stimolata.
La risposta della madre lo stupì, sembrava, infatti, che la bambina avesse appreso tutta da sola prendendo un dizionario francese-tedesco e divorandoselo in un pomeriggio.
Sembrava essere quello che chiamavano un “Talento”, o come lo chiamavano altri “Abilità Assoluta” per l’esattezza dove trattarsi di “Apprendimento Assoluto”. Un talento era come si definiva la possibilità di una persona di portare all’estremo una propria qualità, ovviamente senza fatica ed impegno restava solo un seme che non sbocciava.
I talentuosi si attestavano, in quel Mondo, a meno di cento individui.
Con meno roba tra le mani le avrebbe fatto un applauso. Si chiedeva come facessero due sole persone a mangiare tutta quella roba, sembravano riserve da disastro nucleare o terremoto, inutili al terzo piano di un palazzo.
<< Siete solo voi due?>> Chiese. Gli venne naturale, quasi senza pensarci.
<< Sì, solo io e la piccola. E Lei, signor Jungsievers? Vive da solo?>>
<< Sono in vacanza da lavoro. Di solito convivo con quattro coinquilini, la maggior parte di loro non abbassa mai la tavoletta.>> Commentò con un particolare non richiesto e non necessario. Si poteva udire il suo tremendo fastidio.
La donna ridacchiò. Non immaginava che quel tipo potesse essere simpatico.
Raggiunto il piano posò a terra le buste, non sapeva fosse la vicina che urlava, non gli sembrava buona educazione entrare negli appartamenti altrui. Sopratutto se era la casa di una signora e di sua figlia.
E non vestito come la versione pezzente di Umperio Bogarto.
<< Perché indossa tutta quella roba?>> La bambina non ebbe peli sulla lingua facendo una domanda a bruciapelo.
La madre aveva lo sguardo di chi aveva appena visto il proprio cane investito, non poteva fare domande simili agli sconosciuti! Era maleducazione!
Jungsievers piegò sulle ginocchia e la guardò faccia faccia alla sua stessa altezza, per strada avrebbero chiamato al polizia e lo avrebbero portato via.
<< Perché sono brutto, molto brutto.>>
<< Come il mostro di Victor Frankenstein?>>
<< … I bambini direbbero come la Bestia, ma sì. Il concetto è quello.>> Concluse leggermente sorpreso.
Jungsievers era davvero brutto sotto tutti quegli abiti, non si trattava di semplice timidezza, ma di un qualcosa che voleva nascondere alla vista di chiunque. Era la sua maledizione.
Nessuna clinica chirurgica o medico poteva cambiargli i connotati facciali, ci aveva provato, ma ogni risultato era stato inutile o temporaneo.
Detto ciò si limitò a fare un saluto e a tornare nel suo appartamento. Accese la televisione, si sedette sul divano e, calmo, commentò tra sé e sé.
<< Diamine, è finito.>>
Col tempo finì per abituarsi a quella donna e alla sua strana bambina, a differenza del resto degli inquilini loro non si spaventavano o parlottavano alle sue spalle. Credevano forse fosse sordo?
Alle volte si divertiva ad apparire loro alle spalle, nonostante le dimensioni aveva avuto sempre un passo leggero come un ballerino. Ereditato dal padre, pareva.
Quello fu l’ennesimo giorno che saliva le scale, si era ritrovato a dover comprare a quella ragazzina delle caramelle, non si aspettava che una nanerottola fosse così brava a poker. Aveva anche barato nascondendo gli assi nell’impermeabile!
<< Esci di qui immediatamente!>>
Sentì un litigio, stavolta era comprensibile e sapeva di chi si trattava. Si avvicinò alla porta del 6-C, era rimasta socchiusa. Strano, la signora teneva molto alla sicurezza sua e della figlia, aveva anche fatto montare una serratura extra.
Porse l’orecchio e quello che sentì non gli piacque nemmeno lontanamente. Gli provocò solo un profondo senso d’ira.
Aprì la porta ed entrò dentro a passo svelto, gli stivali facevano un pesante rumore, come un presagio.
<< Stai bene, Rebecca?>> Chiese Jungsievers avvicinandosi a lei. << No, direi di no.>> Si rispose da solo guardandola.
Odiava quando un uom… no, una merda faceva una cosa del genere a una donna. Quello non era un uomo, era solo merda fumante. Un uomo non alza le mani su una donna in quel modo.
Un uomo non alza le mani su qualcuno che non si può difendere.
<< Rebecca siediti, dopo cureremo quell’occhio nero, stai tranquilla. Chiameremo anche la polizia e lo denunceremo, va bene? Testimonierò io stesso.>> Disse con un tono di voce dolce, come un figlio che si rivolgeva alla madre.
Si girò verso l’uomo che l’aveva colpita. Era grosso anche più di lui, a una prima vista doveva essere sui due metri, muscoloso seppur magro, aveva la barba ispida tipica di chi non si rasava da minimo una settimana. Il naso era di un colore rosso, uguale alle sue guance e l’odore emanato era quello di un pessimo vino comprato in qualche negozietto in fallimento.
Ubriaco, eh?
<< Saresti, strambo?>> Anche la voce distorta era quella di un ubriaco, non si reggeva in piedi. << Che cazzo v…>>
Volò via contro il muro del corridoio senza nemmeno avere la possibilità di finire la domanda, il calcio che aveva ricevuto era paragonabile a quello di un soldato specializzato nel muay thai. Si era, però, impegnato nel non rompergli nulla.
Non ancora.
Si mosse verso di lui. Giunto dinanzi a lui, lo prese per il colletto della maglia sporca, alzandolo poi di peso. La bambina fece una battuta su lui che poteva strangolare un toro, la comicità stava che lui poteva strangolare un rinoceronte a mani nude come se stesse strizzando una spugna bagnata.
Usando la mano libera aprì una porta dell’ascensore e lo lasciò sospeso nel vuoto. Bastava una mossa per lasciarlo morire spiaccicato.
<< La tua vita è appesa a un filo, ucciderti per me non è un niente, come calpestare una piccola formica. Sparirei nel nulla dopo tre minuti e la polizia non mi troverebbe mai, scomparirei dalla faccia della Terra. La differenza è che io sarei vivo da qualche parte, ma tu… tu, amico mio, saresti ottimo concime.>> Iniziò, il suo tono era freddo, come un cubetto di ghiaccio ficcato in gola con la forza. << Rebecca è gentile, buona, ama sua figlia. Sono sorpreso che la piccola abbia anche il tuo DNA, ma dal letame nascono i fiori. Mio padre era assente, pieno di difetti, ma non ha mai nemmeno osato pensare di alzare un dito su mia madre. Mai. La rispettava. Ora facciamo un accordo: io non ti ucciderò, non ti romperò nemmeno un osso, tu in cambio non ti farai mai più vedere. Se rifiuti, beh, te l’ho spiegato sopra. Mi pare un buon patto.>>
Ovviamente stava mentendo, appena lontano avrebbe chiamato al polizia e lo avrebbe denunciato.
Avrebbe testimoniato e lo avrebbe fatto condannare. Gli avrebbe fatto passare tutti i restanti anni della sua vita in una sudicia cella.
Dietro le lenti scure degli occhiali da sole, gli occhi brillavano di rabbia e disprezzo. Come fiamme infernali.
L’uomo annuì e lasciò che corresse verso le scale in preda al panico. Poteva scappare, ma non nascondersi. Per trovarlo aveva tutto il tempo del Mondo.
Al confronto con la sua punizione, la strage di Bet Shemesh sarebbe stata una partita di pallavolo.
Jungsievers tornò nell’appartamento e, preso un po’ di ghiaccio, inizio a medicare con delicatezza la ferita. Si sentiva uno schifo, avrebbe potuto curarla immediatamente col il Craft, ma facendolo avrebbe cancellato le prove del crimine.
Gli stava salendo su per la gola un conato di vomito. Lo tirò in giù.
Non poteva sopportare una donna in quello stato, gli faceva tornare in mente sua madre.
<< Se mia figlia chiede… inventa una scusa.>>
<< Una scusa?>> Chiese dubbioso. << Perdonami, ma non credo sia la cosa giusta. Ho già chiamato la polizia, arriveranno presto.>> Disse indicando il telefono mentre metteva disinfettante e garze al loro posto. << E poi sarebbero inutili, lei è intelligente. Più di me, lo ha già capito da un pezzo. A quell’età siamo… cioè sono molti sagaci.>>
Parlava per esperienza. Ah perché la vita è un ripetersi di eventi sbagliati? Gli dei non avevano pietà?
Perché ogni tanto non abbassavano lo sguardo sui mortali?
All’arrivo degli agenti, la denuncia fu fatta in una mezz’ora scarsa. L’addetto all’identificazione ebbe un po’ di problemi quando l’uomo si scoprì il volto. Rimase impietrito e quando rinvenne ebbe la tentazione di puntargli contro la pistola.
L’altro, forse di grado più alto, non giudicò. Si limitò ad aggiustarsi gli occhiali da vista sul naso, finire di segnare tutto sul suo taccuino e commentare che avrebbero fatto del loro meglio. La sua tono di voce lasciava capire che le speranze erano basse.
La legge è uguale per tutti, se sei fortunato però la legge è più giusta.
Junsievers lasciò il suo numero alla vicina, nel caso avesse avuto problemi fuori casa. Sarebbe giunto, letteralmente, in un secondo.
Passò circa una settimana e mezza. Undici giorni, otto ore, venti minuti e dieci secondi. Aveva sempre avuto un talento per calcolare lo scorrere del tempo.
Tornava la tranquillità si era cucinato una cenetta leggera, aveva guardato un po’ dei pochi programmi televisivi che non facevano schifo e, bevuto un bicchiere di vino, decise di andare a letto. Non faceva parte di quel gruppo di esseri che avevano il lusso di evitare il mangiare e il dormire, se voleva andare avanti doveva occuparsene.
Prima che potesse chiudere la luce sentì un ripetuto bussare alla porta, un ripetersi agitato. Caotico.
Aprì la porta ritrovandosi dinanzi quella piccola bambina in preda alle lacrime e al panico. Era corsa talmente velocemente da non avere più fiato.
Junsievers si abbassò prendendola con calma per le spalle, cercò di calmarla il più possibile. Se restava agitata non poteva spiegargli nulla.
<< La mamma è… la mia mamma...>>
Realizzò e raggelò. Si sentì pesante dentro.
Come un macigno.
Come se lui fosse Sisifo e il macigno gli rotolasse addosso.
Corse. Corse veloce nella stanza accanto.
Come era possibile che non avesse sentito nulla? Né un urlo, né singola parola o rumore.
Che potesse essere un potere Craft inconscio? Era raro, ma non impossibile.
Un annullamento sonoro.
La porta era aperta, le serrature scassinate e rotte. Entrò e basta.
Rimase fermo qualche secondo ad osservare la scena.
Il corpo era ridotto male, aveva infierito senza pietà. Neppure la miglior pompa funebre avrebbe potuto rimetterla insieme.
Ma lui sì, non poteva resuscitare i morti, ma poteva riportare il corpo al suo stato originario.
<< “Terminus post quem”...>> Avvicinò la mano al volto e, in poco, come se le lancette di un orologio fossero andate indietro, il cadavere tornò intero.
Sembrava morta in modo naturale, tranquilla, nel sonno.
Con un ultimo atto di gentilezza le posò un tovagliolo bianco sul volto.
La parte in cui faceva il bravo ragazzo era finita. Ora giungeva il momento del castigo.
L’uomo tornò nella sua diroccata casa, era ancora sporco di sangue. Voleva solo cambiarsi e scappare il più velocemente possibile da quello strambo.
Aveva pronta la valigia e aveva già chiuso le finestre. Non lo avrebbe mai trovato in tempo.
<< Stai partendo, papino?>>
Trasalì.
Seduto su una poltrona logora, Jungsievers, lo stava attendendo con l’aria di chi aspettava di schiacciare una mosca fastidiosa che da troppo tempo gli ronzava attorno.
Come era entrato? Aveva chiuso la porta a chiave!
La porta che era… murata…
Quando la vide rimase fermo, impossibilitato a comprendere. La porta era stata bloccata da un improvviso muro di mattoni e cemento, quando un singolo secondo prima era libera. Come una magia.
Si rigirò, pronto a fare qualcosa, ma rimase nuovamente di sasso.
Dove sedeva prima l’uomo in impermeabile, ora era presente qualcuno di diverso. Di ancora più assurdo.
A gambe divaricate, era presente un uomo a petto nudo, coperto a un lungo cappotto con pelliccia bianco latte, pantaloni di pelle neri e le mani ricoperte di anelli e orologi d’oro che stonavano con la sua collana dal lucchetto di ferro prossimo alla ruggine. Il suo volto era, infine, coperto da una maschera dalle sembianze di formica.
<< Mi presento, l’ultima volta non abbiamo avuto la possibilità. Io mi chiamo Akheilos Jungsievers. Piacere. E lui è il mio socio Vertigo.>> Commentò indicando con l’indice un uomo alle sue spalle.
Crack. Fu doloroso.
Urlava come un cane.
Il secondo uomo che aveva indicato, gli aveva appena rotto una gamba con un grosso martello da guerra. La sua maschera da uccello non lasciava trasparire nulla.
Si era comportato come se battesse un singolo chiodo.
<< Fa male, vero? Io e Vertigo giocheremo un po’ con te. Non sembra con quel fisico magrolino, ma lui è molto forte. Con quel martello può fracassare un cranio come fosse un salvadanaio.>>
<< N... non dovresti lasciare che s… sia la legge a giudicarmi?>> Chiese tenendosi la gamba dolorante, l’osso spaccato stava uscendo di fuori. Stava cercando di far leva sul suo senso di giustizia. << Saresti uguale a me altrimenti, no?>>
Gli calpestò l’altra gamba. Faceva più male del martello.
<< Certo che farò giustizia. Nel mio nome, Akheilos il futuro Dio, io ti punisco per i tuoi peccati. Rattristati di non aver incontrato un dio gentile.>> Fece una pausa. << Te lo avevo detto, no? Che ti avrei ucciso se ti fossi avvicinato di nuovo a loro, e io rispetto sempre le mie promesse.>>
Brettone rimase accanto alla bambina fuori dalla casa. Si chiedeva se andasse bene farle sentire i rumori del padre che veniva torturato. Quella non era giustizia, era vendetta.
Pura e semplice vendetta.
<< Se vuoi possiamo andarcen...>>
<< No. Voglio restare.>> Rispose ferma. << Questo è mio dovere. Non posso distogliere lo sguardo.>>
Una bambina incredibilmente coraggiosa. Ammirevole.
L’anziano uomo alzò il viso verso la casa, volendo imitare la piccola.
<< Akheilos è come te. Anche lui ha perso sua madre da piccolo, si ammalò di uremia. Forse per questo ha così a cuore le donne.>>
<< E suo padre? Era come il mio?>>
<< No, era un cattivo padre, ma era un brav'uomo. Non seppe per molti anni di lui, ma quando lo scoprì fece del suo meglio per crescerlo, ma alcuni non sono fatti per avere figli. Tutti noi abbiamo perso qualcuno. Chi una madre, chi un fratello, chi un figlio e chi un’amante. Per questo seguiamo Akheilos.>>
La bambina non capì.
<< Akheilos diventerà il Dio che tratterà tutti allo stesso modo. Per questo abbiamo scelto di condividere la sua maledizione.>> Concluse toccandosi la maschera da pesce. Uno maledetto, tutti maledetti.
Come distorti moschettieri.
<< E la vendetta ci farà stare meglio?>>
<< Mentirei se dicessi di sì. E anche se dicessi di no.>>
Sophie aprì gli occhi, si era fatta un sonnellino fuori orario sulla scrivania. Questo succede quando accumuli troppo lavoro non svolto.
Prese un sorso dalla bevanda accanto al portapenne. Era ancora calda, il re o qualcun altro doveva essere passato a sostituire la tazza.
I soliti, facevano sempre cose non richieste.
Ma la sua seconda famiglia era così.
Sophie Dubois, unitasi circa 10 anni dopo la perdita dei suoi genitori all’Unione. Attualmente è contessa di Thule, stratega dell’organizzazione e ministra della cultura del regno. Passò alla storia per aver scritto le prime leggi sull’uguaglianza di genere della storia di Thule.
Ogni giorno per uscire si vestiva allo stesso identico modo, un pesante cappotto giallo spento, di quelli che sembravano usciti da un film d'investigazione, un cappello, occhiali da sole e una mascherina chirurgica, una di quelli che i giapponesi usano quando sono raffreddati. Nessuno degli inquilini poteva vantarsi di averlo visto in faccia nemmeno una volta.
Appena tornava nel suo appartamento, il 7-C, finiva sempre per chiudersi a guardare la televisione o a cucinarsi qualcosa, si poteva sentire un profumo straordinariamente buono. Alcuni avevano iniziato a pensare fosse uno chef professionista come quelli dei programmi televisivi che andavano tanto di moda. Persino quando riceveva la visita di qualche curioso era coperto dalla testa ai piedi.
Ogni tanto sentiva bussare alla porta e ogni volta che dava un’occhiata allo spioncino non vedeva nulla. Qualche simpaticone che si divertiva a disturbare le sue ferie?
Entrò nel palazzo con in mano la spesa, aveva deciso di prepararsi qualcosa di buono, di speciale. Qualsiasi cosa si pensasse non preparava piatti troppo complessi, si limitava a usare le ricette che sua madre gli aveva insegnato quando era in vita.
<< L’ascensore è rotto. La solita sfortuna.>> Biascicò con una nota di fastidio. Farsi tre piani di scale a piedi non era la cosa migliore, non che non ne avesse la forza. Semplicemente odiava quando non poteva ottimizzare il suo tempo.
Guardò l’orologio al polso della mano destra.
<< Farò tardi per i cartoni animati, oggi c’è quella serie che mi piace.>> Aggiunse al suo monologo.
I cartoni animati non erano propriamente la sua passione, ma qualche rara volta riusciva a trovare qualcosa di bello da guardare. I restanti programmi che trovava in quella rete erano telegiornali di dubbio livello, giornalisti che teoricamente erano super partes che esaltavano la propria fazione come cagnolini scodinzolanti, e i già citati programmi di cucina. Era una gara allo squallore.
Solitamente quando non lavorava, in patria, si chiudeva in stanza a vedere qualche DVD, ne aveva accumulata una bella collezione col tempo. Alcuni suoi assistenti commentavano che ormai poteva quasi definirsi un esperto di cinematografia, passava da semplici commedie a opere reperibili solo e soltanto sotto forma di pizza per vecchie cineprese.
Un peccato averli lasciati quasi tutti a casa, ne avrebbe dovuto comprare uno alla prossima uscita insieme ad un paio di cuffie.
Anche perché la tizia della porta accanto non faceva altro che urlare al telefono come in crisi isterica, non riusciva nemmeno a capire una singola parola. Santo cielo, quando odiava quando la gente non faceva altro che strepitare. Si erano evoluti dallo stato di comune bestia da secoli ormai, c'era bisogno di dimostrare quanto se lo fossero meritati.
Poi, i suoi pensieri sull’evoluzionismo, vennero interrotti da una vocina proveniente dal basso. Da dietro gli occhiali da sole abbassò lo sguardo.
<< Ehilà.>>
<< … Ehilà.>> Rispose al saluto della bambina.
Si chiese se i suoi genitori non le avessero insegnato a non rivolgere la parola ai tizi sospetti, sua madre Cordelia lo faceva spesso quando era piccolo. Una volta si beccò un battipanni dove non batte il sole per averle disobbedito.
<< Ci dai una mano con la spesa?>> Chiese indicando una donna che, come lui poco prima, osservava il cartello sull’ascensore mentre teneva in mano delle buste della spesa.
Sfacciata e senza nessun istinto di autoconservazione della propria sicurezza. Quella bambina che razza di educazione aveva ricevuto?
Non se la sarebbe cavata nemmeno dieci minuti dove era cresciuto lui! Senza contare che lui stesso aveva una busta piuttosto pesante.
<< Andiamo, sei sul metro e novanta per… sono quasi certa potresti strangolare un toro a mani nude.>>
<< …Okay, perché no.>>
Ma aveva sempre apprezzato la faccia tosta.
Accompagnato dalla piccoletta si presentò alla madre, ebbe un sussulto prima di capire di chi si trattasse. Non si faceva troppe domande sul suo strano abbigliamento, aveva incontrato alcune persone con problemi della pelle costrette a vestirsi in modo simile… forse meno ridicolo, ma la base era quella.
Si caricò tutte le buste da solo, si sentì quasi in dovere all’improvviso. Da una semplice cortesia tra abitanti della stessa palazzina si era passata a vera e propria galanteria.
Ma quella sarebbe stata la prima e ultima volta, non aveva il tempo o la voglia per farlo spesso.
<< Grazie, signor… ?>> Non si era mai presentato a nessuno.
<< Jungsievers.>> Rispose salendo le scale.
<< Jungsievers? Un cognome strano se mi permette.>>
Scioccò la lingua cercando di non farsi sentire, era il cognome di sua madre, ovvio che non permetteva. Ma sua madre gli aveva anche insegnato che alle volte era meglio fare silenzio.
<< Significa più o meno “Piccolo Sigfrido”, mamma!>>
La bambina si intromise nella discussione. Era piuttosto sveglia per la sua età, non credeva che una di… quanto? Nove? Dieci anni forse? Conoscesse il tedesco.
Forse uno dei suoi genitori era tedesco? In ogni caso si complimentò con la madre, la cultura andava sempre stimolata.
La risposta della madre lo stupì, sembrava, infatti, che la bambina avesse appreso tutta da sola prendendo un dizionario francese-tedesco e divorandoselo in un pomeriggio.
Sembrava essere quello che chiamavano un “Talento”, o come lo chiamavano altri “Abilità Assoluta” per l’esattezza dove trattarsi di “Apprendimento Assoluto”. Un talento era come si definiva la possibilità di una persona di portare all’estremo una propria qualità, ovviamente senza fatica ed impegno restava solo un seme che non sbocciava.
I talentuosi si attestavano, in quel Mondo, a meno di cento individui.
Con meno roba tra le mani le avrebbe fatto un applauso. Si chiedeva come facessero due sole persone a mangiare tutta quella roba, sembravano riserve da disastro nucleare o terremoto, inutili al terzo piano di un palazzo.
<< Siete solo voi due?>> Chiese. Gli venne naturale, quasi senza pensarci.
<< Sì, solo io e la piccola. E Lei, signor Jungsievers? Vive da solo?>>
<< Sono in vacanza da lavoro. Di solito convivo con quattro coinquilini, la maggior parte di loro non abbassa mai la tavoletta.>> Commentò con un particolare non richiesto e non necessario. Si poteva udire il suo tremendo fastidio.
La donna ridacchiò. Non immaginava che quel tipo potesse essere simpatico.
Raggiunto il piano posò a terra le buste, non sapeva fosse la vicina che urlava, non gli sembrava buona educazione entrare negli appartamenti altrui. Sopratutto se era la casa di una signora e di sua figlia.
E non vestito come la versione pezzente di Umperio Bogarto.
<< Perché indossa tutta quella roba?>> La bambina non ebbe peli sulla lingua facendo una domanda a bruciapelo.
La madre aveva lo sguardo di chi aveva appena visto il proprio cane investito, non poteva fare domande simili agli sconosciuti! Era maleducazione!
Jungsievers piegò sulle ginocchia e la guardò faccia faccia alla sua stessa altezza, per strada avrebbero chiamato al polizia e lo avrebbero portato via.
<< Perché sono brutto, molto brutto.>>
<< Come il mostro di Victor Frankenstein?>>
<< … I bambini direbbero come la Bestia, ma sì. Il concetto è quello.>> Concluse leggermente sorpreso.
Jungsievers era davvero brutto sotto tutti quegli abiti, non si trattava di semplice timidezza, ma di un qualcosa che voleva nascondere alla vista di chiunque. Era la sua maledizione.
Nessuna clinica chirurgica o medico poteva cambiargli i connotati facciali, ci aveva provato, ma ogni risultato era stato inutile o temporaneo.
Detto ciò si limitò a fare un saluto e a tornare nel suo appartamento. Accese la televisione, si sedette sul divano e, calmo, commentò tra sé e sé.
<< Diamine, è finito.>>
Col tempo finì per abituarsi a quella donna e alla sua strana bambina, a differenza del resto degli inquilini loro non si spaventavano o parlottavano alle sue spalle. Credevano forse fosse sordo?
Alle volte si divertiva ad apparire loro alle spalle, nonostante le dimensioni aveva avuto sempre un passo leggero come un ballerino. Ereditato dal padre, pareva.
Quello fu l’ennesimo giorno che saliva le scale, si era ritrovato a dover comprare a quella ragazzina delle caramelle, non si aspettava che una nanerottola fosse così brava a poker. Aveva anche barato nascondendo gli assi nell’impermeabile!
<< Esci di qui immediatamente!>>
Sentì un litigio, stavolta era comprensibile e sapeva di chi si trattava. Si avvicinò alla porta del 6-C, era rimasta socchiusa. Strano, la signora teneva molto alla sicurezza sua e della figlia, aveva anche fatto montare una serratura extra.
Porse l’orecchio e quello che sentì non gli piacque nemmeno lontanamente. Gli provocò solo un profondo senso d’ira.
Aprì la porta ed entrò dentro a passo svelto, gli stivali facevano un pesante rumore, come un presagio.
<< Stai bene, Rebecca?>> Chiese Jungsievers avvicinandosi a lei. << No, direi di no.>> Si rispose da solo guardandola.
Odiava quando un uom… no, una merda faceva una cosa del genere a una donna. Quello non era un uomo, era solo merda fumante. Un uomo non alza le mani su una donna in quel modo.
Un uomo non alza le mani su qualcuno che non si può difendere.
<< Rebecca siediti, dopo cureremo quell’occhio nero, stai tranquilla. Chiameremo anche la polizia e lo denunceremo, va bene? Testimonierò io stesso.>> Disse con un tono di voce dolce, come un figlio che si rivolgeva alla madre.
Si girò verso l’uomo che l’aveva colpita. Era grosso anche più di lui, a una prima vista doveva essere sui due metri, muscoloso seppur magro, aveva la barba ispida tipica di chi non si rasava da minimo una settimana. Il naso era di un colore rosso, uguale alle sue guance e l’odore emanato era quello di un pessimo vino comprato in qualche negozietto in fallimento.
Ubriaco, eh?
<< Saresti, strambo?>> Anche la voce distorta era quella di un ubriaco, non si reggeva in piedi. << Che cazzo v…>>
Volò via contro il muro del corridoio senza nemmeno avere la possibilità di finire la domanda, il calcio che aveva ricevuto era paragonabile a quello di un soldato specializzato nel muay thai. Si era, però, impegnato nel non rompergli nulla.
Non ancora.
Si mosse verso di lui. Giunto dinanzi a lui, lo prese per il colletto della maglia sporca, alzandolo poi di peso. La bambina fece una battuta su lui che poteva strangolare un toro, la comicità stava che lui poteva strangolare un rinoceronte a mani nude come se stesse strizzando una spugna bagnata.
Usando la mano libera aprì una porta dell’ascensore e lo lasciò sospeso nel vuoto. Bastava una mossa per lasciarlo morire spiaccicato.
<< La tua vita è appesa a un filo, ucciderti per me non è un niente, come calpestare una piccola formica. Sparirei nel nulla dopo tre minuti e la polizia non mi troverebbe mai, scomparirei dalla faccia della Terra. La differenza è che io sarei vivo da qualche parte, ma tu… tu, amico mio, saresti ottimo concime.>> Iniziò, il suo tono era freddo, come un cubetto di ghiaccio ficcato in gola con la forza. << Rebecca è gentile, buona, ama sua figlia. Sono sorpreso che la piccola abbia anche il tuo DNA, ma dal letame nascono i fiori. Mio padre era assente, pieno di difetti, ma non ha mai nemmeno osato pensare di alzare un dito su mia madre. Mai. La rispettava. Ora facciamo un accordo: io non ti ucciderò, non ti romperò nemmeno un osso, tu in cambio non ti farai mai più vedere. Se rifiuti, beh, te l’ho spiegato sopra. Mi pare un buon patto.>>
Ovviamente stava mentendo, appena lontano avrebbe chiamato al polizia e lo avrebbe denunciato.
Avrebbe testimoniato e lo avrebbe fatto condannare. Gli avrebbe fatto passare tutti i restanti anni della sua vita in una sudicia cella.
Dietro le lenti scure degli occhiali da sole, gli occhi brillavano di rabbia e disprezzo. Come fiamme infernali.
L’uomo annuì e lasciò che corresse verso le scale in preda al panico. Poteva scappare, ma non nascondersi. Per trovarlo aveva tutto il tempo del Mondo.
Al confronto con la sua punizione, la strage di Bet Shemesh sarebbe stata una partita di pallavolo.
Jungsievers tornò nell’appartamento e, preso un po’ di ghiaccio, inizio a medicare con delicatezza la ferita. Si sentiva uno schifo, avrebbe potuto curarla immediatamente col il Craft, ma facendolo avrebbe cancellato le prove del crimine.
Gli stava salendo su per la gola un conato di vomito. Lo tirò in giù.
Non poteva sopportare una donna in quello stato, gli faceva tornare in mente sua madre.
<< Se mia figlia chiede… inventa una scusa.>>
<< Una scusa?>> Chiese dubbioso. << Perdonami, ma non credo sia la cosa giusta. Ho già chiamato la polizia, arriveranno presto.>> Disse indicando il telefono mentre metteva disinfettante e garze al loro posto. << E poi sarebbero inutili, lei è intelligente. Più di me, lo ha già capito da un pezzo. A quell’età siamo… cioè sono molti sagaci.>>
Parlava per esperienza. Ah perché la vita è un ripetersi di eventi sbagliati? Gli dei non avevano pietà?
Perché ogni tanto non abbassavano lo sguardo sui mortali?
All’arrivo degli agenti, la denuncia fu fatta in una mezz’ora scarsa. L’addetto all’identificazione ebbe un po’ di problemi quando l’uomo si scoprì il volto. Rimase impietrito e quando rinvenne ebbe la tentazione di puntargli contro la pistola.
L’altro, forse di grado più alto, non giudicò. Si limitò ad aggiustarsi gli occhiali da vista sul naso, finire di segnare tutto sul suo taccuino e commentare che avrebbero fatto del loro meglio. La sua tono di voce lasciava capire che le speranze erano basse.
La legge è uguale per tutti, se sei fortunato però la legge è più giusta.
Junsievers lasciò il suo numero alla vicina, nel caso avesse avuto problemi fuori casa. Sarebbe giunto, letteralmente, in un secondo.
Passò circa una settimana e mezza. Undici giorni, otto ore, venti minuti e dieci secondi. Aveva sempre avuto un talento per calcolare lo scorrere del tempo.
Tornava la tranquillità si era cucinato una cenetta leggera, aveva guardato un po’ dei pochi programmi televisivi che non facevano schifo e, bevuto un bicchiere di vino, decise di andare a letto. Non faceva parte di quel gruppo di esseri che avevano il lusso di evitare il mangiare e il dormire, se voleva andare avanti doveva occuparsene.
Prima che potesse chiudere la luce sentì un ripetuto bussare alla porta, un ripetersi agitato. Caotico.
Aprì la porta ritrovandosi dinanzi quella piccola bambina in preda alle lacrime e al panico. Era corsa talmente velocemente da non avere più fiato.
Junsievers si abbassò prendendola con calma per le spalle, cercò di calmarla il più possibile. Se restava agitata non poteva spiegargli nulla.
<< La mamma è… la mia mamma...>>
Realizzò e raggelò. Si sentì pesante dentro.
Come un macigno.
Come se lui fosse Sisifo e il macigno gli rotolasse addosso.
Corse. Corse veloce nella stanza accanto.
Come era possibile che non avesse sentito nulla? Né un urlo, né singola parola o rumore.
Che potesse essere un potere Craft inconscio? Era raro, ma non impossibile.
Un annullamento sonoro.
La porta era aperta, le serrature scassinate e rotte. Entrò e basta.
Rimase fermo qualche secondo ad osservare la scena.
Il corpo era ridotto male, aveva infierito senza pietà. Neppure la miglior pompa funebre avrebbe potuto rimetterla insieme.
Ma lui sì, non poteva resuscitare i morti, ma poteva riportare il corpo al suo stato originario.
<< “Terminus post quem”...>> Avvicinò la mano al volto e, in poco, come se le lancette di un orologio fossero andate indietro, il cadavere tornò intero.
Sembrava morta in modo naturale, tranquilla, nel sonno.
Con un ultimo atto di gentilezza le posò un tovagliolo bianco sul volto.
La parte in cui faceva il bravo ragazzo era finita. Ora giungeva il momento del castigo.
L’uomo tornò nella sua diroccata casa, era ancora sporco di sangue. Voleva solo cambiarsi e scappare il più velocemente possibile da quello strambo.
Aveva pronta la valigia e aveva già chiuso le finestre. Non lo avrebbe mai trovato in tempo.
<< Stai partendo, papino?>>
Trasalì.
Seduto su una poltrona logora, Jungsievers, lo stava attendendo con l’aria di chi aspettava di schiacciare una mosca fastidiosa che da troppo tempo gli ronzava attorno.
Come era entrato? Aveva chiuso la porta a chiave!
La porta che era… murata…
Quando la vide rimase fermo, impossibilitato a comprendere. La porta era stata bloccata da un improvviso muro di mattoni e cemento, quando un singolo secondo prima era libera. Come una magia.
Si rigirò, pronto a fare qualcosa, ma rimase nuovamente di sasso.
Dove sedeva prima l’uomo in impermeabile, ora era presente qualcuno di diverso. Di ancora più assurdo.
A gambe divaricate, era presente un uomo a petto nudo, coperto a un lungo cappotto con pelliccia bianco latte, pantaloni di pelle neri e le mani ricoperte di anelli e orologi d’oro che stonavano con la sua collana dal lucchetto di ferro prossimo alla ruggine. Il suo volto era, infine, coperto da una maschera dalle sembianze di formica.
<< Mi presento, l’ultima volta non abbiamo avuto la possibilità. Io mi chiamo Akheilos Jungsievers. Piacere. E lui è il mio socio Vertigo.>> Commentò indicando con l’indice un uomo alle sue spalle.
Crack. Fu doloroso.
Urlava come un cane.
Il secondo uomo che aveva indicato, gli aveva appena rotto una gamba con un grosso martello da guerra. La sua maschera da uccello non lasciava trasparire nulla.
Si era comportato come se battesse un singolo chiodo.
<< Fa male, vero? Io e Vertigo giocheremo un po’ con te. Non sembra con quel fisico magrolino, ma lui è molto forte. Con quel martello può fracassare un cranio come fosse un salvadanaio.>>
<< N... non dovresti lasciare che s… sia la legge a giudicarmi?>> Chiese tenendosi la gamba dolorante, l’osso spaccato stava uscendo di fuori. Stava cercando di far leva sul suo senso di giustizia. << Saresti uguale a me altrimenti, no?>>
Gli calpestò l’altra gamba. Faceva più male del martello.
<< Certo che farò giustizia. Nel mio nome, Akheilos il futuro Dio, io ti punisco per i tuoi peccati. Rattristati di non aver incontrato un dio gentile.>> Fece una pausa. << Te lo avevo detto, no? Che ti avrei ucciso se ti fossi avvicinato di nuovo a loro, e io rispetto sempre le mie promesse.>>
Brettone rimase accanto alla bambina fuori dalla casa. Si chiedeva se andasse bene farle sentire i rumori del padre che veniva torturato. Quella non era giustizia, era vendetta.
Pura e semplice vendetta.
<< Se vuoi possiamo andarcen...>>
<< No. Voglio restare.>> Rispose ferma. << Questo è mio dovere. Non posso distogliere lo sguardo.>>
Una bambina incredibilmente coraggiosa. Ammirevole.
L’anziano uomo alzò il viso verso la casa, volendo imitare la piccola.
<< Akheilos è come te. Anche lui ha perso sua madre da piccolo, si ammalò di uremia. Forse per questo ha così a cuore le donne.>>
<< E suo padre? Era come il mio?>>
<< No, era un cattivo padre, ma era un brav'uomo. Non seppe per molti anni di lui, ma quando lo scoprì fece del suo meglio per crescerlo, ma alcuni non sono fatti per avere figli. Tutti noi abbiamo perso qualcuno. Chi una madre, chi un fratello, chi un figlio e chi un’amante. Per questo seguiamo Akheilos.>>
La bambina non capì.
<< Akheilos diventerà il Dio che tratterà tutti allo stesso modo. Per questo abbiamo scelto di condividere la sua maledizione.>> Concluse toccandosi la maschera da pesce. Uno maledetto, tutti maledetti.
Come distorti moschettieri.
<< E la vendetta ci farà stare meglio?>>
<< Mentirei se dicessi di sì. E anche se dicessi di no.>>
Sophie aprì gli occhi, si era fatta un sonnellino fuori orario sulla scrivania. Questo succede quando accumuli troppo lavoro non svolto.
Prese un sorso dalla bevanda accanto al portapenne. Era ancora calda, il re o qualcun altro doveva essere passato a sostituire la tazza.
I soliti, facevano sempre cose non richieste.
Ma la sua seconda famiglia era così.
Sophie Dubois, unitasi circa 10 anni dopo la perdita dei suoi genitori all’Unione. Attualmente è contessa di Thule, stratega dell’organizzazione e ministra della cultura del regno. Passò alla storia per aver scritto le prime leggi sull’uguaglianza di genere della storia di Thule.
Capitolo sesto: Un giorno d'argento.
Lucifero riempì la sua tazza di caffè, era uscito dalla sua dipendenza nel periodo in cui era stato crocefisso, ma era bastato un lunedì mattina per ricominciare cadendo nel vizio.
Si era abituato alla scena che aveva davanti ogni mattina, Sétanta che ignorava avessero una palestra e si allenava per terra, proprio davanti al ripiano che conteneva i suoi cereali preferiti, Semeyaza seduto a leggere un quotidiano come un padre di famiglia, Argento che non si faceva vedere fuori dalla chiesetta, un comportamento che gli ricordava un vampiro con la sua cripta, e Gilgamesh senza cappuccio che si scambiava sguardi di sfuggita con Delphi.
Aspetta, senza cappuccio?
Gilgamesh aveva sciolto i suoi lunghi capelli color orchidea, gli occhi violetto brillavano, il suo viso dolce lo rendeva alquanto strano. Non era ai livelli di Capelli d’Argento o Morte, ma faceva la sua ambigua figura. Ad eccezione dei capelli era identico a suo cugino Victor, erano seriamente come il dottor Henry Jekyll e Mr. Edward Hyde.
Delphi invece aveva le sue ragioni, era la prima volta che stava lontana dal tempio in cui era stata per tutta la sua vita. All’inizio aveva paura di lasciare la sua “casa”, ma quando Gilgamesh aveva dichiarato di trovare le due corna sulla sua testa “estremamente affascinanti” aveva preso coraggio.
Ad ognuno i suoi gusti.
<< Ehi, Semy, a quanto vedo la Pizia e Gilly sono una coppietta di verginelli perfetta, eh? Non lo pensi anche tu?>>
<< Lucifero...>> Posò il giornale sul tavolo e si tolse gli occhiali da lettura. << …conosci i loro nomi. Delphi e Cedric. Cedric ha deciso che fuori dalle missioni non userà quel ridicolo nome in codice.>>
<< Dannazione.>> Si grattò la chioma bionda. << Gilly e Pizia suonano meglio, Semy. Non è facile trovarvi nomignoli affettuosi, non me li rovinare.>>
<< Potresti benissimo evitarlo. Non te lo ha chiesto nessuno, Lucy.>> Concluse rispondendogli quasi di ripicca.
Si cambiarono una risatina divertita a vicenda, ormai erano coinquilini in quel colossale castello ed erano diventati buoni amici. Non era raro che uscissero a bere qualcosa insieme parlando degli anni di lavoro tra le divinità, già che c’erano Semeyaza lo aiutava come spalla.
Il biondo si avvicinò all’amico che stava ancora cercando di compiere un imbarazzante misto di sfuggire agli sguardi di lei e di guardarla a sua volta.
Si vedeva che a ventinove anni era ancora un verginello. Lucifero era bravo a cogliere l’essenza delle persone.
Gli mise il braccio attorno al collo.
<< Allora, Gilly, ho sentito che ti avevano tagliato la mano con una spada. Come ti senti?>>
<< Bene, grazie.>> Rispose mostrando al mano destra riattaccata. << Col mio Craft, King of Care, non è rimasto nemmeno il segno.>>
King of Care. Per un angelo come Lucifero era un potere da nulla, la sua razza riattaccava senza problemi gli arti perduti e senza limiti di decomposizione, ma per un essere umano doveva essere qualcosa di straordinario. Probabilmente sino a quando la testa non sarebbe stata tagliata o giunta la morte cerebrale sarebbe riuscito a riattaccarsi tutto.
Un potere rigenerativo di classe B, raro, ma non strano.
Ma a Lucifero non importava del suo potere, era solo un tentativo di far fare all’amico bella figura. Erano palesemente infatuati l’una dell’altro, lei era più giovane solo di sei anni rispetto a lui, il ceto sociale non aveva molta importanza al giorno d’oggi e al buon Cedric piaceva quella che lei definiva una deformità.
Senza contare quello che probabilmente non aveva detto nel rapporto. O forse era lui che era troppo malizioso.
<< Ehi, ragazzi.>> Sétanta si alzò da terra senza un goccio di sudore. << Qualcuno ha visto Capelli d’Argento? Di solito è il primo ad alzarsi.>>
<< Sarà in chiesa, come sempre.>>
<< No, la mia camera è lì vicino. Ci sono passato davanti e c’era solo quel tizio muscoloso in croce, segue una religione davvero strana.>>
Argento entrò nel villaggio, era una delle poche situazioni che reputava realmente difficoltosa a livello personale. Non cambiava mai, sempre le solite casette di legno che si potevano contare sulle dita di una mano, il cimitero che accoglieva più morti che vivi in visita, l’orticello che in origine aveva aiutato lui stesso a preparare, la locanda un tempo gestita da quel “demone” taccagno. Pur di difendere i suoi averi, al fianco di Pierre, rischiò di morire bruciato.
Non era ancora passato al Castello del Re Demone, da lui avrebbe portato dei fiori a lavoro finito. Aveva anche altri compiti a fare lì.
E poi… la sua vecchia casa di quando custodiva il cimitero.
Villaggio Cuorenero. Un punto fisso nella sua vita.
<< Isaac Lequedem, ogni tanto ti fai vedere.>> Una vecchietta lo chiamò, il suo viso era pieno di rughe, dava l’idea di andare in pezzi al primo tocco. Quel bastone la riusciva a tenere in piedi con difficoltà. << Abbassati, abbassati.>>
L’uomo si chinò alla sua altezza, lei non arrivava nemmeno al suo fianco.
Gli strinse le guance con un sorriso di chi rivedeva un nipote che viveva all’estero.
<< Isaac, non invecchi di un giorno. Quando sei venuto a trovarci l’ultima volta?>>
<< Dodici anni fa, Angelica.>>
<< Dodici anni, Isaac. Sai, mia figlia si è sposata e ha avuto un figlio. Lo ha chiamato come te, da piccola ti adorava.>>
Argento sorrise, sincero questa volta, non veniva chiamato spesso Isaac. Li ricordava un periodo del suo passato. Un nome falso, come tanti.
Avrebbe voluto restare a parlare con lei, ma la donna colse c’era qualcosa che lo angustiava.
<< La tua casa è sempre uguale, prendi quello che ti serve e fa ciò che devi. Nessuno di noi ti giudicherà, sei il nostro eroe.>>
Sgranò gli occhi, Angelica sin da bambina era stata una che coglieva le cose al volo, ma non immaginava che avesse compreso il motivo per cui si trovava lì.
Non credeva nemmeno che ne sapesse l’esistenza, sua nonna doveva avergli raccontato tutta la storia. La nipotina di Rea, fu lui ad aiutare sua madre a partorire.
Quel luogo era l’ultimo barlume di bontà terrestre che gli era rimasto.
Villaggio Cuorenero, fondato dal Re Demone Aspides Cuorenero. Il luogo dove tutte le razze possono convivere in pace.
Dove lui viveva.
Le diede un bacio sulla fronte rugosa e finì per andare realmente nella sua vecchia dimora sul limitare del cimitero. Piena di polverosi libri che sembravano sul punto di polverizzarsi, il letto ormai colpito dall’usura, l’acqua si era infiltrata, ma qualcuno aveva tentato di riparare il buco come possibile.
Aprì il posto dove nascondeva gli attrezzi del mestiere. Lui non si sporcava mai, non aveva bisogno di un armadio o di un cambio d’abiti, perciò li nascondeva sotto il lavandino. Non che avesse anche il bisogno di mangiare, era per le rare occasioni in cui aveva ospiti. Solitamente si trattava di qualche collega dell’organizzazione in cui, all’epoca, lavorava.
Tirò fuori una vecchia pala, era fatta di un materiale resistente al passare degli anni. Una lega rara e mista, aveva fatto in modo di distruggere quasi tutte le altre. Gli era stato chiesto come ultimo desiderio di una sua… amica? Forse poteva chiamarla così? La considerava tale?
Era ancora leggera come un tempo, forse perché ora il peso della sua anima era l’unica cosa che non riusciva sollevare.
Il suo compito all’epoca era fare il becchino, si occupava dei morti e dei mostri che poteva dare problemi al villaggio.
Seppelliva i corpi, ma non li piangeva. Non conosceva davvero nessuno di loro.
Ad eccezione di qualcuno. Amici, poteva definirli? Erano stati insieme poco tempo, pochi giorni, ma avevano combattuto sotto lo stesso ideale.
Era forse il primo “Gran Galà degli Eroi”.
Qualcosa di umido scivolò su una sua guancia. Di cosa si trattava? Una lacrima?
Ahahahah.
Proprio lui che piangeva? Lui che non aveva diritto a nessuna emozione?
Estrasse un coltello dal pesante abito di pelle nera che indossava sempre e si tagliò di netto la gola. Senza esitazione.
Il suo sangue colò per terra sporcando il pavimento di legno e i suoi stivali di pelle nera.
Avvicinò la mano alla grave ferita.
<< No, nulla. Nessun dolore.>> Respirò e rigenerò la ferita.
Normalmente ogni creatura, ad eccezione delle divinità e di chi possedeva un Craft di cura rapida, moriva dissanguata tra atroci sofferenze se la gola veniva recisa in quel modo. Persino gli angeli avevano poco tempo per essere curati.
Risolta la questione aprì nuovamente la porta di legno marcio e si spostò nel cimitero. Lo avevano costruito sul mare, beh, lo era diventato. In origine era un campo molto più lontano dall’acqua, poi ci fu la grande catastrofe, un terribile tsunami, che uccise decine di persone. Era finito sott’acqua anche parte del cimitero, le tombe attuali erano solo di chi era morto dopo la sciagura.
Lesse ogni lapide che aveva davanti. “Gregory”, “Hyve”, “Jaquil”, “Sophie”, ecc. c’erano tanti di quei morti che ci mise un po’ a trovare quelle giuste con i rispettivi epitaffi.
Zarata Hamar
Nato nel 1007 – Morto nel 1039
“Ricercavi la verità sul nostro mondo più di tutti.
Che nostro Signore dei Morti ti accolga
e ti mostri al sua infinita misericordia.”
Morte era un buon dio, lo avrebbe curato bene. Aveva venerato la creatura giusta.
Era un necromante atipico, il suo culto rifiutava di usare cadaveri veri di innocenti, li creava con il Craft, e amava l’aria di gas in decomposizione. Per renderlo felice bastava parlare di zoologia con lui.
Babylon
Nato nel 1009 – Morto nel 1039
“Uno scienziato che vedeva il bene e il male come un bambino.
Vivesti per la scienza, ignorando la sofferenza umana.
Moristi per la scienza, salvando la gioia umana.
Che i tuoi peccati ti siano perdonati.”
Babylon, un vero bastardo. Usava umani innocenti come cavie per i suoi esperimenti e lavorò per l’Uomo Nero solo per imparare. Almeno alla fine ha mostrato di non essere tanto male.
Senza contare che le sue ricerche gli furono molto utili.
Zeo Greatwall
Nato nel 887 – Morto nel 1039
“Il muro difensivo che ha sempre protetto tutti noi.
Il nostro demone custode.
Che la tua amata Líadan ti aspetti a braccia aperte
per compiere il vostro amore mai realizzato.”
… Zeo, lui gli aveva affidato la Spada del Re Demone, suo sovrano. Aveva avuto subito fiducia in lui, forse aveva avuto torto. La data di nascita era falsa, nessuna la conosceva, era la data in cui il re Aspides lo condusse al castello.
Aveva fatto di tutto per proteggere il castello e il villaggio. Diamine, lui eroe lo era davvero.
Strinse la pala e iniziò a scavare la fredda terra, spostandone un pezzo alla volta, con calma e rispetto. Stava facendo attenzione chirurgica a non sporcare le pietre tombali.
Alla fine riuscì ad aprire tutte le tombe, tutti i popolani si erano chiusi nelle loro case. Non volevano disturbarlo… dopo tutti quegli anni anche i discendenti di coloro che lo avevano incontrato lo rispettavano.
Non si chiedevano perché non invecchiasse, perché non mangiasse o bevesse, perché non dormisse, perché l’acqua non lo bagnasse o il fuoco non lo bruciasse, perché i mostri più saggi e intelligenti dicevano il suo nome con timore reverenziale o perché le sue conoscenze mettessero in imbarazzo anche i più anziani.
Gli bastava che lui continuasse a proteggerli come loro nume tutelare, era quasi un gradino sopra le divinità dal loro punto di vista.
Quando il raccolto subiva la siccità, lui portava grano e verdure. Quando non avevano abbastanza soldi per le tasse, lui portava monete.
E non voleva mai nulla in cambio, niente di niente.
Con un rapido sforzo fisico tirò fuori tutte e tre le bare per poi scoperchiarle.
I corpi dei suoi tre “amici” erano ridotti a scheletri mangiati da vermi, non era rimasto nemmeno un pezzo di carne intatto, solo dei vestiti stracciati li coprivano.
Infilò le mani tra i cadaveri, aveva nascosto quegli oggetti nel posto più fidato. Aveva ricoperto le salme con diversi incantesimi di protezione e di attacco, se un comune tombarolo avesse provato a profanare le loro tombe sarebbe finito per diventare loro coinquilino.
C’è una piccola differenza tra Craft e incantesimo, ma la spiegherò un’altra volta.
Frugò sino a quando non la sentì la tatto, era simile alla cartapecora, ma molto più resistente. Era stata creata per superare i secoli.
Il suo creatore sapeva il fatto suo.
Le pulì con un gesto della mano, erano comunque ricoperte di polvere. Polvere, un nemico imbattibile per tutti.
Le parole scritte elegantemente a mano gli strapparono un sorrisino malizioso, il suo volto affascinante lascerebbe intendere qualcosa di più privato rispetto a ciò che stava realmente pensando.
“Ad opera di Salomone, terzo sovrano d’Israele, figlio di Davide.
Legemeton Clavicula Salomonis
altresì denominato come Piccola Chiave di Salomone.
Grigorio di demonologia sull’evocazione e il controllo di settantadue demoni dell’Inferno,
evocazione e l’apprendimento delle abilità degli Angeli,
protezione dai mali e preghiere a nostro Signore.”
Si era abituato alla scena che aveva davanti ogni mattina, Sétanta che ignorava avessero una palestra e si allenava per terra, proprio davanti al ripiano che conteneva i suoi cereali preferiti, Semeyaza seduto a leggere un quotidiano come un padre di famiglia, Argento che non si faceva vedere fuori dalla chiesetta, un comportamento che gli ricordava un vampiro con la sua cripta, e Gilgamesh senza cappuccio che si scambiava sguardi di sfuggita con Delphi.
Aspetta, senza cappuccio?
Gilgamesh aveva sciolto i suoi lunghi capelli color orchidea, gli occhi violetto brillavano, il suo viso dolce lo rendeva alquanto strano. Non era ai livelli di Capelli d’Argento o Morte, ma faceva la sua ambigua figura. Ad eccezione dei capelli era identico a suo cugino Victor, erano seriamente come il dottor Henry Jekyll e Mr. Edward Hyde.
Delphi invece aveva le sue ragioni, era la prima volta che stava lontana dal tempio in cui era stata per tutta la sua vita. All’inizio aveva paura di lasciare la sua “casa”, ma quando Gilgamesh aveva dichiarato di trovare le due corna sulla sua testa “estremamente affascinanti” aveva preso coraggio.
Ad ognuno i suoi gusti.
<< Ehi, Semy, a quanto vedo la Pizia e Gilly sono una coppietta di verginelli perfetta, eh? Non lo pensi anche tu?>>
<< Lucifero...>> Posò il giornale sul tavolo e si tolse gli occhiali da lettura. << …conosci i loro nomi. Delphi e Cedric. Cedric ha deciso che fuori dalle missioni non userà quel ridicolo nome in codice.>>
<< Dannazione.>> Si grattò la chioma bionda. << Gilly e Pizia suonano meglio, Semy. Non è facile trovarvi nomignoli affettuosi, non me li rovinare.>>
<< Potresti benissimo evitarlo. Non te lo ha chiesto nessuno, Lucy.>> Concluse rispondendogli quasi di ripicca.
Si cambiarono una risatina divertita a vicenda, ormai erano coinquilini in quel colossale castello ed erano diventati buoni amici. Non era raro che uscissero a bere qualcosa insieme parlando degli anni di lavoro tra le divinità, già che c’erano Semeyaza lo aiutava come spalla.
Il biondo si avvicinò all’amico che stava ancora cercando di compiere un imbarazzante misto di sfuggire agli sguardi di lei e di guardarla a sua volta.
Si vedeva che a ventinove anni era ancora un verginello. Lucifero era bravo a cogliere l’essenza delle persone.
Gli mise il braccio attorno al collo.
<< Allora, Gilly, ho sentito che ti avevano tagliato la mano con una spada. Come ti senti?>>
<< Bene, grazie.>> Rispose mostrando al mano destra riattaccata. << Col mio Craft, King of Care, non è rimasto nemmeno il segno.>>
King of Care. Per un angelo come Lucifero era un potere da nulla, la sua razza riattaccava senza problemi gli arti perduti e senza limiti di decomposizione, ma per un essere umano doveva essere qualcosa di straordinario. Probabilmente sino a quando la testa non sarebbe stata tagliata o giunta la morte cerebrale sarebbe riuscito a riattaccarsi tutto.
Un potere rigenerativo di classe B, raro, ma non strano.
Ma a Lucifero non importava del suo potere, era solo un tentativo di far fare all’amico bella figura. Erano palesemente infatuati l’una dell’altro, lei era più giovane solo di sei anni rispetto a lui, il ceto sociale non aveva molta importanza al giorno d’oggi e al buon Cedric piaceva quella che lei definiva una deformità.
Senza contare quello che probabilmente non aveva detto nel rapporto. O forse era lui che era troppo malizioso.
<< Ehi, ragazzi.>> Sétanta si alzò da terra senza un goccio di sudore. << Qualcuno ha visto Capelli d’Argento? Di solito è il primo ad alzarsi.>>
<< Sarà in chiesa, come sempre.>>
<< No, la mia camera è lì vicino. Ci sono passato davanti e c’era solo quel tizio muscoloso in croce, segue una religione davvero strana.>>
Argento entrò nel villaggio, era una delle poche situazioni che reputava realmente difficoltosa a livello personale. Non cambiava mai, sempre le solite casette di legno che si potevano contare sulle dita di una mano, il cimitero che accoglieva più morti che vivi in visita, l’orticello che in origine aveva aiutato lui stesso a preparare, la locanda un tempo gestita da quel “demone” taccagno. Pur di difendere i suoi averi, al fianco di Pierre, rischiò di morire bruciato.
Non era ancora passato al Castello del Re Demone, da lui avrebbe portato dei fiori a lavoro finito. Aveva anche altri compiti a fare lì.
E poi… la sua vecchia casa di quando custodiva il cimitero.
Villaggio Cuorenero. Un punto fisso nella sua vita.
<< Isaac Lequedem, ogni tanto ti fai vedere.>> Una vecchietta lo chiamò, il suo viso era pieno di rughe, dava l’idea di andare in pezzi al primo tocco. Quel bastone la riusciva a tenere in piedi con difficoltà. << Abbassati, abbassati.>>
L’uomo si chinò alla sua altezza, lei non arrivava nemmeno al suo fianco.
Gli strinse le guance con un sorriso di chi rivedeva un nipote che viveva all’estero.
<< Isaac, non invecchi di un giorno. Quando sei venuto a trovarci l’ultima volta?>>
<< Dodici anni fa, Angelica.>>
<< Dodici anni, Isaac. Sai, mia figlia si è sposata e ha avuto un figlio. Lo ha chiamato come te, da piccola ti adorava.>>
Argento sorrise, sincero questa volta, non veniva chiamato spesso Isaac. Li ricordava un periodo del suo passato. Un nome falso, come tanti.
Avrebbe voluto restare a parlare con lei, ma la donna colse c’era qualcosa che lo angustiava.
<< La tua casa è sempre uguale, prendi quello che ti serve e fa ciò che devi. Nessuno di noi ti giudicherà, sei il nostro eroe.>>
Sgranò gli occhi, Angelica sin da bambina era stata una che coglieva le cose al volo, ma non immaginava che avesse compreso il motivo per cui si trovava lì.
Non credeva nemmeno che ne sapesse l’esistenza, sua nonna doveva avergli raccontato tutta la storia. La nipotina di Rea, fu lui ad aiutare sua madre a partorire.
Quel luogo era l’ultimo barlume di bontà terrestre che gli era rimasto.
Villaggio Cuorenero, fondato dal Re Demone Aspides Cuorenero. Il luogo dove tutte le razze possono convivere in pace.
Dove lui viveva.
Le diede un bacio sulla fronte rugosa e finì per andare realmente nella sua vecchia dimora sul limitare del cimitero. Piena di polverosi libri che sembravano sul punto di polverizzarsi, il letto ormai colpito dall’usura, l’acqua si era infiltrata, ma qualcuno aveva tentato di riparare il buco come possibile.
Aprì il posto dove nascondeva gli attrezzi del mestiere. Lui non si sporcava mai, non aveva bisogno di un armadio o di un cambio d’abiti, perciò li nascondeva sotto il lavandino. Non che avesse anche il bisogno di mangiare, era per le rare occasioni in cui aveva ospiti. Solitamente si trattava di qualche collega dell’organizzazione in cui, all’epoca, lavorava.
Tirò fuori una vecchia pala, era fatta di un materiale resistente al passare degli anni. Una lega rara e mista, aveva fatto in modo di distruggere quasi tutte le altre. Gli era stato chiesto come ultimo desiderio di una sua… amica? Forse poteva chiamarla così? La considerava tale?
Era ancora leggera come un tempo, forse perché ora il peso della sua anima era l’unica cosa che non riusciva sollevare.
Il suo compito all’epoca era fare il becchino, si occupava dei morti e dei mostri che poteva dare problemi al villaggio.
Seppelliva i corpi, ma non li piangeva. Non conosceva davvero nessuno di loro.
Ad eccezione di qualcuno. Amici, poteva definirli? Erano stati insieme poco tempo, pochi giorni, ma avevano combattuto sotto lo stesso ideale.
Era forse il primo “Gran Galà degli Eroi”.
Qualcosa di umido scivolò su una sua guancia. Di cosa si trattava? Una lacrima?
Ahahahah.
Proprio lui che piangeva? Lui che non aveva diritto a nessuna emozione?
Estrasse un coltello dal pesante abito di pelle nera che indossava sempre e si tagliò di netto la gola. Senza esitazione.
Il suo sangue colò per terra sporcando il pavimento di legno e i suoi stivali di pelle nera.
Avvicinò la mano alla grave ferita.
<< No, nulla. Nessun dolore.>> Respirò e rigenerò la ferita.
Normalmente ogni creatura, ad eccezione delle divinità e di chi possedeva un Craft di cura rapida, moriva dissanguata tra atroci sofferenze se la gola veniva recisa in quel modo. Persino gli angeli avevano poco tempo per essere curati.
Risolta la questione aprì nuovamente la porta di legno marcio e si spostò nel cimitero. Lo avevano costruito sul mare, beh, lo era diventato. In origine era un campo molto più lontano dall’acqua, poi ci fu la grande catastrofe, un terribile tsunami, che uccise decine di persone. Era finito sott’acqua anche parte del cimitero, le tombe attuali erano solo di chi era morto dopo la sciagura.
Lesse ogni lapide che aveva davanti. “Gregory”, “Hyve”, “Jaquil”, “Sophie”, ecc. c’erano tanti di quei morti che ci mise un po’ a trovare quelle giuste con i rispettivi epitaffi.
Zarata Hamar
Nato nel 1007 – Morto nel 1039
“Ricercavi la verità sul nostro mondo più di tutti.
Che nostro Signore dei Morti ti accolga
e ti mostri al sua infinita misericordia.”
Morte era un buon dio, lo avrebbe curato bene. Aveva venerato la creatura giusta.
Era un necromante atipico, il suo culto rifiutava di usare cadaveri veri di innocenti, li creava con il Craft, e amava l’aria di gas in decomposizione. Per renderlo felice bastava parlare di zoologia con lui.
Babylon
Nato nel 1009 – Morto nel 1039
“Uno scienziato che vedeva il bene e il male come un bambino.
Vivesti per la scienza, ignorando la sofferenza umana.
Moristi per la scienza, salvando la gioia umana.
Che i tuoi peccati ti siano perdonati.”
Babylon, un vero bastardo. Usava umani innocenti come cavie per i suoi esperimenti e lavorò per l’Uomo Nero solo per imparare. Almeno alla fine ha mostrato di non essere tanto male.
Senza contare che le sue ricerche gli furono molto utili.
Zeo Greatwall
Nato nel 887 – Morto nel 1039
“Il muro difensivo che ha sempre protetto tutti noi.
Il nostro demone custode.
Che la tua amata Líadan ti aspetti a braccia aperte
per compiere il vostro amore mai realizzato.”
… Zeo, lui gli aveva affidato la Spada del Re Demone, suo sovrano. Aveva avuto subito fiducia in lui, forse aveva avuto torto. La data di nascita era falsa, nessuna la conosceva, era la data in cui il re Aspides lo condusse al castello.
Aveva fatto di tutto per proteggere il castello e il villaggio. Diamine, lui eroe lo era davvero.
Strinse la pala e iniziò a scavare la fredda terra, spostandone un pezzo alla volta, con calma e rispetto. Stava facendo attenzione chirurgica a non sporcare le pietre tombali.
Alla fine riuscì ad aprire tutte le tombe, tutti i popolani si erano chiusi nelle loro case. Non volevano disturbarlo… dopo tutti quegli anni anche i discendenti di coloro che lo avevano incontrato lo rispettavano.
Non si chiedevano perché non invecchiasse, perché non mangiasse o bevesse, perché non dormisse, perché l’acqua non lo bagnasse o il fuoco non lo bruciasse, perché i mostri più saggi e intelligenti dicevano il suo nome con timore reverenziale o perché le sue conoscenze mettessero in imbarazzo anche i più anziani.
Gli bastava che lui continuasse a proteggerli come loro nume tutelare, era quasi un gradino sopra le divinità dal loro punto di vista.
Quando il raccolto subiva la siccità, lui portava grano e verdure. Quando non avevano abbastanza soldi per le tasse, lui portava monete.
E non voleva mai nulla in cambio, niente di niente.
Con un rapido sforzo fisico tirò fuori tutte e tre le bare per poi scoperchiarle.
I corpi dei suoi tre “amici” erano ridotti a scheletri mangiati da vermi, non era rimasto nemmeno un pezzo di carne intatto, solo dei vestiti stracciati li coprivano.
Infilò le mani tra i cadaveri, aveva nascosto quegli oggetti nel posto più fidato. Aveva ricoperto le salme con diversi incantesimi di protezione e di attacco, se un comune tombarolo avesse provato a profanare le loro tombe sarebbe finito per diventare loro coinquilino.
C’è una piccola differenza tra Craft e incantesimo, ma la spiegherò un’altra volta.
Frugò sino a quando non la sentì la tatto, era simile alla cartapecora, ma molto più resistente. Era stata creata per superare i secoli.
Il suo creatore sapeva il fatto suo.
Le pulì con un gesto della mano, erano comunque ricoperte di polvere. Polvere, un nemico imbattibile per tutti.
Le parole scritte elegantemente a mano gli strapparono un sorrisino malizioso, il suo volto affascinante lascerebbe intendere qualcosa di più privato rispetto a ciò che stava realmente pensando.
“Ad opera di Salomone, terzo sovrano d’Israele, figlio di Davide.
Legemeton Clavicula Salomonis
altresì denominato come Piccola Chiave di Salomone.
Grigorio di demonologia sull’evocazione e il controllo di settantadue demoni dell’Inferno,
evocazione e l’apprendimento delle abilità degli Angeli,
protezione dai mali e preghiere a nostro Signore.”
La Guerra Segreta della Morte: La Proposta
Morte girò il gambo del calice di vino tra le dita, non capitava tutti i giorni di essere invitato da Himeros al suo gazebo. Per essere una divinità decisamente inferiore rispetto a lui, si faceva troppi problemi a permettere a chiunque di entrarci, solo Vita, sua creatrice, aveva il permesso illimitato.
Non che tra i due ci fosse qualche rapporto di parentela, era solo una versione evoluta dei golem o degli umani comuni. Molto diverso dai figli di Morte.
<< Ci ha mai pensato, Eccellenza?>>
<< A cosa, Himeros?>>
<< A prendere moglie. Mi permetta di dirglielo, ma lei, tra gli dei “maschi”, è il meno problematico. È un bell’uomo, di vasta cultura, di potere e di grande educazione. Non c’è essere divino che non sarebbe interessato a essere suo coniuge.>>
Ah ecco. Era un suo tentativo di fargli trovare “l’anima gemella”. Come se potesse esistere davvero una cosa del genere, esiste solo qualcuno che ti fa stare bene. Qualcuno che ti da un motivo per alzarti il mattino e non maledire l’aprire gli occhi.
Non gli piaceva Himeros, lui era l’incarnazione del desiderio amoroso incontrollato. Incontrollato. Autodistruzione e distruzione altrui. Che schifo. L’amore dovrebbe essere qualcosa che migliora l’anima, non spazzatura da bestia.
<< Vuole un altro bicchiere? È uno Cheatau Cheval Blanc del 1947. Nel Trecentoventiseiesimo Mondo è il terzo vino più costoso di sempre.>>
Il dio si fece riempire il bicchiere, era interessato sul dove volesse andare a parare con la storia del matrimonio. Chi erano le sue proposte? Magari ascoltarlo sarebbe stato un buon modo per passare il tempo, a quanto pareva quel giorno i morti erano molto meno del previsto, gli angeli se ne potevano benissimo occupare da soli. Ogni tanto capitava. E ultimamente un po’ troppo spesso.
Non che avrebbe accettato anche solo una delle proposte. Stava bene da padre single. Non era fatto per i matrimoni, e poi era ancora giovane.
Assaporò il vino bagnandosi le labbra, non male. Ne avrebbe tirato fuori una bottiglia dalla sua cantina personale per donarla a Fato al loro prossimo incontro, lui lo avrebbe decisamente gradito più di lui.
<< Credo che potrebbe benissimo avere successo con alcune Muse. Secondo la mia opinione le più adatte sarebbero Clio, Erato, Urania e Calliope. Ha un’ampia scelta.>>
<< Colei che rende celebre, colei che provoca desiderio, colei che è celeste, colei che ha una bella voce. Delle scelte completamente disinteressante immagino.>>
<< Immagina bene, Eccellenza.>>
Se solo avesse potuto, sarebbe scoppiato a ridergli in faccia di buon gusto. Era disinteressato come un dittatore era disinteressato di avere il potere.
Bah, non riusciva proprio a capirli i tipi come lui. Una piccola parte di sé avrebbe voluto strangolarlo sul momento, non capiva il vero motivo di quei sentimenti, ma in ogni caso non avrebbe mai potuto. Era una creazione di Vita, non aveva diritto di distruggerla.
Ed ora eccovi un bel paradosso: un dio non può distruggere nulla che non sia stato creato da lui stesso, ma la Vita non può uccidere nessuno.
Era un bastardo fortunato.
Aveva persino avuto il permesso di creare il suo gazebo su una piccola serie di isole attorno al pianeta di Vita. Per amor di correttezza, i pianeti erano sempre lo stesso numero, ma col passare dei millenni si erano aggiunte qualche piccola luna o isolotti in orbita. Non crederete davvero che il sistema giuridico e celeste sia uguale a quello iniziale? Con l’arrivo degli dei del sogno, dell’amore, e tutti gli altri alla fine qualcosa era cambiato.
Magari ve lo spiegherò meglio in un altro momento, ora stiamo parlando di piccoli problemi di cuore.
<< Eccellenza, allora? Vorreste incontrare le spasimanti?>>
<< No, grazie.>> Rispose. << Non sono il tipo di persona da incontri improvvisi, sono più da corteggiamento lungo. Ognuno ha i suoi tempi.>>
Una risposta che non lo avrebbe offeso, avrebbe portato avanti quella futile discussione e con una nota di presa in giro non troppo visibile. Tempo sarebbe stato fiero di lui.
<< In giro si sta però diffondendo una voce, Eccellenza Morte. Davvero una brutta voce.>>
<< Non sono un amante dei pettegolezzi, Himeros. Dovresti parlarne con mia sorella maggiore.>>
<< Me ne ha parlato proprio lei. Mi ha detto che lei, signore, sta avendo rapporti con una donna umana.>>
<< Credo che la mai vita privata sia un problema mio, non credi anche tu?>>
Che razza di vecchia comare, e tutto quel vino era un brutto tentativo di ubriacarlo? Era la Morte. Quella di un ragazzo era solo apparenza, non aveva lo stomaco, reni o simili, non so neppure io dove va a finire quello di cui si nutre. Tempo lo ha creato un sistema digerente, dice che trova figo il processo digestivo.
Himeros si avvicinò al dio superiore come se volesse sussurrargli qualcosa evitando di farsi sentire dagli altri. Altri che non c’erano, il gazebo era prenotato per Morte, per il proprietario e, se tutto andava come previsto, per la futura signora Morte.
<< Perdoni la mia insolenza, ma una cosa simile non fa per lei. Lei è figlio di sua Eccellenza Esistenza e nipote del più grande degli dei. Il sommo Eternità. Non dovrebbe mischiarsi con dei miseri umani, dovrebbe unirsi a razze superiori.>>
Razze superiori? Gli umani sentivano spesso quella definizione. E chiunque la dicesse era solo un povero imbecille senza morale. Persino Tradimento non tirava fuori quelle stronzante seriamente, il suo “esseri inferiori” era solo uno sfogo di depressione. Ai suoi occhi non ci aveva mai creduto davvero.
Questo dio della passione invece era serio, ci credeva davvero in quelle stronzante. Incredibile.
<< Razze superiori?>> Voleva vedere la sua risposta.
<< Certo, una Musa, un dio, anche inferiore sono esseri di livello più alto. Non stupidi umani.>>
<< Tu cosa hai creato?>>
<< Mi scusi?>>
Era davvero confuso per quella domanda, cosa intendeva dire? Era un dio, cosa gli importava di creare qualcosa?
Morte considerava quelli come lui “Inutile pirite che cercava di placcarsi d’oro”.
<< Il vino che stiamo bevendo è stato ideato dagli umani, anche i gazebo sono una loro invenzione. Eppure tu li stai usando pur considerandoli una razza inferiore.>>
<< Ma è normale. Gli esseri inferiori come loro servono solo a servire noi.>>
Ora il discorso da futile era passato a patetico.
Posò sul tavolo il bicchiere ancora pieno, gli era passata la “sete”. Poteva fare di meglio del suo, virtualmente, eterno tempo.
Abbandonò la sedia con l’intenzione di dirigersi verso uno dei bordi. Sarebbe saltato giù, si sarebbe diretto verso il pianeta sottoposto alla sorella e le avrebbe chiesto di smetterla di intromettersi nella sua vita personale, con le buone o con le cattive.
Tanto a loro padre non sarebbe importato nulla se le avesse messo le mani addosso. A suo padre Esistenza non era mai importato nulla di loro… forse per questo sua sorella era cresciuta così male. Le sue figure genitoriali erano state l’Arcangelo Gabriel e Tempo, per quando il secondo fosse sui generis era comunque un uomo che sapeva crescere un bambino.
<< Eccellenza, aspetti un attimo. Potrebbe benissimo darci un’occhiata!>>
Bam. O Splat. Non sono sicuro dell’onomatopea adatta a questa situazione. Forse Basplathm. Oh sembra un nome esotico, se ci chiamate uno dei vostri figli voglio essere il padrino.
La sua testa era stata fatta esplodere con un pugno, come si vede in quei film, i denti, la lingua, il cervello e la pelle erano tutti per terra a macchiare l’erba dei loro cupi colori.
<< Non puoi uccidere così una divinità inferiore creata da Vita. Comunque che ci fai qui, Tempo?>>
L’altro scosse le mani sporche schifato dal sangue di cui si era macchiato. << Ehi, Morte, diciamocelo, se non lo avesse fatto qualcuno, non saresti stato contento. Per il paradosso non ti preoccupare, renderò nulla la mia azione riavvolgendo il suo tempo a prima della sua “morte”. Scompare dal registro, libro, o quello che usi, non ho mai capito come funziona, e va tutto al suo posto.>>
E nemmeno io l’ho mai capito come funziona quel coso. Prima o poi imparerò a non addormentarmi a scuola. Non che la frequenti ancora.
Schioccò le dita e puff. Il cranio era al suo posto come nulla fosse successo e i due dei erano scomparsi nel nulla. Il povero, scrissi sarcasticamente, Himeros non comprendeva che cosa fosse accaduto, sentiva solo uno strano dolorino al cranio e al collo.
Fatto stava che il dio con cui stava parlando era sparito.
Tempo e Morte stavano camminando nel vuoto cosmico con tranquillità, diretti ognuno a casa propria. Il non aver bisogno di respirare era sempre d’aiuto.
<< Quindi la storia dell’umana è vera?>> La domanda di tempo era uscita fuori con nonchalance, buttata lì senza cattiveria, ma solo con pura curiosità.
<< Parli di Aida? È solo una ragazza a cui ho dato un aiuto. Voleva recitare a teatro in una piccola produzione, il teatro era nei guai con una creatura e con un po’ d’aiuto abbiamo risolto il problema.>>
<< Una storia alla Ghostbuster. La prossima volta chiamatemi, amo Egon. Mai incrociare i flussi!>>
<< Se non è tratto da un libro non so di cosa parli. Hai anche tu voglia di farmi la predica?>>
<< Ehi, ricorda la mia regola di vita: ciò che fanno due adulti consenzienti nella loro camera da letto non sono affari miei.>>
Morte si tolse il cappuccio ed aprì gli occhi violacei per fissarsi con il solo occhio azzurro dell’altro.
<< Per te avrei avuto successo?>>
<< Alto, bello, intelligente, importante. A tratti mi innamoro pure io.>> Aggiunse divertito. A differenza di Himeros lui era sincero. Ci credeva davvero.
Ogni tanto non è male farsi alzare l’autostima da un amico. Tempo però, all’improvviso, smise di sorridere allegro per mostrare qualcosa di simile a un’aria di nostalgia ed amarezza.
Come a ricordare qualcosa che non voleva rivangare, come a riaprire una porta che voleva tenere chiusa con centinaia di lucchetti e catene.
<< L’amore se dovessi trovarlo… scappa lontano. Ti pugnala al cuore e le cicatrici continuano a sanguinare… no, lascia perdere. Se trovi l’amore seguilo.>> Gli diede una pacca sulla spalla. << E magari ci scappa il sesto figlio.>>
Riprese a ridere come prima, come se tutto fosse tornato dietro quella porta.
Quella porta di legno che stava marcendo.
Non che tra i due ci fosse qualche rapporto di parentela, era solo una versione evoluta dei golem o degli umani comuni. Molto diverso dai figli di Morte.
<< Ci ha mai pensato, Eccellenza?>>
<< A cosa, Himeros?>>
<< A prendere moglie. Mi permetta di dirglielo, ma lei, tra gli dei “maschi”, è il meno problematico. È un bell’uomo, di vasta cultura, di potere e di grande educazione. Non c’è essere divino che non sarebbe interessato a essere suo coniuge.>>
Ah ecco. Era un suo tentativo di fargli trovare “l’anima gemella”. Come se potesse esistere davvero una cosa del genere, esiste solo qualcuno che ti fa stare bene. Qualcuno che ti da un motivo per alzarti il mattino e non maledire l’aprire gli occhi.
Non gli piaceva Himeros, lui era l’incarnazione del desiderio amoroso incontrollato. Incontrollato. Autodistruzione e distruzione altrui. Che schifo. L’amore dovrebbe essere qualcosa che migliora l’anima, non spazzatura da bestia.
<< Vuole un altro bicchiere? È uno Cheatau Cheval Blanc del 1947. Nel Trecentoventiseiesimo Mondo è il terzo vino più costoso di sempre.>>
Il dio si fece riempire il bicchiere, era interessato sul dove volesse andare a parare con la storia del matrimonio. Chi erano le sue proposte? Magari ascoltarlo sarebbe stato un buon modo per passare il tempo, a quanto pareva quel giorno i morti erano molto meno del previsto, gli angeli se ne potevano benissimo occupare da soli. Ogni tanto capitava. E ultimamente un po’ troppo spesso.
Non che avrebbe accettato anche solo una delle proposte. Stava bene da padre single. Non era fatto per i matrimoni, e poi era ancora giovane.
Assaporò il vino bagnandosi le labbra, non male. Ne avrebbe tirato fuori una bottiglia dalla sua cantina personale per donarla a Fato al loro prossimo incontro, lui lo avrebbe decisamente gradito più di lui.
<< Credo che potrebbe benissimo avere successo con alcune Muse. Secondo la mia opinione le più adatte sarebbero Clio, Erato, Urania e Calliope. Ha un’ampia scelta.>>
<< Colei che rende celebre, colei che provoca desiderio, colei che è celeste, colei che ha una bella voce. Delle scelte completamente disinteressante immagino.>>
<< Immagina bene, Eccellenza.>>
Se solo avesse potuto, sarebbe scoppiato a ridergli in faccia di buon gusto. Era disinteressato come un dittatore era disinteressato di avere il potere.
Bah, non riusciva proprio a capirli i tipi come lui. Una piccola parte di sé avrebbe voluto strangolarlo sul momento, non capiva il vero motivo di quei sentimenti, ma in ogni caso non avrebbe mai potuto. Era una creazione di Vita, non aveva diritto di distruggerla.
Ed ora eccovi un bel paradosso: un dio non può distruggere nulla che non sia stato creato da lui stesso, ma la Vita non può uccidere nessuno.
Era un bastardo fortunato.
Aveva persino avuto il permesso di creare il suo gazebo su una piccola serie di isole attorno al pianeta di Vita. Per amor di correttezza, i pianeti erano sempre lo stesso numero, ma col passare dei millenni si erano aggiunte qualche piccola luna o isolotti in orbita. Non crederete davvero che il sistema giuridico e celeste sia uguale a quello iniziale? Con l’arrivo degli dei del sogno, dell’amore, e tutti gli altri alla fine qualcosa era cambiato.
Magari ve lo spiegherò meglio in un altro momento, ora stiamo parlando di piccoli problemi di cuore.
<< Eccellenza, allora? Vorreste incontrare le spasimanti?>>
<< No, grazie.>> Rispose. << Non sono il tipo di persona da incontri improvvisi, sono più da corteggiamento lungo. Ognuno ha i suoi tempi.>>
Una risposta che non lo avrebbe offeso, avrebbe portato avanti quella futile discussione e con una nota di presa in giro non troppo visibile. Tempo sarebbe stato fiero di lui.
<< In giro si sta però diffondendo una voce, Eccellenza Morte. Davvero una brutta voce.>>
<< Non sono un amante dei pettegolezzi, Himeros. Dovresti parlarne con mia sorella maggiore.>>
<< Me ne ha parlato proprio lei. Mi ha detto che lei, signore, sta avendo rapporti con una donna umana.>>
<< Credo che la mai vita privata sia un problema mio, non credi anche tu?>>
Che razza di vecchia comare, e tutto quel vino era un brutto tentativo di ubriacarlo? Era la Morte. Quella di un ragazzo era solo apparenza, non aveva lo stomaco, reni o simili, non so neppure io dove va a finire quello di cui si nutre. Tempo lo ha creato un sistema digerente, dice che trova figo il processo digestivo.
Himeros si avvicinò al dio superiore come se volesse sussurrargli qualcosa evitando di farsi sentire dagli altri. Altri che non c’erano, il gazebo era prenotato per Morte, per il proprietario e, se tutto andava come previsto, per la futura signora Morte.
<< Perdoni la mia insolenza, ma una cosa simile non fa per lei. Lei è figlio di sua Eccellenza Esistenza e nipote del più grande degli dei. Il sommo Eternità. Non dovrebbe mischiarsi con dei miseri umani, dovrebbe unirsi a razze superiori.>>
Razze superiori? Gli umani sentivano spesso quella definizione. E chiunque la dicesse era solo un povero imbecille senza morale. Persino Tradimento non tirava fuori quelle stronzante seriamente, il suo “esseri inferiori” era solo uno sfogo di depressione. Ai suoi occhi non ci aveva mai creduto davvero.
Questo dio della passione invece era serio, ci credeva davvero in quelle stronzante. Incredibile.
<< Razze superiori?>> Voleva vedere la sua risposta.
<< Certo, una Musa, un dio, anche inferiore sono esseri di livello più alto. Non stupidi umani.>>
<< Tu cosa hai creato?>>
<< Mi scusi?>>
Era davvero confuso per quella domanda, cosa intendeva dire? Era un dio, cosa gli importava di creare qualcosa?
Morte considerava quelli come lui “Inutile pirite che cercava di placcarsi d’oro”.
<< Il vino che stiamo bevendo è stato ideato dagli umani, anche i gazebo sono una loro invenzione. Eppure tu li stai usando pur considerandoli una razza inferiore.>>
<< Ma è normale. Gli esseri inferiori come loro servono solo a servire noi.>>
Ora il discorso da futile era passato a patetico.
Posò sul tavolo il bicchiere ancora pieno, gli era passata la “sete”. Poteva fare di meglio del suo, virtualmente, eterno tempo.
Abbandonò la sedia con l’intenzione di dirigersi verso uno dei bordi. Sarebbe saltato giù, si sarebbe diretto verso il pianeta sottoposto alla sorella e le avrebbe chiesto di smetterla di intromettersi nella sua vita personale, con le buone o con le cattive.
Tanto a loro padre non sarebbe importato nulla se le avesse messo le mani addosso. A suo padre Esistenza non era mai importato nulla di loro… forse per questo sua sorella era cresciuta così male. Le sue figure genitoriali erano state l’Arcangelo Gabriel e Tempo, per quando il secondo fosse sui generis era comunque un uomo che sapeva crescere un bambino.
<< Eccellenza, aspetti un attimo. Potrebbe benissimo darci un’occhiata!>>
Bam. O Splat. Non sono sicuro dell’onomatopea adatta a questa situazione. Forse Basplathm. Oh sembra un nome esotico, se ci chiamate uno dei vostri figli voglio essere il padrino.
La sua testa era stata fatta esplodere con un pugno, come si vede in quei film, i denti, la lingua, il cervello e la pelle erano tutti per terra a macchiare l’erba dei loro cupi colori.
<< Non puoi uccidere così una divinità inferiore creata da Vita. Comunque che ci fai qui, Tempo?>>
L’altro scosse le mani sporche schifato dal sangue di cui si era macchiato. << Ehi, Morte, diciamocelo, se non lo avesse fatto qualcuno, non saresti stato contento. Per il paradosso non ti preoccupare, renderò nulla la mia azione riavvolgendo il suo tempo a prima della sua “morte”. Scompare dal registro, libro, o quello che usi, non ho mai capito come funziona, e va tutto al suo posto.>>
E nemmeno io l’ho mai capito come funziona quel coso. Prima o poi imparerò a non addormentarmi a scuola. Non che la frequenti ancora.
Schioccò le dita e puff. Il cranio era al suo posto come nulla fosse successo e i due dei erano scomparsi nel nulla. Il povero, scrissi sarcasticamente, Himeros non comprendeva che cosa fosse accaduto, sentiva solo uno strano dolorino al cranio e al collo.
Fatto stava che il dio con cui stava parlando era sparito.
Tempo e Morte stavano camminando nel vuoto cosmico con tranquillità, diretti ognuno a casa propria. Il non aver bisogno di respirare era sempre d’aiuto.
<< Quindi la storia dell’umana è vera?>> La domanda di tempo era uscita fuori con nonchalance, buttata lì senza cattiveria, ma solo con pura curiosità.
<< Parli di Aida? È solo una ragazza a cui ho dato un aiuto. Voleva recitare a teatro in una piccola produzione, il teatro era nei guai con una creatura e con un po’ d’aiuto abbiamo risolto il problema.>>
<< Una storia alla Ghostbuster. La prossima volta chiamatemi, amo Egon. Mai incrociare i flussi!>>
<< Se non è tratto da un libro non so di cosa parli. Hai anche tu voglia di farmi la predica?>>
<< Ehi, ricorda la mia regola di vita: ciò che fanno due adulti consenzienti nella loro camera da letto non sono affari miei.>>
Morte si tolse il cappuccio ed aprì gli occhi violacei per fissarsi con il solo occhio azzurro dell’altro.
<< Per te avrei avuto successo?>>
<< Alto, bello, intelligente, importante. A tratti mi innamoro pure io.>> Aggiunse divertito. A differenza di Himeros lui era sincero. Ci credeva davvero.
Ogni tanto non è male farsi alzare l’autostima da un amico. Tempo però, all’improvviso, smise di sorridere allegro per mostrare qualcosa di simile a un’aria di nostalgia ed amarezza.
Come a ricordare qualcosa che non voleva rivangare, come a riaprire una porta che voleva tenere chiusa con centinaia di lucchetti e catene.
<< L’amore se dovessi trovarlo… scappa lontano. Ti pugnala al cuore e le cicatrici continuano a sanguinare… no, lascia perdere. Se trovi l’amore seguilo.>> Gli diede una pacca sulla spalla. << E magari ci scappa il sesto figlio.>>
Riprese a ridere come prima, come se tutto fosse tornato dietro quella porta.
Quella porta di legno che stava marcendo.
La Guerra Segreta di Semeyaza: Una Brutta Storia
Gilgamesh spostò lo sguardo su Semeyaza, sembrava in contemplazione di quelle montagne loro obiettivo.
Come mai? Erano solo i monti su cui sorgeva la città che gli era stato chiesto di raggiungere, una missione da nulla.
<< Ah.>> Poi realizzò. Si diceva che i duecento angeli caduti fossero stati seppelliti da Dio sotto una montagna, aveva a che fare con quella storia? Non che fosse proprio veritiera da quanto aveva capito, ma come si dice sempre “le leggende hanno sempre un fondo di verità”. Molto sul fondo.
<< Abbiamo molto tempo, Semeyaza. Se vorresti raccontarmi la tua storia, ne sarei onorato.>>
L’altro non si aspettava una simile richiesta, ma andava bene. Gli piaceva raccontare storie, ne aveva inventate tante per portarsi a letto le donne nel corso degli anni.
<< Oh wow, okay. Per me va bene. Che ne dici di iniziare con “era una notte buia e tempestosa”… no, troppo abusata. “In principio era il verbo...” credo sarei blasfemo. E già sono un angelo caduto sulla terra, non posso abusare della mia fortuna.>>
Era imbarazzato e straparlava.
Amava raccontare storie, ma non ho mai detto che fosse talentuoso. Non negli inizi almeno, ma anche io faccio schifo. Mi avete letto, no? Già che ci sono, complimenti per il coraggio.
Forse è meglio se mi metto a raccontarvi io, la sua storia. Sarà più facile, almeno con me ci siete abituati.
Dobbiamo tornare a tanti secoli fa, il Mondo in cui ora si trovano era assai più rudimentale, diciamo che erano nel medioevo. Non avevano i vaccini, non avevano molta igiene, non avevano molta cultura, ma avevano molta peste, lebbra e corvè. Si equilibravano. Quel che bastava a non far pendere troppo la bilancia da un lato.
A quei tempi Semeyaza e i suoi erano ancora tutti agli effetti angeli, avevano partecipato al gruppo di difesa della rivolta angelica di qualche millennio prima. Erano, forse suonerà un po’ razzista, angeli puri.
Gli angeli puri erano entità che, a differenza degli attuali, erano nati tali. Quindi erano venuti al mondo già con alette, aureola, ecc. non i tatuaggi, quelli erano tipici, solitamente, degli ex umani. E, voglio sottolinearlo, hanno tutto al loro posto lì sotto. Non seguite gli stereotipi.
Il compito di Semeyaza, ricevuto per meriti sul campo, era di tenere d'occhio gli angeli inferiori, faceva, praticamente, ciò che oggi fa Metatron. Solo che lui era molto più benvoluto e simpatico agli altri altri. Accade sempre così quando cambi gestione, il capo precedente era sempre meglio. Stavolta era vero, un capo che ti offriva da bere al bar contro uno che era già tanto se non ti amputava un arto.
Un giorno, in cui tutto era sin troppo in ordine, abbassò gli occhi sul Lago dei Mondi, in cui si diceva fosse potesse osservare ogni luogo che esisteva, e cominciò a fissare i comportamenti umani. Non lo aveva mai fatto, anzi non ne aveva avuto il tempo. Era troppo impegnato, non quanto il suo successore, ma anche aveva i suoi bei grattacapi.
<< Ohi, Semi, che fai?>>
<< Eccellenza Tempo, stavo… solo guardando gli umani.>>
<< Oh, oh,oh!>> Si avvicinò accanto a lui ridacchiando. << Bellissimo, vero? Io amo farlo spesso. Vederli così operosi è grandioso, poi c’è chi si da fare con tutto sé stesso. In quei casi mi piace dargli un aiutino. È la prima volta che lo fai?>>
Annuì imbarazzato.
<< Prova a guardarli più spesso, impareresti molto. Nel bene e nel male>>
Non saprei dire se aver seguito quel consiglio sia stato un bene o un male.
Cominciò ad osservare gli esseri umani, pian piano furono molti altri a seguire il suo esempio. Si riunivano lì, ad osservare il Secondo Mondo, quasi fosse un circolo esclusivo. Si erano innamorati degli umani. Non solo dei loro aspetti, ma delle loro abitudini, dei loro lavori, del loro modo di sognare.
Sarebbe stato bello essere uno di loro.
Ma chi avrebbe avuto la forza di chiedere ad Esistenza una cosa simile? Non avevano il coraggio di rivolgersi a lui. Nessuno tranne Semeyaza stesso, loro leader.
Fu richiesto l’intervento di Fato per permettere l’incontro, il dio non aveva niente in contrario a tale argomento. Più difficile sarebbe stato convincere Esistenza, lui non amava angeli o gli umani. Odiava tutto. Come Tradimento.
<< Eccellenza Fato, quindi ci aiuterete?>>
<< Non comprendo i vostri desideri, ma non mi oppongo. Ognuno scrive il proprio destino, no? Ma non posso promettere nulla per Esistenza, sai bene come è fatto. Sarò io a intercedere per te, magari mi darà più ascolto.>>
Il palazzo di Esistenza non era un posto raccomandabile, non stiamo parlando di una villa come quella di Morte o di quegli strani prati zuccherosi di Vita, parliamo di un “pianeta” completamente meccanico. Ogni pezzo di terra era fatto di una lega di metallo, il verde non si vedeva nemmeno con un binocolo, non lo amava. Non amava le forme di vita organiche, erano stupide ed imperfette.
Prima ho detto che odiava tutti come Tradimento, ma forse ho sbagliato. Tradimento era capace di atti di misericordia ed amore, era capace di tornare sui passi. Era arrogante, ma non stolto.
Esistenza non possedeva nessuna di queste qualità, egli era freddo e senza emozioni. Era più simile a un sasso che ad un essere vivente. Era questo il motivo per cui non andava molto d’accordo con Tempo, il dio più vicino ai mortali.
Il suo pseudo disprezzo, per intenderci, si estendeva persino al Metatron, l’unico angelo che aveva preso al suo servizio, anche se era il più vicino allo stato di “macchina” come lui.
Fato chiuse il colletto del suo abito, mise in spalla la sua bilancia, per indicare il suo status, ed entrò. Avrebbe fatto appello a una pazienza letteralmente divina per discutere con quello.
Si chiedeva come avesse fatto ad avere un figlio di buon cuore come Morte, l’influenza di Gabriel e Tempo si era fatta sentire. Per fortuna. Non avrebbe retto a un altro come lui.
<< Sono secoli che nessuno si presenta alla mia dimora.>>
<< Lo so bene, Esistenza.>>
<< Qual è la tua richiesta, Dio del Fato?>>
<< Il Grigorio Semeyaza e i suoi duecento sottoposti vogliono scendere tra gli umani. In quanto attuale controllore dello status angelico al posto di tuo padre Eternità serve la tua aut...>>
<< Sono stato forse disturbato per una simile inezia? Annientali e basta.>>
<< Non è ciò di cui ho parlato, Esistenza.>>
<< Così ho parlato.>>
<< Così hai stupidamente esclamato.>>
Semeyaza rimasto in attesa spasmodica, andava avanti e indietro per il prato( e anche sopra e sotto, sapete, sa volare), erano forse le ore più nervose della sua vita. Potete ben capire la sua reazione quando vide come era ridotto Fato al suo ritorno.
La stoffa del suo abito cinese era in pezzi così come buona parte delle sue bende che solitamente lo coprivano. Il suo petto tatuato di motivi astratti e tribali, persino una piccola frazione del suo volto si presentava ai suoi occhi, labbra sottili e una piccola cicatrice su di esse.
I suoi capelli azzurri erano tagliati, entrambi i suoi occhi erano visibili all’angelo. Un privilegio unico.
<< Eccellenza Fato, cosa le è successo?>>
<< L’ho convinto, ho dovuto passare alle maniere forti, ma avete l’autorizzazione. In cambio non potrete abbandonare quel Mondo, anche se dovesse essere cancellato.>> Fato notò la sua espressione. << Perché quella faccia? Non sei contento? Trovi che il prezzo sia troppo alto?>>
<< No, ma ho visto come si è ridotto...>>
Fato accennò un sorriso. Era un bravo ragazzo.
<< Sono solo vestiti e bende, sono giusto un vezzo estetico. E poi, detto tra noi… erano millenni che volevo farlo. Non posso lasciare solo a Corona la soddisfazione di prendere a calci quel tipo.>>
<< “Quel tipo”… che tipo di persona è Esistenza?>>
<< Una macchina. Non ha uno straccio di emozione, agisce solo per la sua logica fredda, quasi un computer. Peccato non rispetti le tre regole della robotica. Se unisse la sua logica ad un pizzico di cuore, forse non sarebbe tanto male. Ora porta con te i tuoi amici, fatti una bella vita, fai dei figli e tutto il resto. Ho sentito che è perfetto in questa stagione.>>
Semeyaza e i suoi osservarono ispirati i villaggi sotto i loro piedi, si sarebbero divisi, ma rimanendo nella medesima zona. Avrebbero dato un po’ nell’occhio apparendo così improvvisamente, ma non gli importava.
Avrebbero tenuto nascosto la loro natura di angeli e si sarebbero comportati come comuni mortali.
Avevano imparato abbastanza. Certo, come imparare la storia da un film televisivo di basso budget.
La cultura angelica era decisamente più avanzata di quella umana, avevano avuto la lampadina due giorni e mezzo dopo la nascita del vetro, i giorni precedenti erano stati intensi. Quindi non era facile abituarsi all’uso di fiaccole, Shamshiel era più tecnologico di quanto non sembrasse e non voleva parlare del fatto che non conoscevano nemmeno l’uso dell’orologio (e dei servizi igenici).
In preda ad una crisi isterica fece in mille pezzi un grosso albero per ottenere i materiali per costruire una meridiana. Semeyaza avrebbe voluto sbattere la testa contro una roccia, anche a lui mancavano gli agi angelici, ma avevano scelto di unirsi agli umani. Un po’ di stupida abilità mimetica, amico!
Il risultato fu insperato, l’angelo fu considerato un grande inventore. << Seriamente?>> Penserete voi, ma dovete vederla dall’ottica di chi non hai mai pensato ad altro che alle clessidre per gestire lo scorrere del tempo. Ciò che noi riteniamo di uso comune, al momento della loro concezione erano oggetti di incredibile fantasia e splendore.
Era come se mostraste ad un uomo delle caverne un barbecue. Vi erigerebbero a dio in terra. O vi cucinerebbero.
<< Scusa, Semeyaza. Potevo fare di peggio, dopotutto.>>
<< Oh, certo.>> Commentò seccato. << Potevi creare un orologio atomico con una mela e sterco di mucca. Beh, ti hanno preso solo per un inventore. Aspetta i prossimi 1500 anni minimi per la lampadina. Siamo chiari?>>
<< Sempre che non ci ammazzino prima.>>
Quel commentò, che sarebbe dovuto essere una battutina innocua, finì per pungerlo sul vivo. Questa era una cosa su cui avrebbero dovuto fare attenzione, ad un certo punto della loro vita si sarebbero dovuti defilare dal villaggio, non invecchiavano, li avrebbero presi per stregoni o demoni.
E sapete che queste storie finiscono nel solito modo. Torce, forconi, pire incendiarie, quelle sedie in cui ficchi la gente nel fiume, vergini di ferro, tutta quella roba che all’inquisizione piaceva da morire… avete sentito anche voi quel rumore di batteria? No? Sarà Fantaso, dorme come un ghiro, non lavora, ma è un genio musicale di primo livello.
Fortunatamente col tempo riuscirono ad abituarsi, alcuni di loro misero le loro conoscenze al servizio degli altri in modo innocuo. Semeyaza cominciò ad insegnare come usare le erbe curative, le malattie diminuirono drasticamente, la peste e la lebbra ormai erano solo un ricordo, Gadreel costruì nuovi strumenti per catturare le bestie selvatiche usando ciò che era disponibile in natura e Kokabeel si era dato all’insegnamento dei più giovani.
All’epoca questi non aveva ancora l'inquietante aspetto di oggi, i suoi capelli erano lisci e di un colore castano spento, i suoi occhi, ancora uguali, brillavano di azzurro mare. Sì, era proprio un bell’uomo; in più era amato da tutti i suoi studenti. Faceva quasi invidia a Nakajima Atsushi in quest’ultimo punto.
<< Semeyaza, ho sentito la grande notizia!>> Potevi vedere un sorriso gioioso sulla sua faccia soddisfatta. << A quando il lieto evento?>>
<< Non è facile dirlo così su due piedi, gli umani partoriscono dopo nove mesi, ma chissà come funziona con un mezzo angelo. E non sono nemmeno il solo a diventare papà, anche molti altri lo diventeranno pare.>>
Già, sembrava che tutto andasse per il meglio. Semeyaza e i suoi si erano uniti perfettamente con gli umani.
Un lieto fine… ah, ormai lo avete imparato. Quando uso questa espressione sto mentendo quasi sempre.
Forse fu una coincidenza, o forse Esistenza si stava vendicando per le botte ricevute da Fato, ma quando venne il momento dell’evento fu un qualcosa di massa. E non fu bello.
Il cielo non preannunciava nulla di buono sin dal mattino presto, i nuvoloni neri si addensavano cominciando a far sentire i tuoni. E sì, Esistenza si stava proprio divertendo, sempre che potesse provare qualcosa di simile.
<< Non è proprio facile.>> Pensò ad alta voce, il suo veniva attutito dalla sua mascherina chirurgica. << Una cosa è far nascere gli infanti altrui, ma quando ad uscire sono i tuoi… wow, è tosta.>>
Anche le acque delle altre donne si erano rotte nello stesso identico momento, gli angeli e gli studenti di Kokabeel stavano facendo del loro meglio per contenere l’emergenza. Se fosse stato un esame universitario di medicina avrebbero ricevuto laurea, bacio accademico, un posto fisso e un abbonamento al centro golfistico più vicino.
<< Sì, ma ora spostati.>> Rispose Kokabeel iniziando a tirare fuori il primo dei bambini.
In tutto ci vollero 23 ore e mezzo per estrarre entrambi gli infanti. A quel punto sarebbe stato cinematografica la caduta di un fulmin… no, è sbagliato. Mi spiace, ma devo smettere di scherzare ad questo punto in poi. Non ci sarà nulla da ridere. Non riderò io, non riderà Semeyaza, non riderà Kokabeel, non rideranno i bambini e, per favore, non ridete voi. Abbiate buon cuore.
La donna appena ricevette i bambini non poté fare a meno di urlare in preda all’orrore. Già, i bambini erano deformi.
Il primo, Oyha, aveva un braccio solo e le sue cavità oculari erano unite in una sola. Per grazia di qualche altro dio riusciva però a guardare normalmente.
Il secondo, Hahya, era invece di una magrezza inquietante, come se la pelle fosse letteralmente incollata alle ossa, quasi come se gli organi non fossero presenti. Infine la sua bocca si trovava sulla fronte. Il cervello si era spostato in qualche altra parte, o forse si era ridotto di dimensioni mantenendo però la normalmente funzionalità.
Non erano i soli, ogni bambino nato quella sera aveva una qualche deformità fisica. Una crudelissima vendetta di Esistenza? Veniva da chiedersi se quel dio che si considerava una macchina, non provasse ancora l’odio e la rabbia.
Prendersela con dei bambini innocenti, era disgustoso.
Ma no, lui non centrava. Era semplice genetica. I DNA di un umano e di un angelo difficilmente si combinano senza problemi, era un po’ come se due persone con lo stesso sangue si fossero unite. Gli angeli non hanno una “mappa genetica” stabile, sono in continuo mutamento per adattarsi il meglio possibile alle condizioni ambientali in cui si trovano per poter svolgere in modo ottimizzato i loro compiti.
Peccato che quasi nessuno lo sapesse.
Fu difficile tirarli su, ma crescevano velocemente sia fisicamente che mentalmente. Erano di aiuto, nonostante gli handicap, al villaggio.
Ecco. Finita. Vissero tutti felici e contenti.
Davvero è finita.
Credetemi vi prego. Fingiamo che sia finita qui. I bambini sono d’aiuto, crescono nonostante i problemi, trovano l’anima gemella, mettono su famiglia e muoiono felici.
Sarebbe bello.
Lo volete, vero?
Volete che io vada avanti. Che io continui questa storia, questa sporca e ingiusta storia.
Mi maledico, sono stato io a iniziare a scriverla.
I giorni passavano e la situazione di queste nascite deformi si diffondevano anche nei villaggi vicini ricevendo le medesime notizie. Non ci misero moto a fare due più due, ciò che avevano in comune era l’apparizione, da un giorno all'altro di nuovi membri, tutti arrivati nel medesimo momento.
E da qui in poi vi pregherei di pensarci bene prima di andare avanti.
Vi lascerò un paio di righe per pensarci, va bene?
…
…
Bene, da qui in poi io ho concluso i miei tentativi di aiutarvi a passare una serata migliore.
Quando Semeyaza tornò alla sua dimora dopo una giornata passata nei capi trovò la porta sporca di qualche macchia rossa. Alle prime pensò che fosse arrivato il periodo del sacrificio degli animali, non lo condivideva, ma si era adattato, solo poi comprese che il sangue si diffondeva solo in certe case.
Aprì la porta, istintivamente comprese che era successo qualcosa che lo avrebbe distrutto dentro.
E lì fu il momento peggiore della vita del Grigorio Semeyaza, il momento in cui gli fu strappato tutto.
Sui corpi insanguinati dei due bambini, era la donna amata con le mani sporche del loro sangue innocente.
<< C… cosa è successo?>> La voce gli si spezzava in gola. Continuare era una sofferenza.
<< Li ho uccisi. Ho fatto la cosa giusta. Il male non si diffonderà nel villaggio.>>
<< I...l m...male?>> Era una tortura.
<< Come se non lo sapessi! Tu e la tua gente aveva portato il seme del male nei vostri villaggi!>>
Tremò. Il “seme del male”?
Ma lui l’aveva amata come non mai.
Lui aveva aiutato il villaggio. Tutti loro lo avevano aiutato.
Non riusciva nemmeno più a muoversi. Come poteva l’amore tramutarsi in odio?
Chi aveva detto cose del genere?
Non riuscì a aprire la bocca, un coltello trafisse il suo ventre senza pietà.
Lo poteva sentire. Non c’era più amore.
Solo odio.
Digrignò i denti fino a scheggiarli.
Erano dei bambini innocenti. Poteva odiare lui, ma loro? L'unica colpa era essere i suoi figli. Voleva amarli. Amava ancora lei.
Alzò lo sguardo verso di lei.
Kokabeel corse il più velocemente possibile per avvisarlo portando in braccio un bambino, da lui salvato per miracolo. Quando spalancò la porta non poté fare a meno di veder i tre corpi a terra, morti.
<< Semeyeza, anche qui...>>
L’angelo ritrasse nel suo corpo le armi che poco prima aveva generato per difendersi e, con il volto imbratto dal rosso che scorreva dentro al donna amata, riprese le forze.
<< Chiama gli altri e scappiamo. Dobbiamo salvare quanto più bambini possibili.>>
Annuì, non voleva sapere cosa era successo. Poteva immaginarlo.
Non ci volle molto a chiamarli tutti, Semeyaza fu piacevolmente colpito nello scoprire di uomini e donne che avevano deciso, nonostante l’avversità, di restare con gli angeli amati. Almeno loro non avrebbero sofferto come lui.
Non poteva però rinunciare al suo ruolo di loro guida, doveva mostrarsi forte.
<< Ci dirigeremo verso la Montagna di Shatah-Shubar! Lì erigeremo uno scudo usando il Craft e ci occulteremo sino a quando non potremo rimetterci in viaggio, ma dobbiamo muoverci. Per quanto più deboli, gli umani sono in numero maggiore e non possiamo sottovalutarli.>>
Gli altri lo seguirono senza esitare, ai tempi in cui si trovavano ancora nei cieli era sempre stato un leader degno. La sua principale preoccupazione era proteggere quelle famiglie.
<< Semeyaza, posso parlarti?>>
<< Cosa succede, Kokabeel?>>
<< Se gli umani ci raggiungessero potremmo essere costretti usare il Craft in modo molto violento. Meglio se resto indietro, verrò da voi più avanti col mio potere di teletrasporto. Purtroppo non è abbastanza per portare tutte queste persone, ma sarà abbastanza per permettermi di tornare da voi.>> Avrebbe voluto dirgli qualcosa, ma fu stroncato sul nascere. << Non posso lasciare che se ne occupi qualcun altro, avete tutti famiglia. Io no, non ho mai trovato nessuno, quindi lascia che vi aiuti così. E poi tu sei già abbastanza ferito.>> Concluse posandogli sul petto, in un punto preciso, la mano.
Non attese nemmeno la risposta, tornò indietro superando tutti.
Gli umani che fino al giorno prima aveva curato erano lì armati di spade, forconi, lance e torce. Asce, coltelli e falcetti.
<< Fatevi avanti, umani!>> Gli urlò contro. << Da questo punto il dottore abbandona ogni obiezione di coscienza!>>
E fu lì che l’angelo abbandonò quella forma umana per prendere la reale. Ne avevo accennato che gli angeli si antropomorfizzassero, ma ciò riguarda quasi esclusivamente i più potenti o quelli che avevano ricevuto una benedizione.
Kokabeel era un gradino sotto a Semeyaza.
Dal suo corpo cominciarono a spuntare grosse ali piumate azzurre, la sua bocca si allungò leggermente e le sue unghie si affilarono. Altre tre teste spuntarono, leone, aquila e toro.
Si batte come una furia con tutte le sue forze, ma un uomo può uccidere un angelo se abbastanza forte. Infondo lo sapeva già, un angelo come lui non ha il potere che un gruppo di umani può ottenere.
Il potere dell’odio.
Per quanto furioso un angelo non può odiare dal profondo del suo cuore, un umano sì.
Il suo corpo, massacrato, regredì e fu fatto a pezzi come se fosse un vecchio giocattolo. Eppure era ancora vivo. Sentiva ogni pezzo staccato. Vivo e soddisfatto, aveva preso almeno tre ore di vantaggio.
Chissà quando sarebbe morto. Almeno poteva osservare il cielo. Che bello. Vedeva la costellazione del serpentario, Esculapio, il più grande dei medici delle leggende.
Poi sentì una strana sensazione al braccio, un insetto voleva averlo toccato? No, qualcuno lo aveva sollevato.
<< Ho trovato un braccio del maestro!>>
<< Io ho trovato i polmoni! Qualcuno ha trovato il busto? Così possiamo iniziare!>>
<< Lo ho io! Passatemi ago e filo da sutura.>>
Non poteva crederci, quelli che stavano parlando erano i suoi allievi. Non li aveva visti nella folla, ma non credeva che sarebbe andati lì. In un certo senso fu un piacere vederli, ma cosa volevano fare?
Stavano riunendo tutte le sue parli smembrate e stavano ricucendo tutto col massimo impegno.
L’operazione durò dodici ore e il risultato fu piuttosto disastroso. I capelli erano rizzati in aria, forse per problemi cuticolari, un occhio era molto più visibile dell'altro ed era pieno di punti di cucitura ben visibili.
<< Ci dispiace, maestro! Purtroppo non siamo riusciti a fare di meglio.>>
Si specchiò in un pezzo di vetro e sorrise gentile, per quanto inquietante.
<< Grazie, ragazzi. Ve ne sono grato, ma come mai siete venuti?>>
<< Noi non crediamo alla storia del seme del male, maestro! Lei ci ha insegnato a curare le persone con tutto noi stessi, non può essere cattivo!>>
<< Ma ora che farete?>>
<< Partiremo per curare i malati secondo i suoi insegnamenti.>>
Kokabeel si alzò con un po’ d’aiuto e, trattenendo lacrime di commozione, scomparve nel nulla.
<< Finisce così?>> Chiese sorpreso. Aveva interrotto la storia all’improvviso.
<< La prima parte almeno sì.>>
<< E la seconda?>>
<< Diciamo che è un work in progress.>>
Si mise la mano sulla cicatrice, nonostante potesse guarire la tenne come monito. Gilgamesh preferì non continuare le domande, anche lui aveva i suoi segreti e doveva rispettare quelli degli altri.
<< Finito qui andiamo a bere qualcosa, offro io.>>
Come mai? Erano solo i monti su cui sorgeva la città che gli era stato chiesto di raggiungere, una missione da nulla.
<< Ah.>> Poi realizzò. Si diceva che i duecento angeli caduti fossero stati seppelliti da Dio sotto una montagna, aveva a che fare con quella storia? Non che fosse proprio veritiera da quanto aveva capito, ma come si dice sempre “le leggende hanno sempre un fondo di verità”. Molto sul fondo.
<< Abbiamo molto tempo, Semeyaza. Se vorresti raccontarmi la tua storia, ne sarei onorato.>>
L’altro non si aspettava una simile richiesta, ma andava bene. Gli piaceva raccontare storie, ne aveva inventate tante per portarsi a letto le donne nel corso degli anni.
<< Oh wow, okay. Per me va bene. Che ne dici di iniziare con “era una notte buia e tempestosa”… no, troppo abusata. “In principio era il verbo...” credo sarei blasfemo. E già sono un angelo caduto sulla terra, non posso abusare della mia fortuna.>>
Era imbarazzato e straparlava.
Amava raccontare storie, ma non ho mai detto che fosse talentuoso. Non negli inizi almeno, ma anche io faccio schifo. Mi avete letto, no? Già che ci sono, complimenti per il coraggio.
Forse è meglio se mi metto a raccontarvi io, la sua storia. Sarà più facile, almeno con me ci siete abituati.
Dobbiamo tornare a tanti secoli fa, il Mondo in cui ora si trovano era assai più rudimentale, diciamo che erano nel medioevo. Non avevano i vaccini, non avevano molta igiene, non avevano molta cultura, ma avevano molta peste, lebbra e corvè. Si equilibravano. Quel che bastava a non far pendere troppo la bilancia da un lato.
A quei tempi Semeyaza e i suoi erano ancora tutti agli effetti angeli, avevano partecipato al gruppo di difesa della rivolta angelica di qualche millennio prima. Erano, forse suonerà un po’ razzista, angeli puri.
Gli angeli puri erano entità che, a differenza degli attuali, erano nati tali. Quindi erano venuti al mondo già con alette, aureola, ecc. non i tatuaggi, quelli erano tipici, solitamente, degli ex umani. E, voglio sottolinearlo, hanno tutto al loro posto lì sotto. Non seguite gli stereotipi.
Il compito di Semeyaza, ricevuto per meriti sul campo, era di tenere d'occhio gli angeli inferiori, faceva, praticamente, ciò che oggi fa Metatron. Solo che lui era molto più benvoluto e simpatico agli altri altri. Accade sempre così quando cambi gestione, il capo precedente era sempre meglio. Stavolta era vero, un capo che ti offriva da bere al bar contro uno che era già tanto se non ti amputava un arto.
Un giorno, in cui tutto era sin troppo in ordine, abbassò gli occhi sul Lago dei Mondi, in cui si diceva fosse potesse osservare ogni luogo che esisteva, e cominciò a fissare i comportamenti umani. Non lo aveva mai fatto, anzi non ne aveva avuto il tempo. Era troppo impegnato, non quanto il suo successore, ma anche aveva i suoi bei grattacapi.
<< Ohi, Semi, che fai?>>
<< Eccellenza Tempo, stavo… solo guardando gli umani.>>
<< Oh, oh,oh!>> Si avvicinò accanto a lui ridacchiando. << Bellissimo, vero? Io amo farlo spesso. Vederli così operosi è grandioso, poi c’è chi si da fare con tutto sé stesso. In quei casi mi piace dargli un aiutino. È la prima volta che lo fai?>>
Annuì imbarazzato.
<< Prova a guardarli più spesso, impareresti molto. Nel bene e nel male>>
Non saprei dire se aver seguito quel consiglio sia stato un bene o un male.
Cominciò ad osservare gli esseri umani, pian piano furono molti altri a seguire il suo esempio. Si riunivano lì, ad osservare il Secondo Mondo, quasi fosse un circolo esclusivo. Si erano innamorati degli umani. Non solo dei loro aspetti, ma delle loro abitudini, dei loro lavori, del loro modo di sognare.
Sarebbe stato bello essere uno di loro.
Ma chi avrebbe avuto la forza di chiedere ad Esistenza una cosa simile? Non avevano il coraggio di rivolgersi a lui. Nessuno tranne Semeyaza stesso, loro leader.
Fu richiesto l’intervento di Fato per permettere l’incontro, il dio non aveva niente in contrario a tale argomento. Più difficile sarebbe stato convincere Esistenza, lui non amava angeli o gli umani. Odiava tutto. Come Tradimento.
<< Eccellenza Fato, quindi ci aiuterete?>>
<< Non comprendo i vostri desideri, ma non mi oppongo. Ognuno scrive il proprio destino, no? Ma non posso promettere nulla per Esistenza, sai bene come è fatto. Sarò io a intercedere per te, magari mi darà più ascolto.>>
Il palazzo di Esistenza non era un posto raccomandabile, non stiamo parlando di una villa come quella di Morte o di quegli strani prati zuccherosi di Vita, parliamo di un “pianeta” completamente meccanico. Ogni pezzo di terra era fatto di una lega di metallo, il verde non si vedeva nemmeno con un binocolo, non lo amava. Non amava le forme di vita organiche, erano stupide ed imperfette.
Prima ho detto che odiava tutti come Tradimento, ma forse ho sbagliato. Tradimento era capace di atti di misericordia ed amore, era capace di tornare sui passi. Era arrogante, ma non stolto.
Esistenza non possedeva nessuna di queste qualità, egli era freddo e senza emozioni. Era più simile a un sasso che ad un essere vivente. Era questo il motivo per cui non andava molto d’accordo con Tempo, il dio più vicino ai mortali.
Il suo pseudo disprezzo, per intenderci, si estendeva persino al Metatron, l’unico angelo che aveva preso al suo servizio, anche se era il più vicino allo stato di “macchina” come lui.
Fato chiuse il colletto del suo abito, mise in spalla la sua bilancia, per indicare il suo status, ed entrò. Avrebbe fatto appello a una pazienza letteralmente divina per discutere con quello.
Si chiedeva come avesse fatto ad avere un figlio di buon cuore come Morte, l’influenza di Gabriel e Tempo si era fatta sentire. Per fortuna. Non avrebbe retto a un altro come lui.
<< Sono secoli che nessuno si presenta alla mia dimora.>>
<< Lo so bene, Esistenza.>>
<< Qual è la tua richiesta, Dio del Fato?>>
<< Il Grigorio Semeyaza e i suoi duecento sottoposti vogliono scendere tra gli umani. In quanto attuale controllore dello status angelico al posto di tuo padre Eternità serve la tua aut...>>
<< Sono stato forse disturbato per una simile inezia? Annientali e basta.>>
<< Non è ciò di cui ho parlato, Esistenza.>>
<< Così ho parlato.>>
<< Così hai stupidamente esclamato.>>
Semeyaza rimasto in attesa spasmodica, andava avanti e indietro per il prato( e anche sopra e sotto, sapete, sa volare), erano forse le ore più nervose della sua vita. Potete ben capire la sua reazione quando vide come era ridotto Fato al suo ritorno.
La stoffa del suo abito cinese era in pezzi così come buona parte delle sue bende che solitamente lo coprivano. Il suo petto tatuato di motivi astratti e tribali, persino una piccola frazione del suo volto si presentava ai suoi occhi, labbra sottili e una piccola cicatrice su di esse.
I suoi capelli azzurri erano tagliati, entrambi i suoi occhi erano visibili all’angelo. Un privilegio unico.
<< Eccellenza Fato, cosa le è successo?>>
<< L’ho convinto, ho dovuto passare alle maniere forti, ma avete l’autorizzazione. In cambio non potrete abbandonare quel Mondo, anche se dovesse essere cancellato.>> Fato notò la sua espressione. << Perché quella faccia? Non sei contento? Trovi che il prezzo sia troppo alto?>>
<< No, ma ho visto come si è ridotto...>>
Fato accennò un sorriso. Era un bravo ragazzo.
<< Sono solo vestiti e bende, sono giusto un vezzo estetico. E poi, detto tra noi… erano millenni che volevo farlo. Non posso lasciare solo a Corona la soddisfazione di prendere a calci quel tipo.>>
<< “Quel tipo”… che tipo di persona è Esistenza?>>
<< Una macchina. Non ha uno straccio di emozione, agisce solo per la sua logica fredda, quasi un computer. Peccato non rispetti le tre regole della robotica. Se unisse la sua logica ad un pizzico di cuore, forse non sarebbe tanto male. Ora porta con te i tuoi amici, fatti una bella vita, fai dei figli e tutto il resto. Ho sentito che è perfetto in questa stagione.>>
Semeyaza e i suoi osservarono ispirati i villaggi sotto i loro piedi, si sarebbero divisi, ma rimanendo nella medesima zona. Avrebbero dato un po’ nell’occhio apparendo così improvvisamente, ma non gli importava.
Avrebbero tenuto nascosto la loro natura di angeli e si sarebbero comportati come comuni mortali.
Avevano imparato abbastanza. Certo, come imparare la storia da un film televisivo di basso budget.
La cultura angelica era decisamente più avanzata di quella umana, avevano avuto la lampadina due giorni e mezzo dopo la nascita del vetro, i giorni precedenti erano stati intensi. Quindi non era facile abituarsi all’uso di fiaccole, Shamshiel era più tecnologico di quanto non sembrasse e non voleva parlare del fatto che non conoscevano nemmeno l’uso dell’orologio (e dei servizi igenici).
In preda ad una crisi isterica fece in mille pezzi un grosso albero per ottenere i materiali per costruire una meridiana. Semeyaza avrebbe voluto sbattere la testa contro una roccia, anche a lui mancavano gli agi angelici, ma avevano scelto di unirsi agli umani. Un po’ di stupida abilità mimetica, amico!
Il risultato fu insperato, l’angelo fu considerato un grande inventore. << Seriamente?>> Penserete voi, ma dovete vederla dall’ottica di chi non hai mai pensato ad altro che alle clessidre per gestire lo scorrere del tempo. Ciò che noi riteniamo di uso comune, al momento della loro concezione erano oggetti di incredibile fantasia e splendore.
Era come se mostraste ad un uomo delle caverne un barbecue. Vi erigerebbero a dio in terra. O vi cucinerebbero.
<< Scusa, Semeyaza. Potevo fare di peggio, dopotutto.>>
<< Oh, certo.>> Commentò seccato. << Potevi creare un orologio atomico con una mela e sterco di mucca. Beh, ti hanno preso solo per un inventore. Aspetta i prossimi 1500 anni minimi per la lampadina. Siamo chiari?>>
<< Sempre che non ci ammazzino prima.>>
Quel commentò, che sarebbe dovuto essere una battutina innocua, finì per pungerlo sul vivo. Questa era una cosa su cui avrebbero dovuto fare attenzione, ad un certo punto della loro vita si sarebbero dovuti defilare dal villaggio, non invecchiavano, li avrebbero presi per stregoni o demoni.
E sapete che queste storie finiscono nel solito modo. Torce, forconi, pire incendiarie, quelle sedie in cui ficchi la gente nel fiume, vergini di ferro, tutta quella roba che all’inquisizione piaceva da morire… avete sentito anche voi quel rumore di batteria? No? Sarà Fantaso, dorme come un ghiro, non lavora, ma è un genio musicale di primo livello.
Fortunatamente col tempo riuscirono ad abituarsi, alcuni di loro misero le loro conoscenze al servizio degli altri in modo innocuo. Semeyaza cominciò ad insegnare come usare le erbe curative, le malattie diminuirono drasticamente, la peste e la lebbra ormai erano solo un ricordo, Gadreel costruì nuovi strumenti per catturare le bestie selvatiche usando ciò che era disponibile in natura e Kokabeel si era dato all’insegnamento dei più giovani.
All’epoca questi non aveva ancora l'inquietante aspetto di oggi, i suoi capelli erano lisci e di un colore castano spento, i suoi occhi, ancora uguali, brillavano di azzurro mare. Sì, era proprio un bell’uomo; in più era amato da tutti i suoi studenti. Faceva quasi invidia a Nakajima Atsushi in quest’ultimo punto.
<< Semeyaza, ho sentito la grande notizia!>> Potevi vedere un sorriso gioioso sulla sua faccia soddisfatta. << A quando il lieto evento?>>
<< Non è facile dirlo così su due piedi, gli umani partoriscono dopo nove mesi, ma chissà come funziona con un mezzo angelo. E non sono nemmeno il solo a diventare papà, anche molti altri lo diventeranno pare.>>
Già, sembrava che tutto andasse per il meglio. Semeyaza e i suoi si erano uniti perfettamente con gli umani.
Un lieto fine… ah, ormai lo avete imparato. Quando uso questa espressione sto mentendo quasi sempre.
Forse fu una coincidenza, o forse Esistenza si stava vendicando per le botte ricevute da Fato, ma quando venne il momento dell’evento fu un qualcosa di massa. E non fu bello.
Il cielo non preannunciava nulla di buono sin dal mattino presto, i nuvoloni neri si addensavano cominciando a far sentire i tuoni. E sì, Esistenza si stava proprio divertendo, sempre che potesse provare qualcosa di simile.
<< Non è proprio facile.>> Pensò ad alta voce, il suo veniva attutito dalla sua mascherina chirurgica. << Una cosa è far nascere gli infanti altrui, ma quando ad uscire sono i tuoi… wow, è tosta.>>
Anche le acque delle altre donne si erano rotte nello stesso identico momento, gli angeli e gli studenti di Kokabeel stavano facendo del loro meglio per contenere l’emergenza. Se fosse stato un esame universitario di medicina avrebbero ricevuto laurea, bacio accademico, un posto fisso e un abbonamento al centro golfistico più vicino.
<< Sì, ma ora spostati.>> Rispose Kokabeel iniziando a tirare fuori il primo dei bambini.
In tutto ci vollero 23 ore e mezzo per estrarre entrambi gli infanti. A quel punto sarebbe stato cinematografica la caduta di un fulmin… no, è sbagliato. Mi spiace, ma devo smettere di scherzare ad questo punto in poi. Non ci sarà nulla da ridere. Non riderò io, non riderà Semeyaza, non riderà Kokabeel, non rideranno i bambini e, per favore, non ridete voi. Abbiate buon cuore.
La donna appena ricevette i bambini non poté fare a meno di urlare in preda all’orrore. Già, i bambini erano deformi.
Il primo, Oyha, aveva un braccio solo e le sue cavità oculari erano unite in una sola. Per grazia di qualche altro dio riusciva però a guardare normalmente.
Il secondo, Hahya, era invece di una magrezza inquietante, come se la pelle fosse letteralmente incollata alle ossa, quasi come se gli organi non fossero presenti. Infine la sua bocca si trovava sulla fronte. Il cervello si era spostato in qualche altra parte, o forse si era ridotto di dimensioni mantenendo però la normalmente funzionalità.
Non erano i soli, ogni bambino nato quella sera aveva una qualche deformità fisica. Una crudelissima vendetta di Esistenza? Veniva da chiedersi se quel dio che si considerava una macchina, non provasse ancora l’odio e la rabbia.
Prendersela con dei bambini innocenti, era disgustoso.
Ma no, lui non centrava. Era semplice genetica. I DNA di un umano e di un angelo difficilmente si combinano senza problemi, era un po’ come se due persone con lo stesso sangue si fossero unite. Gli angeli non hanno una “mappa genetica” stabile, sono in continuo mutamento per adattarsi il meglio possibile alle condizioni ambientali in cui si trovano per poter svolgere in modo ottimizzato i loro compiti.
Peccato che quasi nessuno lo sapesse.
Fu difficile tirarli su, ma crescevano velocemente sia fisicamente che mentalmente. Erano di aiuto, nonostante gli handicap, al villaggio.
Ecco. Finita. Vissero tutti felici e contenti.
Davvero è finita.
Credetemi vi prego. Fingiamo che sia finita qui. I bambini sono d’aiuto, crescono nonostante i problemi, trovano l’anima gemella, mettono su famiglia e muoiono felici.
Sarebbe bello.
Lo volete, vero?
Volete che io vada avanti. Che io continui questa storia, questa sporca e ingiusta storia.
Mi maledico, sono stato io a iniziare a scriverla.
I giorni passavano e la situazione di queste nascite deformi si diffondevano anche nei villaggi vicini ricevendo le medesime notizie. Non ci misero moto a fare due più due, ciò che avevano in comune era l’apparizione, da un giorno all'altro di nuovi membri, tutti arrivati nel medesimo momento.
E da qui in poi vi pregherei di pensarci bene prima di andare avanti.
Vi lascerò un paio di righe per pensarci, va bene?
…
…
Bene, da qui in poi io ho concluso i miei tentativi di aiutarvi a passare una serata migliore.
Quando Semeyaza tornò alla sua dimora dopo una giornata passata nei capi trovò la porta sporca di qualche macchia rossa. Alle prime pensò che fosse arrivato il periodo del sacrificio degli animali, non lo condivideva, ma si era adattato, solo poi comprese che il sangue si diffondeva solo in certe case.
Aprì la porta, istintivamente comprese che era successo qualcosa che lo avrebbe distrutto dentro.
E lì fu il momento peggiore della vita del Grigorio Semeyaza, il momento in cui gli fu strappato tutto.
Sui corpi insanguinati dei due bambini, era la donna amata con le mani sporche del loro sangue innocente.
<< C… cosa è successo?>> La voce gli si spezzava in gola. Continuare era una sofferenza.
<< Li ho uccisi. Ho fatto la cosa giusta. Il male non si diffonderà nel villaggio.>>
<< I...l m...male?>> Era una tortura.
<< Come se non lo sapessi! Tu e la tua gente aveva portato il seme del male nei vostri villaggi!>>
Tremò. Il “seme del male”?
Ma lui l’aveva amata come non mai.
Lui aveva aiutato il villaggio. Tutti loro lo avevano aiutato.
Non riusciva nemmeno più a muoversi. Come poteva l’amore tramutarsi in odio?
Chi aveva detto cose del genere?
Non riuscì a aprire la bocca, un coltello trafisse il suo ventre senza pietà.
Lo poteva sentire. Non c’era più amore.
Solo odio.
Digrignò i denti fino a scheggiarli.
Erano dei bambini innocenti. Poteva odiare lui, ma loro? L'unica colpa era essere i suoi figli. Voleva amarli. Amava ancora lei.
Alzò lo sguardo verso di lei.
Kokabeel corse il più velocemente possibile per avvisarlo portando in braccio un bambino, da lui salvato per miracolo. Quando spalancò la porta non poté fare a meno di veder i tre corpi a terra, morti.
<< Semeyeza, anche qui...>>
L’angelo ritrasse nel suo corpo le armi che poco prima aveva generato per difendersi e, con il volto imbratto dal rosso che scorreva dentro al donna amata, riprese le forze.
<< Chiama gli altri e scappiamo. Dobbiamo salvare quanto più bambini possibili.>>
Annuì, non voleva sapere cosa era successo. Poteva immaginarlo.
Non ci volle molto a chiamarli tutti, Semeyaza fu piacevolmente colpito nello scoprire di uomini e donne che avevano deciso, nonostante l’avversità, di restare con gli angeli amati. Almeno loro non avrebbero sofferto come lui.
Non poteva però rinunciare al suo ruolo di loro guida, doveva mostrarsi forte.
<< Ci dirigeremo verso la Montagna di Shatah-Shubar! Lì erigeremo uno scudo usando il Craft e ci occulteremo sino a quando non potremo rimetterci in viaggio, ma dobbiamo muoverci. Per quanto più deboli, gli umani sono in numero maggiore e non possiamo sottovalutarli.>>
Gli altri lo seguirono senza esitare, ai tempi in cui si trovavano ancora nei cieli era sempre stato un leader degno. La sua principale preoccupazione era proteggere quelle famiglie.
<< Semeyaza, posso parlarti?>>
<< Cosa succede, Kokabeel?>>
<< Se gli umani ci raggiungessero potremmo essere costretti usare il Craft in modo molto violento. Meglio se resto indietro, verrò da voi più avanti col mio potere di teletrasporto. Purtroppo non è abbastanza per portare tutte queste persone, ma sarà abbastanza per permettermi di tornare da voi.>> Avrebbe voluto dirgli qualcosa, ma fu stroncato sul nascere. << Non posso lasciare che se ne occupi qualcun altro, avete tutti famiglia. Io no, non ho mai trovato nessuno, quindi lascia che vi aiuti così. E poi tu sei già abbastanza ferito.>> Concluse posandogli sul petto, in un punto preciso, la mano.
Non attese nemmeno la risposta, tornò indietro superando tutti.
Gli umani che fino al giorno prima aveva curato erano lì armati di spade, forconi, lance e torce. Asce, coltelli e falcetti.
<< Fatevi avanti, umani!>> Gli urlò contro. << Da questo punto il dottore abbandona ogni obiezione di coscienza!>>
E fu lì che l’angelo abbandonò quella forma umana per prendere la reale. Ne avevo accennato che gli angeli si antropomorfizzassero, ma ciò riguarda quasi esclusivamente i più potenti o quelli che avevano ricevuto una benedizione.
Kokabeel era un gradino sotto a Semeyaza.
Dal suo corpo cominciarono a spuntare grosse ali piumate azzurre, la sua bocca si allungò leggermente e le sue unghie si affilarono. Altre tre teste spuntarono, leone, aquila e toro.
Si batte come una furia con tutte le sue forze, ma un uomo può uccidere un angelo se abbastanza forte. Infondo lo sapeva già, un angelo come lui non ha il potere che un gruppo di umani può ottenere.
Il potere dell’odio.
Per quanto furioso un angelo non può odiare dal profondo del suo cuore, un umano sì.
Il suo corpo, massacrato, regredì e fu fatto a pezzi come se fosse un vecchio giocattolo. Eppure era ancora vivo. Sentiva ogni pezzo staccato. Vivo e soddisfatto, aveva preso almeno tre ore di vantaggio.
Chissà quando sarebbe morto. Almeno poteva osservare il cielo. Che bello. Vedeva la costellazione del serpentario, Esculapio, il più grande dei medici delle leggende.
Poi sentì una strana sensazione al braccio, un insetto voleva averlo toccato? No, qualcuno lo aveva sollevato.
<< Ho trovato un braccio del maestro!>>
<< Io ho trovato i polmoni! Qualcuno ha trovato il busto? Così possiamo iniziare!>>
<< Lo ho io! Passatemi ago e filo da sutura.>>
Non poteva crederci, quelli che stavano parlando erano i suoi allievi. Non li aveva visti nella folla, ma non credeva che sarebbe andati lì. In un certo senso fu un piacere vederli, ma cosa volevano fare?
Stavano riunendo tutte le sue parli smembrate e stavano ricucendo tutto col massimo impegno.
L’operazione durò dodici ore e il risultato fu piuttosto disastroso. I capelli erano rizzati in aria, forse per problemi cuticolari, un occhio era molto più visibile dell'altro ed era pieno di punti di cucitura ben visibili.
<< Ci dispiace, maestro! Purtroppo non siamo riusciti a fare di meglio.>>
Si specchiò in un pezzo di vetro e sorrise gentile, per quanto inquietante.
<< Grazie, ragazzi. Ve ne sono grato, ma come mai siete venuti?>>
<< Noi non crediamo alla storia del seme del male, maestro! Lei ci ha insegnato a curare le persone con tutto noi stessi, non può essere cattivo!>>
<< Ma ora che farete?>>
<< Partiremo per curare i malati secondo i suoi insegnamenti.>>
Kokabeel si alzò con un po’ d’aiuto e, trattenendo lacrime di commozione, scomparve nel nulla.
<< Finisce così?>> Chiese sorpreso. Aveva interrotto la storia all’improvviso.
<< La prima parte almeno sì.>>
<< E la seconda?>>
<< Diciamo che è un work in progress.>>
Si mise la mano sulla cicatrice, nonostante potesse guarire la tenne come monito. Gilgamesh preferì non continuare le domande, anche lui aveva i suoi segreti e doveva rispettare quelli degli altri.
<< Finito qui andiamo a bere qualcosa, offro io.>>
La Guerra Segreta di un Uomo Nero: La Granita
Che brutta giornata, non accennava a voler smettere di brillare quel dannato sole. La maggior parte delle persone avrebbero trovato una giornata simile splendida, ma non lui.
Non sopportava di dover andare in giro con gli occhiali da sole, gli sembrava di nascondere i suoi begli occhioni scarlatti.
In più lo costringevano a rinunciare al suo caffè nero a favore di una granita fragola e menta. Non digeriva proprio quelle al caffè. Ognuno ha i suoi gusti, per quanto paradossali. Trovava che il calore fosse un elemento imprescindibile da quel gusto amaro.
La cosa peggiore fu il dovere essere costretto ad attendere una persona che proprio non sopportava. Persona. Essere dall’esistenza discutibile che vestiva un costume di carne umana .
Già, a differenza sua che aveva il buon gusto di limitarsi a prendere solo le sembianze della razza umana, lui invece uccideva, divorava gli organi e poi entrata a partire dal primo orifizio di grandi dimensioni disponibile. Faceva abbastanza schifo assistervi. Anche perché non hanno una gran conoscenza dell’anatomia mortale, spesso il buco non era proprio il più consigliato dagli amanti dell'igiene.
<< Fratello, eccoti qui.>>
Un omaccione vestito quasi completamente di pelle nera, probabilmente era un’intera famiglia che lo “stilista” non volle separare, e con una bandana in testa si avvicinò a grandi passi facendo rumore con le catene attaccate alla cintura. Gli mancavano solo gli occhiali da sole per essere uno stereotipo ambulante, magari l’altro avrebbe potuto prestarglieli.
L’Uomo Nero alzò la mano in segno di saluto tenendo in bocca il cucchiaino, assaporava quel gusto con decisione.
Era uno spettacolo inusuale vedere un motociclista uscita direttamente da un telefilm sedersi accanto a quello che sembrava un uomo d’affari. Forse potevano sembrare un rapinatore e la sua vittima, almeno se fossero stati in un vicolo buio. Ma, ehi, si sa, non si può scegliere la famiglia.
<< Ehi, fratello. Mi sorprende che tu mi abbia raggiunto senza fare stragi insensate. Voi piccolini siete talmente infantili alle volte.>>
<< Cosa sarebbe quella roba che ficchi nel buco davanti?>>
<< Granita. E questo buco si chiama “bocca”. Non hai lo stomaco adatto, non ancora credo, quindi… ignoro.>> Rispose agitandogli davanti alla faccia il cucchiaio vuoto.
<< Ma ho lo stesso il desiderio di divorare qualche stupido umano. Ho come una sensazione completa di vuoto. Mangiare solo stelle e pianeti del Mondo che hai creato non mi riempie lo stomaco, non hanno esseri viventi!>>
L’altro gli passò tra le mani il suo cellulare, lo aveva da poco cambiato ed ora si ritrovava uno di quegli smartphone che tutti amavano, a lui bastava poter far partire la sua fastidiosa suoneria a tutto volume, ma doveva concedergli che il poter accedere ai social network da qualsiasi parte era estremamente utile. Si era persino fatto un paio di account tutti suoi.
Un po’ meno utile fu il commesso che gli consigliò le offerte promozionali dell’operatore, erano rimasti venti minuti a discutere che la tariffa per chiamare al Polo Nord era inutile. Aveva fatto fatica per tirare fuori suo fratello da quel posto, figuriamoci se ci voleva avvicinarcisi. Era un brutto posto, freddo, gelido, foche leopardo, l’impero reale dei pinguini… fate finta che non lo abbia scritto. Non c’è nessun impero dei pinguini pronti a prendere il potere in qualche Mondo. Che cosa ridicola.
<< Cosa è questo coso?>>
<< Un telefono. Quando sei stato sigillato non esisteva nemmeno la corrente sotto forma di fulmine. Serve a litigare, guardare foto e video di gattini, vedere porno, vedere molto altro porno, ancora porno, altri gattini, ancora… hai capito il concetto. Porno, gatti, litigi. La trinità di internet.>>
<< E cosa me ne faccio?>> Guardò l’oggetto incuriosito, si chiedeva anche cosa fosse “ingerret” o un “mocial retuoc”.
<< Vuoi mangiare un umano, no? Cercane uno sul web, una sacco di gente scrive persino se sta andando al bagno, non sarà difficile trovarne uno da cacciare.>>
Esatto, un essere malvagio sta facendo la predica alla vostra razza. Posate quei cosi e uscite di casa, non frega a nessuno se vostro figlio sa usare il vasino, persino Oniro saprebbe usarlo. Oniro, uno che è rimasto a spingere una porta su cui era scritto di tirare. Cosa triste, è anche piuttosto intelligente, è in grado di scrivere un’opera tragica in un giorno e mezzo.
In realtà non avrebbe gradito che suo fratello si fosse messo a dare la caccia ad un essere umano, ma almeno si sarebbe imitato a fargli mangiare un idiota. Nessuna grave perdita.
Un <<Buongiornissimooooo.>> in meno. Dovrebbero ringraziarli.
E poi sono tanti, no, quegli umani che lì sopra dicono di meritare l’estinzione.
Li avrebbe aiutati a dare il buon esempio.
Se avesse fatto le cose nel modo giusto la polizia si sarebbe limitato a catalogarlo come l’ennesimo caso di un killer cannibale, ne sono esistiti così tanti nella storia che una scheda in più o in meno non cambiava poi così tanto le cose.
Il telefono, purtroppo, era troppo piccolo per le sue grosse e tozze dita. Avrebbe dovuto farsi un altro abito di carne.
<< Sai, gli umani scrivono spesso online frasi come “il genere umano si dovrebbe estinguere”, “siamo un virus”, “un cancro”, ma nessuno di quelli che lo dice fa mai il grande passo. Credono di essere eletti, speciali. Che arrivasse l’apocalisse o un virus mortale loro sarebbero salvi perché di uno schieramento o di un altro.>> Continuò a mangiare il dolce deliziato. << “Eletto”, “Speciali” in tanti anni ne ho conosciuti uno o due… forse tre.>>
Ignorò il suo discorso troppo complesso per lui. Era uno di quei tipi terra-terra.
Posò quel cucchiaino nella coppetta vuota e si ficcò due dita in bocca come se stesse cercando un pezzo di carne incastrato tra i denti. Le sue punta delle dita, invece, si stavano allungando sino alla gola di nascosto, sino a raggiungere una piccola sacca nello stomaco messa al sicuro dai succhi gastrici e tirarono fuori il piccolo tesoro sferico che aveva dentro.
Era un po’ sporco di saliva, ma era un posto sicuro.
<< Fratello, quello cosa diamine...>>
<< L’occhio del Dodicesimo Dio. L’ho rubato a un barbone dopo averlo ucciso, non è nel mio stile, ma ho dovuto. Pare lo avesse rubato in un tempio anni fa. Ora lo affido a te.>>
Gli mise tra le mani il globo oculare. Sembrava quasi un giocattolo, uno di quelli che venivano venduti per Halloween, ma il suo colore nero on lasciava dubbio alcuno. Era vero.
<< Quale diavolo sarebbe il tuo piano?>>
<< Il solito. Portare il caos e la disperazione tra i mortali. E tra gli dei.>> Concluse con un sorriso delicato.
Era agghiacciante, ma non nel modo giusto. Era diverso.
Suo fratello era decisamente cambiato. Un tempo non avrebbe mai sorriso in modo simile, forse era davvero infettato dagli umani.
Faceva paura anche a lui.
L’Uomo Nero si alzò da tavolo lasciando su di esso il portafogli in modo che il fratello potesse acquistare qualcosa invece di fare qualche guaio. Magari avrebbe potuto provare a crearsi uno stomaco decente.
<< Fratello. Ho una domanda da farti.>>
Non si girò.
<< Io lo ricordo. Quel giorno tu… tu sei caduto! Hai affrontato il biondo e sei morto. Eri nella tua vera forma e la tua testa era saltata, il tuo interno era ovunque. I nostri fratelli minori avevano perso ogni voglia di lottare quando tu, il più forte tra di noi, eri stato sconfitto! Come fai ad essere vivo?>>
Questa domanda gli era piaciuta.
Girò la testa e alzò gli occhiali da sole sulla fronte facendo brillare i suoi occhi cremisi. Aveva un qualcosa di spaventoso, di incomprensibile.
<< Per citare un mortale piuttosto famoso: Spiacente di deluderti, ma la notizia della mia morte è grossolanamente esagerata.>>
Non sopportava di dover andare in giro con gli occhiali da sole, gli sembrava di nascondere i suoi begli occhioni scarlatti.
In più lo costringevano a rinunciare al suo caffè nero a favore di una granita fragola e menta. Non digeriva proprio quelle al caffè. Ognuno ha i suoi gusti, per quanto paradossali. Trovava che il calore fosse un elemento imprescindibile da quel gusto amaro.
La cosa peggiore fu il dovere essere costretto ad attendere una persona che proprio non sopportava. Persona. Essere dall’esistenza discutibile che vestiva un costume di carne umana .
Già, a differenza sua che aveva il buon gusto di limitarsi a prendere solo le sembianze della razza umana, lui invece uccideva, divorava gli organi e poi entrata a partire dal primo orifizio di grandi dimensioni disponibile. Faceva abbastanza schifo assistervi. Anche perché non hanno una gran conoscenza dell’anatomia mortale, spesso il buco non era proprio il più consigliato dagli amanti dell'igiene.
<< Fratello, eccoti qui.>>
Un omaccione vestito quasi completamente di pelle nera, probabilmente era un’intera famiglia che lo “stilista” non volle separare, e con una bandana in testa si avvicinò a grandi passi facendo rumore con le catene attaccate alla cintura. Gli mancavano solo gli occhiali da sole per essere uno stereotipo ambulante, magari l’altro avrebbe potuto prestarglieli.
L’Uomo Nero alzò la mano in segno di saluto tenendo in bocca il cucchiaino, assaporava quel gusto con decisione.
Era uno spettacolo inusuale vedere un motociclista uscita direttamente da un telefilm sedersi accanto a quello che sembrava un uomo d’affari. Forse potevano sembrare un rapinatore e la sua vittima, almeno se fossero stati in un vicolo buio. Ma, ehi, si sa, non si può scegliere la famiglia.
<< Ehi, fratello. Mi sorprende che tu mi abbia raggiunto senza fare stragi insensate. Voi piccolini siete talmente infantili alle volte.>>
<< Cosa sarebbe quella roba che ficchi nel buco davanti?>>
<< Granita. E questo buco si chiama “bocca”. Non hai lo stomaco adatto, non ancora credo, quindi… ignoro.>> Rispose agitandogli davanti alla faccia il cucchiaio vuoto.
<< Ma ho lo stesso il desiderio di divorare qualche stupido umano. Ho come una sensazione completa di vuoto. Mangiare solo stelle e pianeti del Mondo che hai creato non mi riempie lo stomaco, non hanno esseri viventi!>>
L’altro gli passò tra le mani il suo cellulare, lo aveva da poco cambiato ed ora si ritrovava uno di quegli smartphone che tutti amavano, a lui bastava poter far partire la sua fastidiosa suoneria a tutto volume, ma doveva concedergli che il poter accedere ai social network da qualsiasi parte era estremamente utile. Si era persino fatto un paio di account tutti suoi.
Un po’ meno utile fu il commesso che gli consigliò le offerte promozionali dell’operatore, erano rimasti venti minuti a discutere che la tariffa per chiamare al Polo Nord era inutile. Aveva fatto fatica per tirare fuori suo fratello da quel posto, figuriamoci se ci voleva avvicinarcisi. Era un brutto posto, freddo, gelido, foche leopardo, l’impero reale dei pinguini… fate finta che non lo abbia scritto. Non c’è nessun impero dei pinguini pronti a prendere il potere in qualche Mondo. Che cosa ridicola.
<< Cosa è questo coso?>>
<< Un telefono. Quando sei stato sigillato non esisteva nemmeno la corrente sotto forma di fulmine. Serve a litigare, guardare foto e video di gattini, vedere porno, vedere molto altro porno, ancora porno, altri gattini, ancora… hai capito il concetto. Porno, gatti, litigi. La trinità di internet.>>
<< E cosa me ne faccio?>> Guardò l’oggetto incuriosito, si chiedeva anche cosa fosse “ingerret” o un “mocial retuoc”.
<< Vuoi mangiare un umano, no? Cercane uno sul web, una sacco di gente scrive persino se sta andando al bagno, non sarà difficile trovarne uno da cacciare.>>
Esatto, un essere malvagio sta facendo la predica alla vostra razza. Posate quei cosi e uscite di casa, non frega a nessuno se vostro figlio sa usare il vasino, persino Oniro saprebbe usarlo. Oniro, uno che è rimasto a spingere una porta su cui era scritto di tirare. Cosa triste, è anche piuttosto intelligente, è in grado di scrivere un’opera tragica in un giorno e mezzo.
In realtà non avrebbe gradito che suo fratello si fosse messo a dare la caccia ad un essere umano, ma almeno si sarebbe imitato a fargli mangiare un idiota. Nessuna grave perdita.
Un <<Buongiornissimooooo.>> in meno. Dovrebbero ringraziarli.
E poi sono tanti, no, quegli umani che lì sopra dicono di meritare l’estinzione.
Li avrebbe aiutati a dare il buon esempio.
Se avesse fatto le cose nel modo giusto la polizia si sarebbe limitato a catalogarlo come l’ennesimo caso di un killer cannibale, ne sono esistiti così tanti nella storia che una scheda in più o in meno non cambiava poi così tanto le cose.
Il telefono, purtroppo, era troppo piccolo per le sue grosse e tozze dita. Avrebbe dovuto farsi un altro abito di carne.
<< Sai, gli umani scrivono spesso online frasi come “il genere umano si dovrebbe estinguere”, “siamo un virus”, “un cancro”, ma nessuno di quelli che lo dice fa mai il grande passo. Credono di essere eletti, speciali. Che arrivasse l’apocalisse o un virus mortale loro sarebbero salvi perché di uno schieramento o di un altro.>> Continuò a mangiare il dolce deliziato. << “Eletto”, “Speciali” in tanti anni ne ho conosciuti uno o due… forse tre.>>
Ignorò il suo discorso troppo complesso per lui. Era uno di quei tipi terra-terra.
Posò quel cucchiaino nella coppetta vuota e si ficcò due dita in bocca come se stesse cercando un pezzo di carne incastrato tra i denti. Le sue punta delle dita, invece, si stavano allungando sino alla gola di nascosto, sino a raggiungere una piccola sacca nello stomaco messa al sicuro dai succhi gastrici e tirarono fuori il piccolo tesoro sferico che aveva dentro.
Era un po’ sporco di saliva, ma era un posto sicuro.
<< Fratello, quello cosa diamine...>>
<< L’occhio del Dodicesimo Dio. L’ho rubato a un barbone dopo averlo ucciso, non è nel mio stile, ma ho dovuto. Pare lo avesse rubato in un tempio anni fa. Ora lo affido a te.>>
Gli mise tra le mani il globo oculare. Sembrava quasi un giocattolo, uno di quelli che venivano venduti per Halloween, ma il suo colore nero on lasciava dubbio alcuno. Era vero.
<< Quale diavolo sarebbe il tuo piano?>>
<< Il solito. Portare il caos e la disperazione tra i mortali. E tra gli dei.>> Concluse con un sorriso delicato.
Era agghiacciante, ma non nel modo giusto. Era diverso.
Suo fratello era decisamente cambiato. Un tempo non avrebbe mai sorriso in modo simile, forse era davvero infettato dagli umani.
Faceva paura anche a lui.
L’Uomo Nero si alzò da tavolo lasciando su di esso il portafogli in modo che il fratello potesse acquistare qualcosa invece di fare qualche guaio. Magari avrebbe potuto provare a crearsi uno stomaco decente.
<< Fratello. Ho una domanda da farti.>>
Non si girò.
<< Io lo ricordo. Quel giorno tu… tu sei caduto! Hai affrontato il biondo e sei morto. Eri nella tua vera forma e la tua testa era saltata, il tuo interno era ovunque. I nostri fratelli minori avevano perso ogni voglia di lottare quando tu, il più forte tra di noi, eri stato sconfitto! Come fai ad essere vivo?>>
Questa domanda gli era piaciuta.
Girò la testa e alzò gli occhiali da sole sulla fronte facendo brillare i suoi occhi cremisi. Aveva un qualcosa di spaventoso, di incomprensibile.
<< Per citare un mortale piuttosto famoso: Spiacente di deluderti, ma la notizia della mia morte è grossolanamente esagerata.>>
Capitolo Quinto: Victor- Dogs on a Leash
Semeyaza si toccò il petto, stava sanguinando. Anche se era un angelo era comunque fatto di carne e sangue come qualunque altro essere vivente.
Questo era uno di quei momenti in cui sarebbe voluto essere fatto di qualche strana sostanza metafisica, materia oscura o qualsiasi cosa erano fatte le divinità e che gli impediva di essere uccisi da roba di quel tipo.
<< Road to Madness. Sarei pazzo a dirti come funziona, no?>>
Stava facendo dell’ironia? Che simpatico. Come una vanga sui denti.
Ritirò la strana “lancia” di scatto, quasi fosse elastica. Di cosa si trattava quindi? Era solida, ma sembrava gassosa, una specie di fumo nero violaceo, era in grado di allungarsi e ritirarsi come fosse gomma, ma era dura come l’acciaio. Il Craft per principio doveva basarsi sulla realtà, neanche una Doll’s House poteva crearne una nuova da zero, era l’emanazione stessa dell’anima di un individuo.
Per dirla in altro modo: era la sua vera abilità.
In ogni caso quel buco era un bel problema, doveva credere nella propria guarigione. …
<< Perché non riesco a guarire?>>
<< La tua mente non contempla la guarigione, la ferita è troppo grave. Spassoso, vero? Doll’s House e Road to Madness, loro due insieme sono un capolavoro! Tutto questo diventerà un quadro come Guernica!>>
Aspetta, stava parlando in modo molto più sensato di prima. Anche i movimenti, prima esagerati, erano adesso più tranquilli e composti. Come qualcuno che si toglie il costume da carnevale e torna ad essere un impiegato d’azienda.
Ed era iniziata quando lo aveva trafitto. Certo, era semplice.
<< Fiore del rinnovamento: Poinsettia.>> Semeyaza si fece avvolgere da un vortice di fiori rosso scuro, il loro forte odore lo portarono a rilassarsi e a normalizzare la sua respirazione.
Ogni dubbio, ogni problema stava svanendo. La poinsettia, conosciuta anche come stella di natale, è una pianta con sostanze interne irritanti e persino velenosa per animali come cani e gatti, ma nel suo caso funzionava come una specie di farmaco.
Combatteva ogni stato mentale alterato o malattia, anche se non si aspettava di riuscire a superare anche quel dolore.
La ferita nel petto iniziò a rimarginarsi, lasciando solo una cicatrice. Una cicatrice che non dava l’aria di essere stata inflitta da quell’arma, quanto più da un coltello da cucina o qualcosa di simile. Doveva essere precedente al loro incontro. E lo era, era molto vecchia. E dolorosa anche da rimarginata.
<< Ho colto come funziona. Tu puoi materializzare la tua follia, giusto?>> Si tirò all’indietro i capelli blu con la mano, stava leggermente sudando. << Il tuo potere appartiene alla classe “atipica”, puoi trasformare il tuo grave disturbo mentale in un’arma semimateriale che attacca corpo e mente contemporaneamente. Questo vuol dire che non solo tu rinsavisci, ma anche se puoi “infettare” gli altri.>>
Victor sorrise, lo aveva capito perfettamente. Aveva ideato quel potere quando aveva scoperto che Delirio, quando era libero, aveva l’abitudine di far ammalare chi gli stava vicino come fosse il virus della peste.
Più infettava e più lui guariva, questo stava a significare che poteva ideare piani migliori.
Solo una nota mi resta da fare: la pazzia passava, la sua moralità non cambiava minimamente.
Non era la pazzia a portarlo a godere nell’uccidere nel far soffrire le persone, era semplicemente il suo carattere. È sempre esistito nel mondo questo tipo di persone.
Non hanno nulla di diverso da chiunque altro, nascono, vivono, muoiono, amano, odiano, si sposano, hanno figli. Non li riconosci a priva vista, ma i più sensibili hanno quella percezione, come se ci fosse qualcosa di sbagliato.
Lo avrete visto su qualche social network, quelli che dicono cose come << Arriva asteroide!>>, << Il genere umano è un virus!>> o << Dovrebbe estinguersi il genere umano.>>, no? Ecco, loro sono solamente spazzatura, persone che parlano e basta. I veri desiderosi di morte, i “folli sani”, sono quelli che piantano un coltello nella gola, lo puliscono, lo rimettono in cucina e poi vanno a cena con gli amici in silenzio e tranquillità.
Victor, in questo stato, apparteneva alla seconda categoria.
<< Pianta dell’invidia: Rovo.>> Stavolta la pianta spinosa la produsse dalla manica della sua camicia, ben usata avrebbe potuto usarla per strangolarlo o perforargli ripetutamente la gola con le spine.
Doveva fargli un danno tale da rompere la Doll’s House.
<< Tutti fermi, va bene così. Ho visto abbastanza.>> Argento fece un applauso per richiamare su di sé la loro attenzione.
Ciò che voleva lo aveva visto, non c’era più motivo di far continuare lo scontro. Aveva osservato i poteri sia di Victor che di Semeyaza dal vivo e li aveva compresi, i frammenti di Delirio era decisamente secondari in quel momento.
Beh, non che gli fossero mai realmente serviti. Erano quel che si vuol dire un pretesto per farli combattere l’uno contro l’altro per scoprire alcune informazioni su di loro. Adesso sapeva come funzionavano “Tutto nasce, tutto cresce”, “Doll’s House” e “Road to Madness”. Non poteva chiedere di meglio.
<< Fatti da parte, Argento. Qui non centri.>> Semeyaza non era tranquillo, voleva lottare. Non poteva permettere che un essere come Victor continuasse a vivere.
Cosa sarebbe successo se un giorno si fosse stufato del manicomio? Se avesse voluto uscirne? Era come lasciare le chiavi della gabbia al leone, dopo averlo dotato persino di un pollice opponibile e di un fucile.
Argento sospirò per un momento.
Ah, non sopportava quando uno dei suoi “compagni” si comportava così. Nemmeno il suo tono di voce, che faceva rabbrividire chiunque, serviva a qualcosa. Non amava passare alle maniere forti, ma sembrava che dovesse fare comunque qualcosa per non far rovinare i suoi piani.
<< “Perinde ac cadaver”. “In dubio pro reo”. “Acta est fabula, plaudite”. >>
E lì, la visione che i tre ebbero, fu peggiore di qualsiasi scontro a avrebbero potuto assistere quel giorno. Ancora più tragico che probabilmente quello non era nemmeno tutto il suo potere, ma solo una minima parte di esso.
Come un rubinetto che perde, se giri la manopola inonda tutto, se la chiudi cade solo qualche gocciolina inutile.
Dal cielo nero, fece cadere una serie di grandi pilastri che divisero i contendenti in due zone; l’acqua fangosa schizzò ovunque per l’impatto inzuppando i presenti. Anche con tutto l’impegno era difficile capire dove quel “muro” finisse, o se solo “finisse” da qualche parte.
I contendenti erano stati impossibilitati al movimento, due creature simili a marionette senza espressione, dettaglia anatomici o personalizzazione, gli stavano puntando al petto delle lame. Sembravano le basi per un lavoro che a qualcuno annoiava completare, quasi come se a metà lavoro si fosse stufato.
In ultimo, ma non meno importante, ogni traccia del loro potere era completamente scomparso. Non riuscivano più ad evocarlo, erano come stati svuotati della propria anima.
Materializzazione e atipico. Non era strano che una persona possedesse due tratti d’anima, alcuni prodigi arrivavano a tre, ma non si era mai sentito di un potere Craft in grado di sospenderne… no, di cancellarne un altro.
Voleva dire annullare l’anima di un essere vivente.
L’androgino uomo prese a camminare con le mani dietro la schiena lasciando Sétanta nel tentativo di realizzare quello che stava osservando. Era di una tranquillità allarmante. Raggiunto Victor, ancora bloccato, mostrò un sorriso.
<< Ti bramo, tu entrerai far parte del Gran Galà degli Eroi da questo momento esatto.>> Si chinò gentilmente, mettendo il mento del bianco tra il suo pollice e il suo indice con espressione soddisfatta. << I tuoi poteri saranno messi al servizio della causa, della salvezza del Multiverso dall’Uomo Nero.>>
<< Non farlo, Argento!>> Semeyaza lo richiamò dall’altro lato.
Non poteva accettare che nel gruppo entrasse uno come lui. Certo, era l’ultimo a poter parlare di giusto o sbagliato, era un boss della criminalità organizzata, ma aveva anche lui dei limiti e un minimo di morale.
… Lo trovò solo fastidioso. A conti fatti a lui cosa importava? Avevano fatto un accordo, no? Il suo aiuto in cambio della possibilità di viaggiare tra i Mondi, era solo un suo sottoposto. Nulla di più. Ma le sue urla e sbraiti cominciavano a scocciarlo, credeva che lui fosse molto più tranquillo di Sétanta e Lucifero.
Lasciò andare il volto del pazzo e, quasi all'istante, comparve dall’altra parte. Sembrava si fosse teletrasportato.
<< Argento tu...>>
La Spada Leggendaria Gioiosa, estratta dalla manica del cappotto nero, gli fu puntata alla gola all’improvviso.
<< Dimmi, se uno dei tuoi non rispetta gli ordini li punisci non è vero?>> La sua espressione di solita calma e finta dolcezza scomparve lasciando spazio ad un espressione vuota, i suoi occhi smeraldo sembravano sporchi di fango. << I cani non dovrebbero mai tirare troppo il guinzaglio. Dovrebbero solo fare silenzio e ascoltare il loro padrone.>>
Fu orribile. Era quella la vera natura dell’Uomo dai Capelli d’Argento? Il volto che nascondeva dietro quella facciata di gentilezza? Sapeva benissimo che era malato in qualche modo, ma quello… quello era troppo.
Sembrava “vuoto”. Forse Victor non era il male peggiore.
<< Suvvia.>> Ripose la spada nella manica. << Stavo scherzando. Siamo preziosi compagni, ma ce ne servono altri. A prescindere dalla moralità.>>
Tornò il sorriso sulla sua bocca.
Dannazione, non provava terrore del genere da quel giorno. L’orrendo giorno che rovinò completamente la sua vita e quella di tutti i suoi amici. No, Argento non voleva salvare il Multiverso. Poco ma sicuro. Voleva qualcos'altro, qualcosa di egoistico. E lui lo avrebbe scoperto. Lo avrebbe seguito.
Capelli d’Argento si rimise al volante dell’auto, avevano lasciato Victor nel manicomio, quando sarebbe giunto il momento in cui sarebbe stato utile lo avrebbe recuperato.
Sétanta restava sul chi vive, nel caso che una scena come quella di prima si potesse ripetere. Il suo istinto animale lo stava urlando.
Semeyaza invece non smetteva di chattare con il suo cellulare con aria annoiata, aveva imparato sin da giovane a dissimulare le emozioni. Non avrebbe avvisato Gilgamesh e Lucifero, non voleva si esponessero come lui. Era troppo giovani paragonati a lui, per Sétanta invece era tardi.
<< Allora, come vuoi chiamare il Dodicesimo?>>
<< Metteremo in scena uno hyakumonogatari kaindakai.>>
Ci mancava solo questa. Mettere in pratica lo hyakumonogatari kaindakai. Il suo “leader” doveva stare attento. Come ripeteva un vecchio adagio: "I cani percepiscono l'Aldilà. Abbaiano agli spiriti vaganti e quando la Morte si avvicina si mettono ad ululare“. E la morte volava con argentea chioma quel giorno.
Questo era uno di quei momenti in cui sarebbe voluto essere fatto di qualche strana sostanza metafisica, materia oscura o qualsiasi cosa erano fatte le divinità e che gli impediva di essere uccisi da roba di quel tipo.
<< Road to Madness. Sarei pazzo a dirti come funziona, no?>>
Stava facendo dell’ironia? Che simpatico. Come una vanga sui denti.
Ritirò la strana “lancia” di scatto, quasi fosse elastica. Di cosa si trattava quindi? Era solida, ma sembrava gassosa, una specie di fumo nero violaceo, era in grado di allungarsi e ritirarsi come fosse gomma, ma era dura come l’acciaio. Il Craft per principio doveva basarsi sulla realtà, neanche una Doll’s House poteva crearne una nuova da zero, era l’emanazione stessa dell’anima di un individuo.
Per dirla in altro modo: era la sua vera abilità.
In ogni caso quel buco era un bel problema, doveva credere nella propria guarigione. …
<< Perché non riesco a guarire?>>
<< La tua mente non contempla la guarigione, la ferita è troppo grave. Spassoso, vero? Doll’s House e Road to Madness, loro due insieme sono un capolavoro! Tutto questo diventerà un quadro come Guernica!>>
Aspetta, stava parlando in modo molto più sensato di prima. Anche i movimenti, prima esagerati, erano adesso più tranquilli e composti. Come qualcuno che si toglie il costume da carnevale e torna ad essere un impiegato d’azienda.
Ed era iniziata quando lo aveva trafitto. Certo, era semplice.
<< Fiore del rinnovamento: Poinsettia.>> Semeyaza si fece avvolgere da un vortice di fiori rosso scuro, il loro forte odore lo portarono a rilassarsi e a normalizzare la sua respirazione.
Ogni dubbio, ogni problema stava svanendo. La poinsettia, conosciuta anche come stella di natale, è una pianta con sostanze interne irritanti e persino velenosa per animali come cani e gatti, ma nel suo caso funzionava come una specie di farmaco.
Combatteva ogni stato mentale alterato o malattia, anche se non si aspettava di riuscire a superare anche quel dolore.
La ferita nel petto iniziò a rimarginarsi, lasciando solo una cicatrice. Una cicatrice che non dava l’aria di essere stata inflitta da quell’arma, quanto più da un coltello da cucina o qualcosa di simile. Doveva essere precedente al loro incontro. E lo era, era molto vecchia. E dolorosa anche da rimarginata.
<< Ho colto come funziona. Tu puoi materializzare la tua follia, giusto?>> Si tirò all’indietro i capelli blu con la mano, stava leggermente sudando. << Il tuo potere appartiene alla classe “atipica”, puoi trasformare il tuo grave disturbo mentale in un’arma semimateriale che attacca corpo e mente contemporaneamente. Questo vuol dire che non solo tu rinsavisci, ma anche se puoi “infettare” gli altri.>>
Victor sorrise, lo aveva capito perfettamente. Aveva ideato quel potere quando aveva scoperto che Delirio, quando era libero, aveva l’abitudine di far ammalare chi gli stava vicino come fosse il virus della peste.
Più infettava e più lui guariva, questo stava a significare che poteva ideare piani migliori.
Solo una nota mi resta da fare: la pazzia passava, la sua moralità non cambiava minimamente.
Non era la pazzia a portarlo a godere nell’uccidere nel far soffrire le persone, era semplicemente il suo carattere. È sempre esistito nel mondo questo tipo di persone.
Non hanno nulla di diverso da chiunque altro, nascono, vivono, muoiono, amano, odiano, si sposano, hanno figli. Non li riconosci a priva vista, ma i più sensibili hanno quella percezione, come se ci fosse qualcosa di sbagliato.
Lo avrete visto su qualche social network, quelli che dicono cose come << Arriva asteroide!>>, << Il genere umano è un virus!>> o << Dovrebbe estinguersi il genere umano.>>, no? Ecco, loro sono solamente spazzatura, persone che parlano e basta. I veri desiderosi di morte, i “folli sani”, sono quelli che piantano un coltello nella gola, lo puliscono, lo rimettono in cucina e poi vanno a cena con gli amici in silenzio e tranquillità.
Victor, in questo stato, apparteneva alla seconda categoria.
<< Pianta dell’invidia: Rovo.>> Stavolta la pianta spinosa la produsse dalla manica della sua camicia, ben usata avrebbe potuto usarla per strangolarlo o perforargli ripetutamente la gola con le spine.
Doveva fargli un danno tale da rompere la Doll’s House.
<< Tutti fermi, va bene così. Ho visto abbastanza.>> Argento fece un applauso per richiamare su di sé la loro attenzione.
Ciò che voleva lo aveva visto, non c’era più motivo di far continuare lo scontro. Aveva osservato i poteri sia di Victor che di Semeyaza dal vivo e li aveva compresi, i frammenti di Delirio era decisamente secondari in quel momento.
Beh, non che gli fossero mai realmente serviti. Erano quel che si vuol dire un pretesto per farli combattere l’uno contro l’altro per scoprire alcune informazioni su di loro. Adesso sapeva come funzionavano “Tutto nasce, tutto cresce”, “Doll’s House” e “Road to Madness”. Non poteva chiedere di meglio.
<< Fatti da parte, Argento. Qui non centri.>> Semeyaza non era tranquillo, voleva lottare. Non poteva permettere che un essere come Victor continuasse a vivere.
Cosa sarebbe successo se un giorno si fosse stufato del manicomio? Se avesse voluto uscirne? Era come lasciare le chiavi della gabbia al leone, dopo averlo dotato persino di un pollice opponibile e di un fucile.
Argento sospirò per un momento.
Ah, non sopportava quando uno dei suoi “compagni” si comportava così. Nemmeno il suo tono di voce, che faceva rabbrividire chiunque, serviva a qualcosa. Non amava passare alle maniere forti, ma sembrava che dovesse fare comunque qualcosa per non far rovinare i suoi piani.
<< “Perinde ac cadaver”. “In dubio pro reo”. “Acta est fabula, plaudite”. >>
E lì, la visione che i tre ebbero, fu peggiore di qualsiasi scontro a avrebbero potuto assistere quel giorno. Ancora più tragico che probabilmente quello non era nemmeno tutto il suo potere, ma solo una minima parte di esso.
Come un rubinetto che perde, se giri la manopola inonda tutto, se la chiudi cade solo qualche gocciolina inutile.
Dal cielo nero, fece cadere una serie di grandi pilastri che divisero i contendenti in due zone; l’acqua fangosa schizzò ovunque per l’impatto inzuppando i presenti. Anche con tutto l’impegno era difficile capire dove quel “muro” finisse, o se solo “finisse” da qualche parte.
I contendenti erano stati impossibilitati al movimento, due creature simili a marionette senza espressione, dettaglia anatomici o personalizzazione, gli stavano puntando al petto delle lame. Sembravano le basi per un lavoro che a qualcuno annoiava completare, quasi come se a metà lavoro si fosse stufato.
In ultimo, ma non meno importante, ogni traccia del loro potere era completamente scomparso. Non riuscivano più ad evocarlo, erano come stati svuotati della propria anima.
Materializzazione e atipico. Non era strano che una persona possedesse due tratti d’anima, alcuni prodigi arrivavano a tre, ma non si era mai sentito di un potere Craft in grado di sospenderne… no, di cancellarne un altro.
Voleva dire annullare l’anima di un essere vivente.
L’androgino uomo prese a camminare con le mani dietro la schiena lasciando Sétanta nel tentativo di realizzare quello che stava osservando. Era di una tranquillità allarmante. Raggiunto Victor, ancora bloccato, mostrò un sorriso.
<< Ti bramo, tu entrerai far parte del Gran Galà degli Eroi da questo momento esatto.>> Si chinò gentilmente, mettendo il mento del bianco tra il suo pollice e il suo indice con espressione soddisfatta. << I tuoi poteri saranno messi al servizio della causa, della salvezza del Multiverso dall’Uomo Nero.>>
<< Non farlo, Argento!>> Semeyaza lo richiamò dall’altro lato.
Non poteva accettare che nel gruppo entrasse uno come lui. Certo, era l’ultimo a poter parlare di giusto o sbagliato, era un boss della criminalità organizzata, ma aveva anche lui dei limiti e un minimo di morale.
… Lo trovò solo fastidioso. A conti fatti a lui cosa importava? Avevano fatto un accordo, no? Il suo aiuto in cambio della possibilità di viaggiare tra i Mondi, era solo un suo sottoposto. Nulla di più. Ma le sue urla e sbraiti cominciavano a scocciarlo, credeva che lui fosse molto più tranquillo di Sétanta e Lucifero.
Lasciò andare il volto del pazzo e, quasi all'istante, comparve dall’altra parte. Sembrava si fosse teletrasportato.
<< Argento tu...>>
La Spada Leggendaria Gioiosa, estratta dalla manica del cappotto nero, gli fu puntata alla gola all’improvviso.
<< Dimmi, se uno dei tuoi non rispetta gli ordini li punisci non è vero?>> La sua espressione di solita calma e finta dolcezza scomparve lasciando spazio ad un espressione vuota, i suoi occhi smeraldo sembravano sporchi di fango. << I cani non dovrebbero mai tirare troppo il guinzaglio. Dovrebbero solo fare silenzio e ascoltare il loro padrone.>>
Fu orribile. Era quella la vera natura dell’Uomo dai Capelli d’Argento? Il volto che nascondeva dietro quella facciata di gentilezza? Sapeva benissimo che era malato in qualche modo, ma quello… quello era troppo.
Sembrava “vuoto”. Forse Victor non era il male peggiore.
<< Suvvia.>> Ripose la spada nella manica. << Stavo scherzando. Siamo preziosi compagni, ma ce ne servono altri. A prescindere dalla moralità.>>
Tornò il sorriso sulla sua bocca.
Dannazione, non provava terrore del genere da quel giorno. L’orrendo giorno che rovinò completamente la sua vita e quella di tutti i suoi amici. No, Argento non voleva salvare il Multiverso. Poco ma sicuro. Voleva qualcos'altro, qualcosa di egoistico. E lui lo avrebbe scoperto. Lo avrebbe seguito.
Capelli d’Argento si rimise al volante dell’auto, avevano lasciato Victor nel manicomio, quando sarebbe giunto il momento in cui sarebbe stato utile lo avrebbe recuperato.
Sétanta restava sul chi vive, nel caso che una scena come quella di prima si potesse ripetere. Il suo istinto animale lo stava urlando.
Semeyaza invece non smetteva di chattare con il suo cellulare con aria annoiata, aveva imparato sin da giovane a dissimulare le emozioni. Non avrebbe avvisato Gilgamesh e Lucifero, non voleva si esponessero come lui. Era troppo giovani paragonati a lui, per Sétanta invece era tardi.
<< Allora, come vuoi chiamare il Dodicesimo?>>
<< Metteremo in scena uno hyakumonogatari kaindakai.>>
Ci mancava solo questa. Mettere in pratica lo hyakumonogatari kaindakai. Il suo “leader” doveva stare attento. Come ripeteva un vecchio adagio: "I cani percepiscono l'Aldilà. Abbaiano agli spiriti vaganti e quando la Morte si avvicina si mettono ad ululare“. E la morte volava con argentea chioma quel giorno.
Capitolo Quarto: Victor-Doll's House
La macchina si fermò nel parcheggio vicino all’edificio diroccato, per essere una struttura sanitaria era un posto decisamente inospitale. Certamente non doveva ricevere molte donazioni o sovvenzioni. Chiunque, avrebbe preferito passare il resto dei suoi giorni in una caverna insieme a un orso bruno con l’insonnia piuttosto che passare una sera soltanto lì dentro.
Aprirono gli sportelli ed uscirono, il biondo non sopportava i vestiti che era stato costretto a indossare, lo faceva sembrare uno di quei nobili obesi che stavano nelle ville. Dannato Capelli d’Argento.
<< Che posto è questo?>>
<< Una struttura sanitaria per persone con gravi difficoltà psico-cognitive, Sétanta.>>
<< Una che?>>
<< Una casa dei matti per usarla termini adatti a te. Capelli d’Argento la fa troppo lunga.>> Commentò Semeyaza scostandosi alcune ciocche di capelli blu con la mano.
Argento aveva fatto del suo meglio per sembrare una persona comune, ma con quel completo elegante scuro sembrava decisamente un inviato da qualche ministero. Semeyaza, più a suo agio in quegli abiti, non amava i manicomi. Gli portavano alla mente brutti ricordi.
Ricordi di gioventù.
Il loro leader non aveva nemmeno accennato a quale fosse il loro obiettivo, si era limitato a porgere i vestiti nuovi e a commentare che si sarebbero incontrati con qualcuno di importante. Invidiavano la missione di Gilgamesh e company nella palude, era certamente più sporca ma più sopportabile.
L’interno, poi, non era minimamente migliore della facciata. I pazienti nella sala comune, visibile attraverso il vetro che interrompeva il muro con l’intonaco carente, erano lasciati quasi a loro stessi. Ne vedeva alcuni continuare a sbattere contro una parete nel tentativo di uscire, altri fissavano il vuoto, solo in pochi si limitavano a qualcosa come giocare a carte, sempre che così si possa chiamare quel buttarle a casaccio. Sétanta la definì come “la cosa più agghiacciate mai vista nella sua vita”.
Meglio la morte che finire in quel modo.
L’infermiera, seduta alla sua postazione, stava palesemente ignorando ogni dovere professionale guardando qualche stupido video sul computer. Lucifero in confronto a loro era uno stacanovista.
<< Mi scusi, ma siamo qui...>>
<< Un momento.>> La donna ignorò completamente Argento. Stare molto tempo a contatto con i matti doveva averla resa leggermente immune al suo tono di voce. Gli altri due si trattennero dallo scoppiare a ridere, per dirla meglio Semeyaza tappo la bocca sua e del biondo.
Loro ci avevano fatto l’abitudine, ma vedere qualcuno ignorarlo in quel modo era esilarante.
Argento iniziò a bacchettare con le dita sul piano di legno, manteneva il suo sorriso gentile e ipocrita, ma si poteva vedere che era innervosito dall’attesa. Allora esisteva qualcosa che gli faceva passare la pazienza: il sistema ospedaliero. Per quale motivo stava lì se non voleva lavorare? Stava palesemente guardando video di gattini su internet, era inutile tentare di inventare scuse.
Semeyaza tirò fuori dalla tasca un portafogli, dentro di essi erano presenti i soldi che Gilgamesh gli aveva dato per quando doveva spostarsi nei Mondi che utilizzavano quel tipo di valuta. Le banconote del Secondo Mondo non erano molto diffuse a differenza di quelle del Trecentoventiseiesimo. Lasciò sul bancone una somma adatta a comprarsi almeno tre bottiglie del peggior vino in cartone e fece segno ai suoi compagni di andare avanti ignorando ogni cosa, compresa la firma sul registro dei visitatori.
<< Soldi?>> Chiese il biondo incuriosito.
<< Corruzione, questa è una cosa uguale ovunque. Donne, cibo, potere, uomini, puoi ottenere tutto con la giusta cifra. Basta sapere quale sia il prezzo di uomo, più è basso e meno vale.>>
Sétanta rimase un po’ tra lo schifato e il curioso, era in parte tentato di chiedere quanto potesse essere il suo valore. Era stato spesso assunto come mercenario da qualche nobile per le loro battaglie, ma il guadagno variava da scontro a scontro. Un prezzo fisso non lo aveva mai ricevuto.
<< Ora che ho risolto questo, puoi dirmi il motivo per cui siamo qui?>> Capelli Argento mise la mano coperta dal guanto nero sul mento, come a riflettere.
<< Se ci tieni va bene. Cosa sai di Ys?>>
<< L’isola perduta? Si raccontava che fosse un'isola sotto il livello del mare, protette da dighe. Un giorno la figlia del re Gradlon, Dahud, si innamorò dello straniero giunto da poco e in pegno d'amore gli donò le chiavi delle dighe che proteggevano la città. Ciò che non sapeva era che in lui albergava il demonio che distrusse il luogo. Il re salvò la figlia, ma Dio gli rivelò che il diavolo si era trasferito in lei e, a malincuore, la lasciò affogare. Ella si trasformò in una crudele sirena che tutt’oggi uccide i marinai attirandoli col suo canto. Una sciocchezza senza fondamento, Lucifero lo conosciamo bene e non sa fare nulla del genere.>> Argento a quel punto si girò con quello che aveva l’aria di un sorriso. << Quando ho raccontato la prima volta la storia ho raccontato del demonio, non di Lucifero. c’è differenza. Il demonio esisteva. Ed è morto.>>
Gli scorse un brivido lungo la schiena, non per il tono, ma per le parole stesse. Con demonio intendeva QUEL demonio? Quell’essere abietto che ogni essere, umano e angelico, temeva? Quella dannata creatura?
<< Argento! Se si tratta di qualcuno legato a lui allora è pericoloso portare Sétanta qui! Io sono stato creato per resistere, ma lui è un mortale!>>
<< Stai tranquillo, la persona con cui ci incontreremo non è più collegata a lui.>>
L’unico umano del trio era confuso, di chi stavano parlando? A giudicare dalle loro parole non era proprio il tipo di persona che porteresti a bere qualcosa con te. Adesso era davvero curioso, era l’ultimo arrivato, non sapeva molto dei loro piani. Si era unito solo per essere utile e per spirito battagliero, non temeva nulla e nessuno. Lui era colui che aveva sconfitto lo stregone Balor OcchioMalvagio.
Continuarono ad andare avanti per il corridoio, coloro con cui si dovevano incontrare era nella stanza comune con tutti gli altri “ospiti obbligatori”. Vista la sua pericolosità si trovava in condizioni speciali, ma, se lo chiedete a me, nessuna misura sotto l’eutanasia è abbastanza per uno come lui.
Era seduto su una sedia a rotelle stranamente avanzata posizionata davanti alla finestra, dando a le spalle a chi entrava. Osservava senza battere ciglio il panorama davanti alle sbarre, un giardino mezzo morto e rinsecchito, gli alberi piangenti, e non più tanto sempreverdi e con palesi tendenze suicida e depressive per essere nati lì, erano le cose più allegre che si potessero scorgere. Abbastanza da rallegrare la giornata.
Il loro leader si avvicinò con calma, come se avesse tutto il tempo del mondo. Persino i folli comprendevano che era meglio non stargli vicino, chi sbatteva la testa contro il muro sino a poc'anzi aveva smesso per correre via, le carte da gioco era state lasciate sul tavolino, avevano scelto volentieri di tornare nelle loro stanze ovattate a prendere pillole colorate a forma di animaletti carini.
Posò un dito sulla sua camicia di forza per richiamarlo con delicatezza.
<< Perdoni il disturbo, è lei il signor Victor Anoth, ho ragione?>>
Voltò la testa verso di lui, era completamente ricoperto da una camicia di forza, persino la sua bocca era bloccata, gli era permesso di mostrare solo un occhio violaceo. Così simile a quello delle divinità più importanti. Attaccato alla sedia era presente uno schermo digitale, è uno strumento in dotazione agli ospedali tramite cui chi è nel letto paralizzato è in grado di parlare tramite la selezione di lettere tramite gli occhi.
<< Sono io.>> L’altoparlante rispose con voce robotica. << Tu devi essere Il Viandante.>>
<< Mi chiamano anche così. Vedo che mi conosce.>>
<< Il mio popolo ti conosce da diverse generazioni, eri odiato sin dai tempi di Artù Pendragon.>>
Argento sorrise come la suo solito e, presa una delle tante sedie di plastica lasciate libere dai pazienti, si sedette tranquillo. Gli altri due si stavano ancora chiedendo cosa ci stessero facendo con lui lì, lui da solo bastava ed avanzava. Magari soffriva di solitudine?
<< Vorrei fare quattro chiacchiere con te su un argomento.>> Smise il “lei” che aveva usato per introdursi. << Dove sono i rimasugli spirituali di Delirio?>>
I rimasugli spirituali: essi sono ciò che resta di una creatura spirituale di alto livello quando non viene raccolta da Morte. Il dio non ha un trattamento preferenziale verso razze in particolare facendogli fare la stessa fine di tutti gli altri, ma il Craft di cui è composta la loro anima non si trasforma, nel caso non venga raccolta, in “spiriti maligni” quanto in masse amorfe simili a cadaveri di slime. Da questi composti si possono ottenere molte informazioni se si sa come analizzarle, si passa dai ricordi sino alle abilità.
<< E a cosa ti servirebbero?>>
<< A richiamare il Dodicesimo Dio.>>
Semeyaza sgranò gli occhi di scatto, cosa voleva dire? Richiamare il Dodicesimo? Da dove gli era uscita fuori questa idea folle? Il Dodicesimo Dio, una creatura condannata ad un eterno limbo di vuoto sino a quando l’umanità sarà viva. Lo aveva incontrato solo una volta, stava parlando con Tempo giocando al Gansho quando si girò verso di lui. Lo fece trasalire con un solo sguardo, non era particolarmente maligno o crudele, semplicemente bastava che lui fosse presente per terrorizzare chiunque. Poteva essere considerato un cataclisma ambulante.
<< Si dice che gli abitanti di Ys lo venerassero, la loro fede era talmente grande che lui li benedì tutti. Per questo hanno ereditato per generazioni gli occhi viola e i capelli bianchi. Anche se questo vale solo per i sangue puro, come te.>>
Victor aspettò qualche secondo prima di rispondere, sembrava stesse cercando di mugugnare qualcosa con la bocca tappata dalle bende. “Mmhhh…. f...a… d...h… e...”
<< Sétanta! Tagliagli la gola!>> Il blu urlò al suo compagno indicandolo l’imbavagliato.
Non stava semplicemente mugugnando, stava usando una formula evocativa di potenziamento. Nel suo lavoro aveva appreso molte cose, analizzare i movimenti delle labbra, anche coperte da stoffa, era una di quelle. Se non ti adattati non sopravvivi alla malavita. Non fu abbastanza veloce. Nulla di fisico è più veloce di un’anima che si espande. E nulla è più veloce di quella di proprietà una divinità, seppur minore.
Il biondo aprì gli occhi, era rimasto abbagliato dall’esplosione dell’anima. Dove erano finiti? Non sembrava il manicomio di poco prima. I suoi piedi finivano sino alla coscia in un qualcosa di simile ad acqua sporca e fangosa, gli rallentavano troppo i movimenti.
<< Inutile che tenti di ragionare, ora le regole normali non funzionano più. Siamo in una “Doll’s House”.>> Nonostante fosse decisamente più basso, Semeyaza sembrava essere più fuori di lui dall’acqua.
“Doll’s House” era il potere in possesso degli Dei Inferiori, non potendo essi intromettersi in un Dominio dei Grandi Dei ne creavano uno in miniatura. Per le divinità dei sogni si trattava del momento in cui gli umani andavano a dormire, per Androktasiai le zone di guerra.
Delirio invece non aveva questa possibilità, agire solo nella mente degli svitati era un qualcosa di troppo limitato per lui. Non poteva far impazzire un pazzo. Ma poteva far entrare nella sua testa tutti gli altri. E cosa accade quando ti ritrovi in un mondo senza logica? Ti adatti alla situazione. Era sua abitudine giocare con la mente dei suoi ospiti sino a farli uscire di testa, si divertiva nel vederli trasformarsi in vegetali, anche se non disdegnava completarli mentre sbattevano contro qualcosa sino a morire.
Invece non sopportava minimamente il suo ultimo recipiente dopo la condanna. Quel figlio di Avalon era sempre tranquillo anche con la sua voce in testa che lo chiamava. Alle sei del mattino, sei minuti e sei secondi lo svegliava urlando e facendo comparire orrori nella sua mente, visioni di chi amava fatto a pezzi nel modo più brutale e sadico possibile, cose che avevano portato al suicidio i suoi predecessori. Allora perché con lui non funzionava? Poi Delirio lo capì. Ed ebbe paura. Victor, quello che all’epoca era solo un bambino non era la vittima che avrebbe torturato per gioco sino alla sua rottura, era il suo carceriere. Era lui il suo torturatore. Tutte quelle cose, quelle visioni, quelle grida, lo divertivano. Gli piaceva. Era un sociopatico. Non gli importava nulla se gli altri si sarebbe feriti, anche se membri della sua famiglia, a lui importava solo di sé stesso.
Non ci volle molto che Victor imparasse a rendere suoi i poteri della divinità e la mischiasse al suo Craft innato. Anche dopo la loro separazione era rimasto in lui un pizzico di Delirio.
<< “Doll’s House: Mountains of Madness”.>> Rispose come per fare una precisazione dovuta. Era una variazione tutta sua della normale Doll’s House.
Avanzò piano sporcando i suoi stivali nella fanghiglia nera, rimuginava a bassa voce sul fatto che sarebbe stato meglio restare seduto sulla sua sedia a rotelle. Era un bel po’ che non camminava normalmente, circa sette anni? Non che importasse, tutto quello che stava accadendo era a livello mentale, non fisico. Questo non significava che non avrebbero avuto contraccolpi nel mondo reale. Ogni danno del loro corpo mentale si sarebbe ritorto anche nella realtà una volta usciti fuori.
Posso capire che messa così suoni complicato, per farla più semplice, se vi rompete una gamba lì allora anche la vostra gamba reale si romperà perché il vostro cervello crederà che lo sia. Questo significa anche se si poteva andare avanti senza qualche handicap fisico, un paralitico poteva camminare, un cieco vedere e così via. L’unico limite è l’immaginazione. Il problema è che nessuno ha un’immagine migliore di un folle.
Il blu e il biondo si voltarono verso di lui e lo videro. Era un uomo dall’aspetto fisico normale, non aveva i tratti deformi o mostruosi che nelle storie dell’orrore, che si svolgono nei manicomi, che di solito senti. Volendo fare un paragone non era tanto diverso da Mr Edward Hyde, aveva un qualcosa di sgradevole, ma che non si riusciva a mettere a fuoco. Per dovere vi dico che il suo aspetto piacente era più vicino a quello di Henry Jekyll, un ragazzo, circa trentacinque anni volendo stare larghi, alto sul metro e settantacinque, capelli bianchi con un paio di ciuffi laterali che cadevano, quasi simmetricamente, sul volto coprendo parte degli occhio violacei. Si era anche tolto la camicia di forza dal resto del corpo, sostituendoli con una comoda felpa e un paio di calzoni neri. Stava decisamente più comodo in quella versione.
<< Assomiglia un sacco a...>>
<< Ah-ha.>> Rispose di riflesso al biondo. << Parenti da parte di madre, se non sbaglio.>>
In tutto questo Argento era fermo, in piedi, ad osservare la scena. Perché non ti prendi una tazza di cioccolata calda già che ci sei? Fai apparire un tavolino, una sedia, un ombrello e ti fai una vacanza?! Peggior capo di sempre!
Si scosse un po’ la testa, non era più abituato a tenere i capelli sciolti e anche l’occhio, solitamente coperto, aveva qualche problemi ad adattarsi… ma bastava pensare che stesse bene per tornare in piena forma.
<< Ehi, ho una domanda per voi due! Biondo e blu!>> Si mise a gridare, come se ci fosse qualcosa che gli impedisse di sentirlo. << Qualcuno di voi ha perso un intestino tenue?>> Chiese mettendosi l’organo, ancora sporco, al collo come fosse una sciarpa elegante.
Sétanta vomitò sangue alla visione, era lui quello a cui lo aveva strappato brutalmente. Sentiva il suo stomaco riempirsi del liquido rosso, il dolore era atroce.
<< Smettila, Sétanta! Ti basterà credere che sia lì per guarire!>> Semeyaza lo richiamò serio, era abbastanza tranquillo.
Non era la prima volta che si trovava a dover affrontare una Doll’s House. La concentrazione era tutto per resistere a morte certa. Non smise di tossire e vomitare, era troppo idiota per immaginare decentemente! Okay, bastava usare un po’ di logica con lui. Gli infilò con forza in gola qualcosa di simile al seme di una piantina, facendolo deglutire come una mamma che cerca di far prendere al figlio piccole le vitamine al gusto di cicoria.
<< Sono semi speciali che cureranno la tua ferita!>> In effetti dopo pochi minuti tornò in sé, e, ovviamente, si trattava di un comunissimo seme di melo. Ne portava sempre una certa varietà in tasca, dopo vi spiego il perché. Aspettate qualche minuto
Victor era rimasto deluso, il sangue si era subito diluito con il liquido sul terreno e non si vedeva quasi più. Così era molto meno divertente! Molto di meno. Di meno. Di meno. Di meno! Di menodimenodimenodimenodimenodimeno! DI MENO!
Perché cazzo gli stavano rovinando il divertimento?! Voleva godersi un po’ di sangue e sofferenza! Voleva giocare un po’! Voleva giocare con i suoi giocattoli rotti!
<< Sétanta, vai indietro. Ora ci penso io.>> Gli lasciò in mano altri semi. << Prendili per ogni emergenza.>>
Semeyaza andò avanti, Capelli d’Argento non sembrava essere interessato ad agire e Sétanta era solo un peso. Era l’unico che poteva fare qualcosa contro di lui.
<< Uh? Ci pensi solo tu? Il biondino e l’argentato restano lì? Oh mai dai! Non è divertente! No, no, signore! Noia! Noia! Noia!>> Si mise a ripeterlo come fosse un bambino piccolo che si lamentava.
L'angelo lo ignorò, preferì pensare a togliersi la giacca nera del completo. Non sopportava quel capo, anche quando si trattava di lavoro lo indossava quando aveva qualche ospite, ad esempio come qualche politico facilmente corruttibile. Non sopportava di doverlo portare anche nella sua immaginazione. Non sopportava nemmeno i ragazzini lamentosi, nemmeno i suoi figli, quando erano vivi, si comportavano in quel modo.
<< Prima di iniziare voglio farti qualche domanda.>> Chissà perché voleva farle. Forse aveva un qualche sentimento di pietà dentro di sé? Gli capitava sempre davanti a nemici troppo giovani, forse amava i casi difficili. << Dimmi, perché la tua mente è così? Hai forse sofferto? È colpa dei tuoi genitori? Del tuo paese natio? Eravate in guerra? Soffrivate la sete e la fame? La solitudine? Sei stato violentato? Torturato? Hai sofferto l'inferno in terra? Ti hanno strappato la donna amata? Hai viso morire chi ti era caro? Hai visto orrori indicibili? Notti da solo al freddo? L’agonia della conoscenza?>>
Victor rimase impalato a sentirlo parlare, quasi commosso. Delle parole così semplici lo avevano forse raggiunto? Si mise la mano davanti al volto mentre l’altro avanzava con calma.
<< Sì, ho perso molte persone care… tutte...>> Poi inizio. A ridere. << Ed è stato uno spassooooo! Dovevi vedere la scena! Una delle parti più gustose è stato quando ho rovinato un accordo di pace! Tutti credevano che finalmente la guerra sarebbe finita, poi è bastato uccidere un bambino e tutto è scoppiato facendo un grande Booom! Bombe a manetta! Fucili! La fiera estiva era arrivata! Ahahahah! Un gioco spassoso! Lo ammetto!>> Prese gli angoli della sua bocca con le dita e cominciò a tirare, tirare, tirare, fino a strapparsi la pelle formando un disturbante “Glasgow Smile”. << Non ho mai subito nulla! Mammina e papino mi amavano un sacco, è stato triste bruciare la casa con loro dentro. Più divertente avvelenare tutta la città, è bastato pochissimo veleno! L’ho creato usando la mia immaginazione! Non sai cosa si può fare col potere di un dio di bassa lega come Delirio! Persino lui si spaventava! “Aiuto, aiuto! sono pentito, non lo farò più!” Sembrava il bimbo che ho impiccato una volta dopo che mi aveva rotto la bambola che avevo appena comprato!>>
Disgustoso. Lui era nato deviato. Godeva nell’infliggere sofferenza agli altri come se fosse un gioco, persino il dio Delirio era finito per diventare un bambolotto che aveva rotto per pura noia. In tanti millenni di vita, da quando era stato creato, ne aveva visti di mostri, ma lui? Lui li batteva tutti.
Era come trovarsi davanti un abisso di malignità e crudeltà senza una vera e propria fine.
<< “Bimbo impiccato”? “Persone avvelenate”?>> L’angelo ringhiò, lui aveva perso sia sua moglie che i suoi figli. Uccisi. E anche lui aveva le mani sporche del loro sangue. Non poteva accettare parole del genere. << Ho deciso, Victor… no, bestia schifosa. Io, Semeyaza, ti ucciderò qui ed ora! Darò la tua mente e il tuo corpo in pasto alle piante!>>
Era un’abitudine degli angeli più vecchi presentarsi ai propri nemici. Un gesto d’onore, in modo che anche nelle loro vie successive non avrebbe dimenticato con chi avevano avuto a che fare e l'umiliazione che avevano subito. Non che a quel folle interessassero le buone abitudini, forse non sapeva nemmeno cosa fossero le buone abitudini. Argento invece non vedeva l’ora di assistere di persona al potere esclusivo di Semeyaza.
Aveva sentito dire che come leader dei Grimori gli era stato concesso un potere unico, che nessun altro poteva possedere dalla nascita.
<< Pianta dell'ostilità: Lobelia.>> A quelle parole di vocazione una serie di fiori blu uscirono come un geyser dal terreno sotto i piedi del bianco. Li aveva evocati dal nulla, la sua volontà era abbastanza forte da alterare la Doll’s House con pensieri immediati?
<< Pianta della rabbia: Garofano rosso.>> Stavolta il fiore nacque sul suo polso, gli diede una rapida annusata e si lanciò verso quel “getto” di lobelie. Funzionava come una droga steroidea, il suo corpo era più forte di prima. << Pianta del pericolo: Arnica.>>
Sferrò un calcio alla mascella di Victor rompendogliela in decine di pezzi, un frammento d’osso sarebbe potuto schizzare al cervello uccidendolo. In una battaglia reale avrebbe vinto. Ma si trattava di un mondo mentale, doveva solo pensare di stare in salute per salvarsi.
Il problema era reagire in tempo, per quanto fosse veloce a pensare, i suoi tempi di reazione non potevano aumentare sino a quel punto. Se non realizzava il livello del nemico non poteva comprendere sino a quanto dovesse potenziarsi.
<< Pianta del valore: Geranio di Boemia.>>
Delicati fiori rosa sbocciarono sul suo petto, che effetto poteva avere quelli? Esistevano milioni di varietà floreali e decine di specie diverse per ognuna. Se ne annoverano duemila varietà solo delle petunie del Sedicesimo Mondo.
Nel frattempo Capelli d'Argento aveva compreso perfettamente di cosa si trattasse. Un potere evolutivo, non si limitava a far nascere delle piante o fiorellini di campo, li portava allo stato evolutivo superiore della loro specie permettendogli di mostrare ciò che incarnavano nel linguaggio dei fiori. Questo stata ad indicare che, in una Doll’s House e senza limitazioni, era virtualmente impossibile prevedere quale specie avrebbe evocato.
Con “Lobelia” lo aveva investito con un ondata di ostilità spaventandolo e indebolendo le sue difese, “Garofano Rosso” era servito da potenziamento e “Arnica” aveva fatto rilasciare al suo cervello sostanze che riducevano la paura e il senso di pericolo, ma aveva anche sfruttato le proprietà antinfiammatorie per evitare danni ai muscoli. Ora bisognava vedere cosa faceva “Geranio di Boemia”. Un potere come quello era complesso persino per lui.
Mise le mani come se dovesse compiere un sigillo di evocazione. Fu trafitto da qualcosa in pieno petto. Era un qualcosa di non solido, riusciva letteralmente a passarci attraverso con le mani, eppure, era dannoso. Non si trattava del potere dell’area, era Craft vero e proprio.
<< Road to Madness. Questo è il mio Craft personale.>> Commentò ancora in piedi Victor con il sorriso che si stava trasformando in un'espressione di rabbia e rifiuto della situazione. << Ti odio. Ti odio. Ti odiotiodiotiodiotiodio! TI ODIO!>> Sembrava un bambino.
<< Il sentimento è reciproco. Figlio della merda.>>
Aprirono gli sportelli ed uscirono, il biondo non sopportava i vestiti che era stato costretto a indossare, lo faceva sembrare uno di quei nobili obesi che stavano nelle ville. Dannato Capelli d’Argento.
<< Che posto è questo?>>
<< Una struttura sanitaria per persone con gravi difficoltà psico-cognitive, Sétanta.>>
<< Una che?>>
<< Una casa dei matti per usarla termini adatti a te. Capelli d’Argento la fa troppo lunga.>> Commentò Semeyaza scostandosi alcune ciocche di capelli blu con la mano.
Argento aveva fatto del suo meglio per sembrare una persona comune, ma con quel completo elegante scuro sembrava decisamente un inviato da qualche ministero. Semeyaza, più a suo agio in quegli abiti, non amava i manicomi. Gli portavano alla mente brutti ricordi.
Ricordi di gioventù.
Il loro leader non aveva nemmeno accennato a quale fosse il loro obiettivo, si era limitato a porgere i vestiti nuovi e a commentare che si sarebbero incontrati con qualcuno di importante. Invidiavano la missione di Gilgamesh e company nella palude, era certamente più sporca ma più sopportabile.
L’interno, poi, non era minimamente migliore della facciata. I pazienti nella sala comune, visibile attraverso il vetro che interrompeva il muro con l’intonaco carente, erano lasciati quasi a loro stessi. Ne vedeva alcuni continuare a sbattere contro una parete nel tentativo di uscire, altri fissavano il vuoto, solo in pochi si limitavano a qualcosa come giocare a carte, sempre che così si possa chiamare quel buttarle a casaccio. Sétanta la definì come “la cosa più agghiacciate mai vista nella sua vita”.
Meglio la morte che finire in quel modo.
L’infermiera, seduta alla sua postazione, stava palesemente ignorando ogni dovere professionale guardando qualche stupido video sul computer. Lucifero in confronto a loro era uno stacanovista.
<< Mi scusi, ma siamo qui...>>
<< Un momento.>> La donna ignorò completamente Argento. Stare molto tempo a contatto con i matti doveva averla resa leggermente immune al suo tono di voce. Gli altri due si trattennero dallo scoppiare a ridere, per dirla meglio Semeyaza tappo la bocca sua e del biondo.
Loro ci avevano fatto l’abitudine, ma vedere qualcuno ignorarlo in quel modo era esilarante.
Argento iniziò a bacchettare con le dita sul piano di legno, manteneva il suo sorriso gentile e ipocrita, ma si poteva vedere che era innervosito dall’attesa. Allora esisteva qualcosa che gli faceva passare la pazienza: il sistema ospedaliero. Per quale motivo stava lì se non voleva lavorare? Stava palesemente guardando video di gattini su internet, era inutile tentare di inventare scuse.
Semeyaza tirò fuori dalla tasca un portafogli, dentro di essi erano presenti i soldi che Gilgamesh gli aveva dato per quando doveva spostarsi nei Mondi che utilizzavano quel tipo di valuta. Le banconote del Secondo Mondo non erano molto diffuse a differenza di quelle del Trecentoventiseiesimo. Lasciò sul bancone una somma adatta a comprarsi almeno tre bottiglie del peggior vino in cartone e fece segno ai suoi compagni di andare avanti ignorando ogni cosa, compresa la firma sul registro dei visitatori.
<< Soldi?>> Chiese il biondo incuriosito.
<< Corruzione, questa è una cosa uguale ovunque. Donne, cibo, potere, uomini, puoi ottenere tutto con la giusta cifra. Basta sapere quale sia il prezzo di uomo, più è basso e meno vale.>>
Sétanta rimase un po’ tra lo schifato e il curioso, era in parte tentato di chiedere quanto potesse essere il suo valore. Era stato spesso assunto come mercenario da qualche nobile per le loro battaglie, ma il guadagno variava da scontro a scontro. Un prezzo fisso non lo aveva mai ricevuto.
<< Ora che ho risolto questo, puoi dirmi il motivo per cui siamo qui?>> Capelli Argento mise la mano coperta dal guanto nero sul mento, come a riflettere.
<< Se ci tieni va bene. Cosa sai di Ys?>>
<< L’isola perduta? Si raccontava che fosse un'isola sotto il livello del mare, protette da dighe. Un giorno la figlia del re Gradlon, Dahud, si innamorò dello straniero giunto da poco e in pegno d'amore gli donò le chiavi delle dighe che proteggevano la città. Ciò che non sapeva era che in lui albergava il demonio che distrusse il luogo. Il re salvò la figlia, ma Dio gli rivelò che il diavolo si era trasferito in lei e, a malincuore, la lasciò affogare. Ella si trasformò in una crudele sirena che tutt’oggi uccide i marinai attirandoli col suo canto. Una sciocchezza senza fondamento, Lucifero lo conosciamo bene e non sa fare nulla del genere.>> Argento a quel punto si girò con quello che aveva l’aria di un sorriso. << Quando ho raccontato la prima volta la storia ho raccontato del demonio, non di Lucifero. c’è differenza. Il demonio esisteva. Ed è morto.>>
Gli scorse un brivido lungo la schiena, non per il tono, ma per le parole stesse. Con demonio intendeva QUEL demonio? Quell’essere abietto che ogni essere, umano e angelico, temeva? Quella dannata creatura?
<< Argento! Se si tratta di qualcuno legato a lui allora è pericoloso portare Sétanta qui! Io sono stato creato per resistere, ma lui è un mortale!>>
<< Stai tranquillo, la persona con cui ci incontreremo non è più collegata a lui.>>
L’unico umano del trio era confuso, di chi stavano parlando? A giudicare dalle loro parole non era proprio il tipo di persona che porteresti a bere qualcosa con te. Adesso era davvero curioso, era l’ultimo arrivato, non sapeva molto dei loro piani. Si era unito solo per essere utile e per spirito battagliero, non temeva nulla e nessuno. Lui era colui che aveva sconfitto lo stregone Balor OcchioMalvagio.
Continuarono ad andare avanti per il corridoio, coloro con cui si dovevano incontrare era nella stanza comune con tutti gli altri “ospiti obbligatori”. Vista la sua pericolosità si trovava in condizioni speciali, ma, se lo chiedete a me, nessuna misura sotto l’eutanasia è abbastanza per uno come lui.
Era seduto su una sedia a rotelle stranamente avanzata posizionata davanti alla finestra, dando a le spalle a chi entrava. Osservava senza battere ciglio il panorama davanti alle sbarre, un giardino mezzo morto e rinsecchito, gli alberi piangenti, e non più tanto sempreverdi e con palesi tendenze suicida e depressive per essere nati lì, erano le cose più allegre che si potessero scorgere. Abbastanza da rallegrare la giornata.
Il loro leader si avvicinò con calma, come se avesse tutto il tempo del mondo. Persino i folli comprendevano che era meglio non stargli vicino, chi sbatteva la testa contro il muro sino a poc'anzi aveva smesso per correre via, le carte da gioco era state lasciate sul tavolino, avevano scelto volentieri di tornare nelle loro stanze ovattate a prendere pillole colorate a forma di animaletti carini.
Posò un dito sulla sua camicia di forza per richiamarlo con delicatezza.
<< Perdoni il disturbo, è lei il signor Victor Anoth, ho ragione?>>
Voltò la testa verso di lui, era completamente ricoperto da una camicia di forza, persino la sua bocca era bloccata, gli era permesso di mostrare solo un occhio violaceo. Così simile a quello delle divinità più importanti. Attaccato alla sedia era presente uno schermo digitale, è uno strumento in dotazione agli ospedali tramite cui chi è nel letto paralizzato è in grado di parlare tramite la selezione di lettere tramite gli occhi.
<< Sono io.>> L’altoparlante rispose con voce robotica. << Tu devi essere Il Viandante.>>
<< Mi chiamano anche così. Vedo che mi conosce.>>
<< Il mio popolo ti conosce da diverse generazioni, eri odiato sin dai tempi di Artù Pendragon.>>
Argento sorrise come la suo solito e, presa una delle tante sedie di plastica lasciate libere dai pazienti, si sedette tranquillo. Gli altri due si stavano ancora chiedendo cosa ci stessero facendo con lui lì, lui da solo bastava ed avanzava. Magari soffriva di solitudine?
<< Vorrei fare quattro chiacchiere con te su un argomento.>> Smise il “lei” che aveva usato per introdursi. << Dove sono i rimasugli spirituali di Delirio?>>
I rimasugli spirituali: essi sono ciò che resta di una creatura spirituale di alto livello quando non viene raccolta da Morte. Il dio non ha un trattamento preferenziale verso razze in particolare facendogli fare la stessa fine di tutti gli altri, ma il Craft di cui è composta la loro anima non si trasforma, nel caso non venga raccolta, in “spiriti maligni” quanto in masse amorfe simili a cadaveri di slime. Da questi composti si possono ottenere molte informazioni se si sa come analizzarle, si passa dai ricordi sino alle abilità.
<< E a cosa ti servirebbero?>>
<< A richiamare il Dodicesimo Dio.>>
Semeyaza sgranò gli occhi di scatto, cosa voleva dire? Richiamare il Dodicesimo? Da dove gli era uscita fuori questa idea folle? Il Dodicesimo Dio, una creatura condannata ad un eterno limbo di vuoto sino a quando l’umanità sarà viva. Lo aveva incontrato solo una volta, stava parlando con Tempo giocando al Gansho quando si girò verso di lui. Lo fece trasalire con un solo sguardo, non era particolarmente maligno o crudele, semplicemente bastava che lui fosse presente per terrorizzare chiunque. Poteva essere considerato un cataclisma ambulante.
<< Si dice che gli abitanti di Ys lo venerassero, la loro fede era talmente grande che lui li benedì tutti. Per questo hanno ereditato per generazioni gli occhi viola e i capelli bianchi. Anche se questo vale solo per i sangue puro, come te.>>
Victor aspettò qualche secondo prima di rispondere, sembrava stesse cercando di mugugnare qualcosa con la bocca tappata dalle bende. “Mmhhh…. f...a… d...h… e...”
<< Sétanta! Tagliagli la gola!>> Il blu urlò al suo compagno indicandolo l’imbavagliato.
Non stava semplicemente mugugnando, stava usando una formula evocativa di potenziamento. Nel suo lavoro aveva appreso molte cose, analizzare i movimenti delle labbra, anche coperte da stoffa, era una di quelle. Se non ti adattati non sopravvivi alla malavita. Non fu abbastanza veloce. Nulla di fisico è più veloce di un’anima che si espande. E nulla è più veloce di quella di proprietà una divinità, seppur minore.
Il biondo aprì gli occhi, era rimasto abbagliato dall’esplosione dell’anima. Dove erano finiti? Non sembrava il manicomio di poco prima. I suoi piedi finivano sino alla coscia in un qualcosa di simile ad acqua sporca e fangosa, gli rallentavano troppo i movimenti.
<< Inutile che tenti di ragionare, ora le regole normali non funzionano più. Siamo in una “Doll’s House”.>> Nonostante fosse decisamente più basso, Semeyaza sembrava essere più fuori di lui dall’acqua.
“Doll’s House” era il potere in possesso degli Dei Inferiori, non potendo essi intromettersi in un Dominio dei Grandi Dei ne creavano uno in miniatura. Per le divinità dei sogni si trattava del momento in cui gli umani andavano a dormire, per Androktasiai le zone di guerra.
Delirio invece non aveva questa possibilità, agire solo nella mente degli svitati era un qualcosa di troppo limitato per lui. Non poteva far impazzire un pazzo. Ma poteva far entrare nella sua testa tutti gli altri. E cosa accade quando ti ritrovi in un mondo senza logica? Ti adatti alla situazione. Era sua abitudine giocare con la mente dei suoi ospiti sino a farli uscire di testa, si divertiva nel vederli trasformarsi in vegetali, anche se non disdegnava completarli mentre sbattevano contro qualcosa sino a morire.
Invece non sopportava minimamente il suo ultimo recipiente dopo la condanna. Quel figlio di Avalon era sempre tranquillo anche con la sua voce in testa che lo chiamava. Alle sei del mattino, sei minuti e sei secondi lo svegliava urlando e facendo comparire orrori nella sua mente, visioni di chi amava fatto a pezzi nel modo più brutale e sadico possibile, cose che avevano portato al suicidio i suoi predecessori. Allora perché con lui non funzionava? Poi Delirio lo capì. Ed ebbe paura. Victor, quello che all’epoca era solo un bambino non era la vittima che avrebbe torturato per gioco sino alla sua rottura, era il suo carceriere. Era lui il suo torturatore. Tutte quelle cose, quelle visioni, quelle grida, lo divertivano. Gli piaceva. Era un sociopatico. Non gli importava nulla se gli altri si sarebbe feriti, anche se membri della sua famiglia, a lui importava solo di sé stesso.
Non ci volle molto che Victor imparasse a rendere suoi i poteri della divinità e la mischiasse al suo Craft innato. Anche dopo la loro separazione era rimasto in lui un pizzico di Delirio.
<< “Doll’s House: Mountains of Madness”.>> Rispose come per fare una precisazione dovuta. Era una variazione tutta sua della normale Doll’s House.
Avanzò piano sporcando i suoi stivali nella fanghiglia nera, rimuginava a bassa voce sul fatto che sarebbe stato meglio restare seduto sulla sua sedia a rotelle. Era un bel po’ che non camminava normalmente, circa sette anni? Non che importasse, tutto quello che stava accadendo era a livello mentale, non fisico. Questo non significava che non avrebbero avuto contraccolpi nel mondo reale. Ogni danno del loro corpo mentale si sarebbe ritorto anche nella realtà una volta usciti fuori.
Posso capire che messa così suoni complicato, per farla più semplice, se vi rompete una gamba lì allora anche la vostra gamba reale si romperà perché il vostro cervello crederà che lo sia. Questo significa anche se si poteva andare avanti senza qualche handicap fisico, un paralitico poteva camminare, un cieco vedere e così via. L’unico limite è l’immaginazione. Il problema è che nessuno ha un’immagine migliore di un folle.
Il blu e il biondo si voltarono verso di lui e lo videro. Era un uomo dall’aspetto fisico normale, non aveva i tratti deformi o mostruosi che nelle storie dell’orrore, che si svolgono nei manicomi, che di solito senti. Volendo fare un paragone non era tanto diverso da Mr Edward Hyde, aveva un qualcosa di sgradevole, ma che non si riusciva a mettere a fuoco. Per dovere vi dico che il suo aspetto piacente era più vicino a quello di Henry Jekyll, un ragazzo, circa trentacinque anni volendo stare larghi, alto sul metro e settantacinque, capelli bianchi con un paio di ciuffi laterali che cadevano, quasi simmetricamente, sul volto coprendo parte degli occhio violacei. Si era anche tolto la camicia di forza dal resto del corpo, sostituendoli con una comoda felpa e un paio di calzoni neri. Stava decisamente più comodo in quella versione.
<< Assomiglia un sacco a...>>
<< Ah-ha.>> Rispose di riflesso al biondo. << Parenti da parte di madre, se non sbaglio.>>
In tutto questo Argento era fermo, in piedi, ad osservare la scena. Perché non ti prendi una tazza di cioccolata calda già che ci sei? Fai apparire un tavolino, una sedia, un ombrello e ti fai una vacanza?! Peggior capo di sempre!
Si scosse un po’ la testa, non era più abituato a tenere i capelli sciolti e anche l’occhio, solitamente coperto, aveva qualche problemi ad adattarsi… ma bastava pensare che stesse bene per tornare in piena forma.
<< Ehi, ho una domanda per voi due! Biondo e blu!>> Si mise a gridare, come se ci fosse qualcosa che gli impedisse di sentirlo. << Qualcuno di voi ha perso un intestino tenue?>> Chiese mettendosi l’organo, ancora sporco, al collo come fosse una sciarpa elegante.
Sétanta vomitò sangue alla visione, era lui quello a cui lo aveva strappato brutalmente. Sentiva il suo stomaco riempirsi del liquido rosso, il dolore era atroce.
<< Smettila, Sétanta! Ti basterà credere che sia lì per guarire!>> Semeyaza lo richiamò serio, era abbastanza tranquillo.
Non era la prima volta che si trovava a dover affrontare una Doll’s House. La concentrazione era tutto per resistere a morte certa. Non smise di tossire e vomitare, era troppo idiota per immaginare decentemente! Okay, bastava usare un po’ di logica con lui. Gli infilò con forza in gola qualcosa di simile al seme di una piantina, facendolo deglutire come una mamma che cerca di far prendere al figlio piccole le vitamine al gusto di cicoria.
<< Sono semi speciali che cureranno la tua ferita!>> In effetti dopo pochi minuti tornò in sé, e, ovviamente, si trattava di un comunissimo seme di melo. Ne portava sempre una certa varietà in tasca, dopo vi spiego il perché. Aspettate qualche minuto
Victor era rimasto deluso, il sangue si era subito diluito con il liquido sul terreno e non si vedeva quasi più. Così era molto meno divertente! Molto di meno. Di meno. Di meno. Di meno! Di menodimenodimenodimenodimenodimeno! DI MENO!
Perché cazzo gli stavano rovinando il divertimento?! Voleva godersi un po’ di sangue e sofferenza! Voleva giocare un po’! Voleva giocare con i suoi giocattoli rotti!
<< Sétanta, vai indietro. Ora ci penso io.>> Gli lasciò in mano altri semi. << Prendili per ogni emergenza.>>
Semeyaza andò avanti, Capelli d’Argento non sembrava essere interessato ad agire e Sétanta era solo un peso. Era l’unico che poteva fare qualcosa contro di lui.
<< Uh? Ci pensi solo tu? Il biondino e l’argentato restano lì? Oh mai dai! Non è divertente! No, no, signore! Noia! Noia! Noia!>> Si mise a ripeterlo come fosse un bambino piccolo che si lamentava.
L'angelo lo ignorò, preferì pensare a togliersi la giacca nera del completo. Non sopportava quel capo, anche quando si trattava di lavoro lo indossava quando aveva qualche ospite, ad esempio come qualche politico facilmente corruttibile. Non sopportava di doverlo portare anche nella sua immaginazione. Non sopportava nemmeno i ragazzini lamentosi, nemmeno i suoi figli, quando erano vivi, si comportavano in quel modo.
<< Prima di iniziare voglio farti qualche domanda.>> Chissà perché voleva farle. Forse aveva un qualche sentimento di pietà dentro di sé? Gli capitava sempre davanti a nemici troppo giovani, forse amava i casi difficili. << Dimmi, perché la tua mente è così? Hai forse sofferto? È colpa dei tuoi genitori? Del tuo paese natio? Eravate in guerra? Soffrivate la sete e la fame? La solitudine? Sei stato violentato? Torturato? Hai sofferto l'inferno in terra? Ti hanno strappato la donna amata? Hai viso morire chi ti era caro? Hai visto orrori indicibili? Notti da solo al freddo? L’agonia della conoscenza?>>
Victor rimase impalato a sentirlo parlare, quasi commosso. Delle parole così semplici lo avevano forse raggiunto? Si mise la mano davanti al volto mentre l’altro avanzava con calma.
<< Sì, ho perso molte persone care… tutte...>> Poi inizio. A ridere. << Ed è stato uno spassooooo! Dovevi vedere la scena! Una delle parti più gustose è stato quando ho rovinato un accordo di pace! Tutti credevano che finalmente la guerra sarebbe finita, poi è bastato uccidere un bambino e tutto è scoppiato facendo un grande Booom! Bombe a manetta! Fucili! La fiera estiva era arrivata! Ahahahah! Un gioco spassoso! Lo ammetto!>> Prese gli angoli della sua bocca con le dita e cominciò a tirare, tirare, tirare, fino a strapparsi la pelle formando un disturbante “Glasgow Smile”. << Non ho mai subito nulla! Mammina e papino mi amavano un sacco, è stato triste bruciare la casa con loro dentro. Più divertente avvelenare tutta la città, è bastato pochissimo veleno! L’ho creato usando la mia immaginazione! Non sai cosa si può fare col potere di un dio di bassa lega come Delirio! Persino lui si spaventava! “Aiuto, aiuto! sono pentito, non lo farò più!” Sembrava il bimbo che ho impiccato una volta dopo che mi aveva rotto la bambola che avevo appena comprato!>>
Disgustoso. Lui era nato deviato. Godeva nell’infliggere sofferenza agli altri come se fosse un gioco, persino il dio Delirio era finito per diventare un bambolotto che aveva rotto per pura noia. In tanti millenni di vita, da quando era stato creato, ne aveva visti di mostri, ma lui? Lui li batteva tutti.
Era come trovarsi davanti un abisso di malignità e crudeltà senza una vera e propria fine.
<< “Bimbo impiccato”? “Persone avvelenate”?>> L’angelo ringhiò, lui aveva perso sia sua moglie che i suoi figli. Uccisi. E anche lui aveva le mani sporche del loro sangue. Non poteva accettare parole del genere. << Ho deciso, Victor… no, bestia schifosa. Io, Semeyaza, ti ucciderò qui ed ora! Darò la tua mente e il tuo corpo in pasto alle piante!>>
Era un’abitudine degli angeli più vecchi presentarsi ai propri nemici. Un gesto d’onore, in modo che anche nelle loro vie successive non avrebbe dimenticato con chi avevano avuto a che fare e l'umiliazione che avevano subito. Non che a quel folle interessassero le buone abitudini, forse non sapeva nemmeno cosa fossero le buone abitudini. Argento invece non vedeva l’ora di assistere di persona al potere esclusivo di Semeyaza.
Aveva sentito dire che come leader dei Grimori gli era stato concesso un potere unico, che nessun altro poteva possedere dalla nascita.
<< Pianta dell'ostilità: Lobelia.>> A quelle parole di vocazione una serie di fiori blu uscirono come un geyser dal terreno sotto i piedi del bianco. Li aveva evocati dal nulla, la sua volontà era abbastanza forte da alterare la Doll’s House con pensieri immediati?
<< Pianta della rabbia: Garofano rosso.>> Stavolta il fiore nacque sul suo polso, gli diede una rapida annusata e si lanciò verso quel “getto” di lobelie. Funzionava come una droga steroidea, il suo corpo era più forte di prima. << Pianta del pericolo: Arnica.>>
Sferrò un calcio alla mascella di Victor rompendogliela in decine di pezzi, un frammento d’osso sarebbe potuto schizzare al cervello uccidendolo. In una battaglia reale avrebbe vinto. Ma si trattava di un mondo mentale, doveva solo pensare di stare in salute per salvarsi.
Il problema era reagire in tempo, per quanto fosse veloce a pensare, i suoi tempi di reazione non potevano aumentare sino a quel punto. Se non realizzava il livello del nemico non poteva comprendere sino a quanto dovesse potenziarsi.
<< Pianta del valore: Geranio di Boemia.>>
Delicati fiori rosa sbocciarono sul suo petto, che effetto poteva avere quelli? Esistevano milioni di varietà floreali e decine di specie diverse per ognuna. Se ne annoverano duemila varietà solo delle petunie del Sedicesimo Mondo.
Nel frattempo Capelli d'Argento aveva compreso perfettamente di cosa si trattasse. Un potere evolutivo, non si limitava a far nascere delle piante o fiorellini di campo, li portava allo stato evolutivo superiore della loro specie permettendogli di mostrare ciò che incarnavano nel linguaggio dei fiori. Questo stata ad indicare che, in una Doll’s House e senza limitazioni, era virtualmente impossibile prevedere quale specie avrebbe evocato.
Con “Lobelia” lo aveva investito con un ondata di ostilità spaventandolo e indebolendo le sue difese, “Garofano Rosso” era servito da potenziamento e “Arnica” aveva fatto rilasciare al suo cervello sostanze che riducevano la paura e il senso di pericolo, ma aveva anche sfruttato le proprietà antinfiammatorie per evitare danni ai muscoli. Ora bisognava vedere cosa faceva “Geranio di Boemia”. Un potere come quello era complesso persino per lui.
Mise le mani come se dovesse compiere un sigillo di evocazione. Fu trafitto da qualcosa in pieno petto. Era un qualcosa di non solido, riusciva letteralmente a passarci attraverso con le mani, eppure, era dannoso. Non si trattava del potere dell’area, era Craft vero e proprio.
<< Road to Madness. Questo è il mio Craft personale.>> Commentò ancora in piedi Victor con il sorriso che si stava trasformando in un'espressione di rabbia e rifiuto della situazione. << Ti odio. Ti odio. Ti odiotiodiotiodiotiodio! TI ODIO!>> Sembrava un bambino.
<< Il sentimento è reciproco. Figlio della merda.>>
Capitolo Terzo: Akrasiel
Sandalphon spostò la pedina, ormai giocare a scacchi, o almeno a questa sua variante, era diventato molto in voga anche tra gli angeli più intelligenti. Spesso il circolo culturale faceva veri e propri tornei con premi speciali per il vincitore, di solito consistenti in cibi pregiati, generosamente offerti dall’Ordine Angelico, o una coppa di latta da quattro soldi fatta da Tempo durante un momento libero. Oggetto in cui aveva messo molto impegno, ma le sue dote creative si fermavano nelle scelte fatte negli scadenti videogiochi per appuntamenti che acquistava con soldi provenienti da chissà dove.
on potevano venire dai banner del suo blog di fumetti, non ho mai visto lavori peggiori. Una lovestory tra una studentessa Protone e il suo senpai Positrone? Chi lo leggerebbe? … Beh, io, ma non centra nulla. Io ho pessimo gusto.
Solitamente si concludeva con Sahaquiel che si doveva ritirare per riportare a casa Ramiel che, in preda a una crisi isterica, lanciava la scacchiera dalla finestra alla prima sconfitta.
In quel caso specifico si trattava di un incontro con un suo buon amico. La loro amicizia era nata per caso, non lavoravano per lo stesso dio e spesso si recavano al circolo in momenti diversi per divertirsi in modo diverso, uno amava guardare qualche libro di criptozoologia, l’altro i libri di giurisprudenza, ma grazie ad un fidanzamento. Sandalphon era l’angelo personale di Giustizia, Akrasiel di Coraggio. C’è una certa ironia nel fatto che Akrasiel fosse proprio l’Angelo della Giustizia, non credete?
Sandalphon mosse il pedone in avanti di due caselle, stavano giocando da circa tre ore, nessuno stava superando l’altro. Akrasiel soffiò su un ciuffo di capelli castano ramati fastidioso che gli impediva di vedere bene, provava un certo orgoglio per essi. Da quel punto di vista era più vanesio dell’Angelo dell’Ingegno.
<< Allora, cosa fai ora che siamo, come dire, in cassa integrazione?>>
<< In cosa?>> Domandò il secondo confuso.
<< Cassa integrazione, è una cosa degli umani. Non lavori per problemi della compagnia, ma ti pagano seppur di meno.>>
<< … Al momento non sto facendo nulla di particolare. Non mi è mai capitato di non ricevere ordini dalla mia dea. Mi limito a miei doveri di base. Tu, invece, cosa fai ora che Giustizia è morto?>>
Sandalphon mosse nuovamente il pedone. << Ora gioco con un mio amico. Dopo si vedrà.>>
Akrasiel rimase un po’ infastidito di come prendesse la vita con tale leggerezza, era quasi sconcertante che potesse essere considerato quasi al livello di un membro dell’Ordine Angelico. Se non lo avesse visto all’opera non ci avrebbe mai creduto. La sua potenza era sbalorditiva, si dicesse potesse uccidere cento creature malvagie senza nemmeno muoversi dalla sua postazione.
Ma era una bugia. Poteva ucciderne mille senza muoversi.
Sandalphon doveva aver preso quel suo modo di fare rilassato dal suo dio. Non era un lavativo come lo era stato Lucifero che preferiva passare le sue giornate libere a divertirsi o come Ramiel che non riusciva nemmeno a capire cose semplicissime, lui otteneva il massimo risultato col minimo sforzo.
Il suo obiettivo era esaminare la fauna e la fauna marina? Si prendeva una giornata al mare in modo da divertirsi, vedere gli animali e le piante della zona, controllare il loro stato di salute, fare qualche foto e tornare a casa sia con un rapporto che con una tintarella.
Aveva anche sviluppato ottime dote di rapporto con gli altri, forse perché più che un assistente per Giustizia era un babysitter durante le sue fughe in giro ad “aiutare i mortali”.
Era l’angelo ideale. Erano ancora in molti a chiedersi come mai Gabriel e Tabris non gli avessero fatto la proposta di entrare nell’Ordine Angelico, sarebbe potuto essere classificato come “Gran Maestro degli Scudi”. Certo, non avrebbero resistito alle tecniche di spade dell’Angelo del Fuoco, ma considerando che apparteneva solo alla classe dei Principati della Terza Sfera, una delle più basse, aveva ancora margini di miglioramento. Un Arcangelo aveva la possibilità di appartenere comunque a una sfera maggiore e sottoclassificarsi come Trono o persino Serafino. Le legislazioni angeliche sono un terribile casino, nessuno si è ancora preso la briga di mettere tutto al suo posto ai temi di questa storia.
Qualcuno, vi prego, si dia da fare. Ho delle scartoffie che arrivano fino al soffitto, uso quelli di agraria per non far sbattere la porta.
Akrasiel spostò nuovamente la solita fastidiosa ciocca dalla faccia e spostò la sua pedina per l’ennesima volta sbuffando infastidito. Aveva ricevuto lo scacco matto al suo Imperatore Nero facendo l’unica mossa che l’avversario gli aveva lasciato possibile. Erano un po’ come Morte e Tempo quando giocavano, ma almeno qui lo scontro era equilibrato.
<< Dimmi, Akrasiel, non mi hai invitato solo per giocare con te, vero?>>
<< In effetti è così.>> Frugò sotto di lui in cerca di qualcosa, per l’altro angelo era una scena un po’ imbarazzante. Non vi ho accennato la loro sede di gioco, vero?
Il luogo era il Novecentottantasettemilesimo Mondo, amichevolmente chiamato il Mondo dei Bastardi. Non erano ancora abbastanza incasinati per essere considerati un Mondo da cancellare, avevano comunque un sistema politico funzionante e delle regole da rispettare. Niente attacco ai civili, combattimento solo in determinate zone, si poteva prendere l’oro dai cadaveri dei nemici e cose simili.
In quel dato caso si trovavano nelle piane di Antroni, un luogo dove i mercenari si riunivano per dare un’occhiata alla situazione. Le regole di civile, chiamiamola così, convivenza erano state scritte giurandole sulla Dea Coraggio e sul Dio Giustizia, gli abitanti di quel modo davano un grosso peso all’onore. Un po’ meno i mercenari, loro uccidevano e derubavano chiunque, andavano contro le regole.
“Abilità Congiunta di Coraggio e Giustizia: Contratto Eterno, Punizione Perpetua.”
Si tratta di una specie di contratto verbale dell’anima, giurando sul nome delle due divinità si stipulava un accordo che non poteva essere infranto. I termini dell’accordo venivano incisi a forza nell'anima del contraente o in coloro che si trovavano nella zona in cui era stato stipulato se fatto da due sovrani di quelle terre.
Gli individui che infrangevano le regole scelte pur essendone a conoscenza venivano puniti. Coloro che non ne erano a conoscenza si limitavano ad essere avvertiti.
Chi infrangeva deliberatamente il contratto era condannato al giudizio di Akrasiel, angelo della giustizia e servitore del coraggio.
Akrasiel: Arcangelo di giustizia, armonia, equità, parola e redenzione, ma anche di vendetta. Colui che punisce chi trasgredisce le leggi degli dei.
Essere col libero accesso al potere chiamato “Fallen in Gehenna”. Si trattava di un’abilità dimensionale di livello sconosciuto. Qualsiasi creatura con abbastanza esperienza e studio era in grado di creare dimensioni tascabili, ma nel suo caso si trattava di un vero e proprio Mondo in miniatura. Si trattava di una piccola riproduzione della Parata mista al Regno degli Ashura e all’Inferno.
La faccio più semplice, il panorama che osservavano era in tutto e per tutto uguale a quello dell’Inferno che i cristiani immaginano, con valli di lava e fuoco, costretti a combattere tra i loro sino alla rottura delle ossa e allo spappolamento degli organi. Chi moriva resuscitava solo per trasformarsi lentamente in un bambolotto come quelli che suonavano nella Parata.
Alla fine, quando Akrasiel lo decideva, si tramutavano in polvere per ascendere al giardino di Morte. La punizione peggiore era che, a differenza dei loro colleghi nella vera Parata, loro restano coscienti sino alla fine.
Tradire la promessa fatta ad un dio non è mai una buona cosa.
<< Ho una questione per te, che ne diresti se ti dicessi che è comparso qualcuno che ha resistito al mio “Fallen in Gehenna”?>>
<< Direi che è assurdo. Il tuo potere è stato creato da due divinità, solo chi è stato benedetto da Eternità può resistergli. Persino io verrei attirato e costretto allo scontro.>>
<< Immaginavo avresti risposto così, ma è la verità.>> Ammise cominciando a mettere al loro posto i vari pezzi dentro il cassettino della scacchiera portatile e, finito ciò, si alzò con calma dal suo posto.
<< E chi sarebbe questo talento in grado di resistere al tuo immenso potere?>>
<< Un umano.>>
Sandalphon sgranò gli occhi, sapeva che gli umani erano capaci di azioni sorprendenti, ma questo superava i suoi standard. Si sarebbe fatto raccontare tutto appena tornati a casa, magari davanti a una bevanda calda. << Ah, sei sicuro di volerli lasciare così?>>
L’altro non si girò nemmeno verso il posto che gli aveva fatto da sedia. << Sì, almeno eviteranno di creare problemi, dovrebbero ringraziarmi.>>
I corpi insanguinati e doloranti di criminali svenuti erano stati accatastati da lui uno sopra l’altro, come fossero una piccola collinetta, per stare un po’ comodo. Gli umani avevano un corpo davvero molle alle volte, gli angeli erano sempre in ottima forma fisica.
Sandalphon fece un sospirò. Akrasiel non era proprio uno di quelli con cui voleva combattere.
on potevano venire dai banner del suo blog di fumetti, non ho mai visto lavori peggiori. Una lovestory tra una studentessa Protone e il suo senpai Positrone? Chi lo leggerebbe? … Beh, io, ma non centra nulla. Io ho pessimo gusto.
Solitamente si concludeva con Sahaquiel che si doveva ritirare per riportare a casa Ramiel che, in preda a una crisi isterica, lanciava la scacchiera dalla finestra alla prima sconfitta.
In quel caso specifico si trattava di un incontro con un suo buon amico. La loro amicizia era nata per caso, non lavoravano per lo stesso dio e spesso si recavano al circolo in momenti diversi per divertirsi in modo diverso, uno amava guardare qualche libro di criptozoologia, l’altro i libri di giurisprudenza, ma grazie ad un fidanzamento. Sandalphon era l’angelo personale di Giustizia, Akrasiel di Coraggio. C’è una certa ironia nel fatto che Akrasiel fosse proprio l’Angelo della Giustizia, non credete?
Sandalphon mosse il pedone in avanti di due caselle, stavano giocando da circa tre ore, nessuno stava superando l’altro. Akrasiel soffiò su un ciuffo di capelli castano ramati fastidioso che gli impediva di vedere bene, provava un certo orgoglio per essi. Da quel punto di vista era più vanesio dell’Angelo dell’Ingegno.
<< Allora, cosa fai ora che siamo, come dire, in cassa integrazione?>>
<< In cosa?>> Domandò il secondo confuso.
<< Cassa integrazione, è una cosa degli umani. Non lavori per problemi della compagnia, ma ti pagano seppur di meno.>>
<< … Al momento non sto facendo nulla di particolare. Non mi è mai capitato di non ricevere ordini dalla mia dea. Mi limito a miei doveri di base. Tu, invece, cosa fai ora che Giustizia è morto?>>
Sandalphon mosse nuovamente il pedone. << Ora gioco con un mio amico. Dopo si vedrà.>>
Akrasiel rimase un po’ infastidito di come prendesse la vita con tale leggerezza, era quasi sconcertante che potesse essere considerato quasi al livello di un membro dell’Ordine Angelico. Se non lo avesse visto all’opera non ci avrebbe mai creduto. La sua potenza era sbalorditiva, si dicesse potesse uccidere cento creature malvagie senza nemmeno muoversi dalla sua postazione.
Ma era una bugia. Poteva ucciderne mille senza muoversi.
Sandalphon doveva aver preso quel suo modo di fare rilassato dal suo dio. Non era un lavativo come lo era stato Lucifero che preferiva passare le sue giornate libere a divertirsi o come Ramiel che non riusciva nemmeno a capire cose semplicissime, lui otteneva il massimo risultato col minimo sforzo.
Il suo obiettivo era esaminare la fauna e la fauna marina? Si prendeva una giornata al mare in modo da divertirsi, vedere gli animali e le piante della zona, controllare il loro stato di salute, fare qualche foto e tornare a casa sia con un rapporto che con una tintarella.
Aveva anche sviluppato ottime dote di rapporto con gli altri, forse perché più che un assistente per Giustizia era un babysitter durante le sue fughe in giro ad “aiutare i mortali”.
Era l’angelo ideale. Erano ancora in molti a chiedersi come mai Gabriel e Tabris non gli avessero fatto la proposta di entrare nell’Ordine Angelico, sarebbe potuto essere classificato come “Gran Maestro degli Scudi”. Certo, non avrebbero resistito alle tecniche di spade dell’Angelo del Fuoco, ma considerando che apparteneva solo alla classe dei Principati della Terza Sfera, una delle più basse, aveva ancora margini di miglioramento. Un Arcangelo aveva la possibilità di appartenere comunque a una sfera maggiore e sottoclassificarsi come Trono o persino Serafino. Le legislazioni angeliche sono un terribile casino, nessuno si è ancora preso la briga di mettere tutto al suo posto ai temi di questa storia.
Qualcuno, vi prego, si dia da fare. Ho delle scartoffie che arrivano fino al soffitto, uso quelli di agraria per non far sbattere la porta.
Akrasiel spostò nuovamente la solita fastidiosa ciocca dalla faccia e spostò la sua pedina per l’ennesima volta sbuffando infastidito. Aveva ricevuto lo scacco matto al suo Imperatore Nero facendo l’unica mossa che l’avversario gli aveva lasciato possibile. Erano un po’ come Morte e Tempo quando giocavano, ma almeno qui lo scontro era equilibrato.
<< Dimmi, Akrasiel, non mi hai invitato solo per giocare con te, vero?>>
<< In effetti è così.>> Frugò sotto di lui in cerca di qualcosa, per l’altro angelo era una scena un po’ imbarazzante. Non vi ho accennato la loro sede di gioco, vero?
Il luogo era il Novecentottantasettemilesimo Mondo, amichevolmente chiamato il Mondo dei Bastardi. Non erano ancora abbastanza incasinati per essere considerati un Mondo da cancellare, avevano comunque un sistema politico funzionante e delle regole da rispettare. Niente attacco ai civili, combattimento solo in determinate zone, si poteva prendere l’oro dai cadaveri dei nemici e cose simili.
In quel dato caso si trovavano nelle piane di Antroni, un luogo dove i mercenari si riunivano per dare un’occhiata alla situazione. Le regole di civile, chiamiamola così, convivenza erano state scritte giurandole sulla Dea Coraggio e sul Dio Giustizia, gli abitanti di quel modo davano un grosso peso all’onore. Un po’ meno i mercenari, loro uccidevano e derubavano chiunque, andavano contro le regole.
“Abilità Congiunta di Coraggio e Giustizia: Contratto Eterno, Punizione Perpetua.”
Si tratta di una specie di contratto verbale dell’anima, giurando sul nome delle due divinità si stipulava un accordo che non poteva essere infranto. I termini dell’accordo venivano incisi a forza nell'anima del contraente o in coloro che si trovavano nella zona in cui era stato stipulato se fatto da due sovrani di quelle terre.
Gli individui che infrangevano le regole scelte pur essendone a conoscenza venivano puniti. Coloro che non ne erano a conoscenza si limitavano ad essere avvertiti.
Chi infrangeva deliberatamente il contratto era condannato al giudizio di Akrasiel, angelo della giustizia e servitore del coraggio.
Akrasiel: Arcangelo di giustizia, armonia, equità, parola e redenzione, ma anche di vendetta. Colui che punisce chi trasgredisce le leggi degli dei.
Essere col libero accesso al potere chiamato “Fallen in Gehenna”. Si trattava di un’abilità dimensionale di livello sconosciuto. Qualsiasi creatura con abbastanza esperienza e studio era in grado di creare dimensioni tascabili, ma nel suo caso si trattava di un vero e proprio Mondo in miniatura. Si trattava di una piccola riproduzione della Parata mista al Regno degli Ashura e all’Inferno.
La faccio più semplice, il panorama che osservavano era in tutto e per tutto uguale a quello dell’Inferno che i cristiani immaginano, con valli di lava e fuoco, costretti a combattere tra i loro sino alla rottura delle ossa e allo spappolamento degli organi. Chi moriva resuscitava solo per trasformarsi lentamente in un bambolotto come quelli che suonavano nella Parata.
Alla fine, quando Akrasiel lo decideva, si tramutavano in polvere per ascendere al giardino di Morte. La punizione peggiore era che, a differenza dei loro colleghi nella vera Parata, loro restano coscienti sino alla fine.
Tradire la promessa fatta ad un dio non è mai una buona cosa.
<< Ho una questione per te, che ne diresti se ti dicessi che è comparso qualcuno che ha resistito al mio “Fallen in Gehenna”?>>
<< Direi che è assurdo. Il tuo potere è stato creato da due divinità, solo chi è stato benedetto da Eternità può resistergli. Persino io verrei attirato e costretto allo scontro.>>
<< Immaginavo avresti risposto così, ma è la verità.>> Ammise cominciando a mettere al loro posto i vari pezzi dentro il cassettino della scacchiera portatile e, finito ciò, si alzò con calma dal suo posto.
<< E chi sarebbe questo talento in grado di resistere al tuo immenso potere?>>
<< Un umano.>>
Sandalphon sgranò gli occhi, sapeva che gli umani erano capaci di azioni sorprendenti, ma questo superava i suoi standard. Si sarebbe fatto raccontare tutto appena tornati a casa, magari davanti a una bevanda calda. << Ah, sei sicuro di volerli lasciare così?>>
L’altro non si girò nemmeno verso il posto che gli aveva fatto da sedia. << Sì, almeno eviteranno di creare problemi, dovrebbero ringraziarmi.>>
I corpi insanguinati e doloranti di criminali svenuti erano stati accatastati da lui uno sopra l’altro, come fossero una piccola collinetta, per stare un po’ comodo. Gli umani avevano un corpo davvero molle alle volte, gli angeli erano sempre in ottima forma fisica.
Sandalphon fece un sospirò. Akrasiel non era proprio uno di quelli con cui voleva combattere.
Capitolo Nero: Il Disperato
Era imprigionato in quelle segrete da quanti anni? A giudicare dalle volte che il sole era sorto e calato dovevano esserne passati minimo dieci, volendo stare stretti.
Aveva sempre avuto problemi con gli anni bisestili.
Con il passare del tempo si aspettava che le sua braccia potessero passare per le manette che lo incatenavano al muro, invece restavano atletiche e forti. Dovevano aver continuato a drogare il suo cibo per tutto quel tempo.
Aveva tentato a dislocarsi alcune parti del corpo, ma non aveva funzionato.
Il vitto e alloggio non erano male, i camerieri anche, forse il servizio in camera arrivava un po’ troppo in ritardo ogni tanto. Voleva le sue frustate quotidiane alle 11:00, non alle 11:15, altrimenti non era abbastanza in ordine per quando andavano a rompergli le ossa delle gambe.
Non gli piaceva che i suoi carcerieri lo credessero un maleducato.
<< Quel tipo mi inquieta.>>
Oh le guardie avevano iniziato a parlare? Erano un buon svago dalla monotonia.
Avevano sempre una buona parola per lui. Così dolci.
<< Qualsiasi cosa facciamo lui è felice. Lo frustiamo? Ride! Gli rompiamo ossa? Sbava! Sembra che gli piaccia il dolore!>>
Avrebbe voluto dire qualcosa, ma non voler far uscire la voce. Non ne aveva la voglia di consumare calorie con quello sforzo inutile.
Che peccato.
<< Lui è un masochista, gode nel soffrire.>>
<< Allora a che pro torturarlo? Non sarebbe meglio restare lì e basta?>>
<< Il capo torturatore è un sadico figlio di puttana, mi pare palese. Un sadico e un masochista, una bella combinazione, eh?>>
Già, una combinazione davvero interessante.
Quando era stato arrestato era di una tranquillità allarmante nonostante le imputazioni che pendevano sulla sua testa. Una serie di crimini che avrebbe raggelato anche il peggiore dei criminali.
Trentasei omicidi, ottantadue tentati omicidi, cinquantadue rapine a mano armata, centocinque risse, settantadue lesioni personali gravi, nove attentati terroristici, sedici torture e un paio di crimini contro il governo.
Avevano tentato di condannarlo a morte, ma ogni volta che lo facevano lui riusciva, in un modo o nell’altro, a sopravvivere. La sedia elettrica aveva avuto il solo risultato di fargli un massaggio, il rogo si era limitato ad abbronzarlo, ghigliottina o ascia si erano spezzate sul suo collo, il veleno non aveva avuto effetto, era rimasto appeso al cappio per due giorni prima di lamentarsi di un torcicollo. Avevano quindi deciso di dargli ergastolo e torture sino a quando non sarebbe morto di fatica, dolore o di morte naturale.
Una pessima scelta, ogni tortura lo portava solo a godere sempre di più. Per lui soffrire era solo un piacere che chiunque avrebbe dovuto provare.
Ma fermiamoci qui per un secondo.
Non crediate che quest’uomo sia uno di quegli psicopatici che si divertono a fare male agli altri. No, lui è una è una persona normale a tutti gli effetti.
Non tanto diverso a voi, me o da un vostro familiare.
Ha persone che ama, amici, nemici, un hobby, un programma preferito, un tipo di donna, un libro che si diverte a leggere, un cibo amato e uno odiato, ecc. Non avevano nulla di strano da chiunque altro, era una di quelle persone che lavoravano per portare a casa il pane.
Allora come era finito così?
Tutto, amici miei, dipende da contesto in cui si trovava. Ribaltiamo immediatamente i capi di imputazioni aggiungendo ciò che l’accusa ha volontariamente omesso in collaborazione con giudice, giuria e avvocato della difesa.
Trentasei omicidi di criminali ricercati a livello internazionale.
Ottantadue tentati omicidi di altrettanti criminali come sopra.
Cinquantadue rapine a mano armata in banche conosciute per i loro tassi di interesse fraudolenti e la loro tendenza a divorare i guadagni dei ceti più poveri della società.
Centocinque risse causate nel tentativo di evitare rapimenti.
Settantadue le lesioni personali collegate ai casi di sopra.
Nove attentati contro governo dittatoriale dalla facile condanna a morte.
Sedici torture contro condannati ad atti di violenza sessuale che erano stati assolti per “mancanza di prove”.
I crimini contro il governo erano per soddisfazione personale.
Da un punto di vista era una specie di eroe. Più o meno. Un eroe particolarmente violento e sadico.
Questa è una delle cose verso cui provo più interesse, il modo in cui delle semplici affermazioni possano essere ribaltate aggiungendo poche, ma importanti, informazioni.
Inutile che vi dica che “nell’imparziale giura” fossero presenti alcune delle sue numerose vittime, tutti hanno diritto a un equo processo… scusate, non riesco a scriverlo senza ridere.
Nell’essere stato arrestato l’unico fastidio che stava provando era la sua barba, i capelli erano belli, ma la barba… era dannatamente fastidiosa. Non gli permettevano di avvicinarsi a una lama o un rasoio fuori dalla tortura.
Mosse un po’ il collo per rilassarlo, aveva tutti i muscoli in tensione. Ecco, i cuscini erano una delle cose che più gli mancavano della libert… mhhhh?
Cominciò a sentire strani rumori e un odore che gli pizzicava il naso. Era familiare… ma certo. Rumore di proiettili e di passi, odore di polvere da sparo e di sangue.
Qualcuno era entrato in prigione? Sapeva di gente che voleva uscirne, mai di gente che voleva entrare.
Strano che non sentisse molto bene i passi dell’intruso, ma sentiva le espressioni di piacere dei morti.
Continuò con i suoi passi negli stivali bianco incollati alla sua pelle, faceva passi leggeri e aggraziati.
Nessuno dei proiettili riusciva ferirlo, si limitavano a bloccarsi qualche secondo prima per poi tornare al mittente uccidendoli. Era come se l’aria stessa li bloccasse, quell’intruso non stava facendo nulla a prima vista, si limitava a camminare tranquillo.
Non amava fare del male agli altri, ma questo era un caso a parte. E poi ogni morte da lui causata non provocava urla di dolore, ma piacere, di gioia. Un tale piacere che attraversava ogni nervo del corpo.
Alzo le braccia bianche e ricoperte dall'armatura e causò altri morti, aveva troppa fretta per permettersi altre distrazioni. Aveva un orario da rispettare, anche era uno che ci teneva. Al mezzogiorno avrebbe dovuto servire il pranzo al suo signore, un po’ di ritardo non lo avrebbe irritato, era molto comprensivo,ma per lui era il principio che contava.
<< La Quarta Sephiroth: Chessed. La Benevolenza.>>
Continuò ad andare avanti facendosi strada tra i cadaveri da lui stesso creati. Quella era una missione ufficiale.
Raggiunta la porta la apri semplicemente tirando la maniglia arrugginita, come se fosse sempre stata aperta.
Il giovane guardò la figura ricoperta dall'armatura bianca dinanzi a lui, era un metallo che non aveva mai visto, nemmeno nei libri o in televisione.
Sembrava lucida, ma era visibilmente resistente, allo stesso tempo era palesemente fusa alla pelle del corpo.
Era un nuovo tipo di arma biologica? Se così fosse come avevano raggiunto un simile livello di evoluzione scientifica in dieci anni?
<< Tu chi sei? Un ribelle?>> Domandò annoiato.
<< La ribellione che abbatterà il governo attuale inizierà tra circa una settimana. Io sono qui per te. Sai chi sono?>>
Lo fissò confuso, come faceva a saperlo?
Non lo aveva mai visto. Non era un indovino.
<< E dire che tu appartenevi alla fede cristiana. Sono qui per portarti la lieta novella.>> Aprì le sue ali di luce avvolgendo tutta la stanza, l’altro rimase sconvolto. << Onorato di fare la tua conoscenza, io sono l’Arcangelo Gabriel.>>
<< Santo Cielo. Letteralmente. Stai per dirmi che sono incinto?>>
<< …N… non hai un utero, è biologicamente impossibile.>>
<< E tu sei agli ordini di Dio, credo che abbiamo ormai sforato nell’impossibile.>>
<< Anche questo è vero. Io sono qui per proporti un lavoro.>>
Dal basso verso l’alto lo guardo ancora più confuso, un lavoro? Dio voleva proporgli un lavoro? Che lavoro poteva offrirgli il grande capo?
<< E cosa ci guadagno?>>
Gabriel si avvicinò alla sua testa, poi, con le dita di entrambi le mani, la toccò.
Fu come investito da una fitta di dolore e piacere in una vola sola, non aveva mai provato una cosa di simile.
In genere una persona normale sarebbe morta all’istante solo per il contatto con una delle Sephiroth, era fortunato di conoscere inconsciamente il Craft e che il potere fosse stato limitato al minimo. Già, il Craft. Se non lo avesse conosciuto non sarebbe riuscito a resistere sino a quel momento.
Alcuni individui particolarmente dotati sono in grado di utilizzarlo nonostante non conoscano neppure la sua esistenza, lo dico sempre. Gli umani sono pieni di sorprese inaspettate. Fanno tutto ciò che è possibile per sopravvivere e per sopperire alle loro debolezze.
<< Questo è solo un briciolo del dolore che potresti subire se mi seguirai. Sarai uno dei Quattro cavalieri dell’Apocalisse, il Cavaliere della Disperazione>> Spezzò le catene ai suoi polsi. << Se ti rifiuti allora puoi andare dove vuoi, sei libero, non abbiamo problemi.>>
Si alzò come se non avesse mai passato anni semi-paralizzato, pronto a seguirlo.
Uscirono dalla cella come nulla fosse.
<< E dimmi, Gabriel, che tipo è Dio?>>
<< Sua Eccellenza Eternità? Lui ama tutto ciò che è coccoloso.>>
<< Che dio adorabile.>>
Aveva sempre avuto problemi con gli anni bisestili.
Con il passare del tempo si aspettava che le sua braccia potessero passare per le manette che lo incatenavano al muro, invece restavano atletiche e forti. Dovevano aver continuato a drogare il suo cibo per tutto quel tempo.
Aveva tentato a dislocarsi alcune parti del corpo, ma non aveva funzionato.
Il vitto e alloggio non erano male, i camerieri anche, forse il servizio in camera arrivava un po’ troppo in ritardo ogni tanto. Voleva le sue frustate quotidiane alle 11:00, non alle 11:15, altrimenti non era abbastanza in ordine per quando andavano a rompergli le ossa delle gambe.
Non gli piaceva che i suoi carcerieri lo credessero un maleducato.
<< Quel tipo mi inquieta.>>
Oh le guardie avevano iniziato a parlare? Erano un buon svago dalla monotonia.
Avevano sempre una buona parola per lui. Così dolci.
<< Qualsiasi cosa facciamo lui è felice. Lo frustiamo? Ride! Gli rompiamo ossa? Sbava! Sembra che gli piaccia il dolore!>>
Avrebbe voluto dire qualcosa, ma non voler far uscire la voce. Non ne aveva la voglia di consumare calorie con quello sforzo inutile.
Che peccato.
<< Lui è un masochista, gode nel soffrire.>>
<< Allora a che pro torturarlo? Non sarebbe meglio restare lì e basta?>>
<< Il capo torturatore è un sadico figlio di puttana, mi pare palese. Un sadico e un masochista, una bella combinazione, eh?>>
Già, una combinazione davvero interessante.
Quando era stato arrestato era di una tranquillità allarmante nonostante le imputazioni che pendevano sulla sua testa. Una serie di crimini che avrebbe raggelato anche il peggiore dei criminali.
Trentasei omicidi, ottantadue tentati omicidi, cinquantadue rapine a mano armata, centocinque risse, settantadue lesioni personali gravi, nove attentati terroristici, sedici torture e un paio di crimini contro il governo.
Avevano tentato di condannarlo a morte, ma ogni volta che lo facevano lui riusciva, in un modo o nell’altro, a sopravvivere. La sedia elettrica aveva avuto il solo risultato di fargli un massaggio, il rogo si era limitato ad abbronzarlo, ghigliottina o ascia si erano spezzate sul suo collo, il veleno non aveva avuto effetto, era rimasto appeso al cappio per due giorni prima di lamentarsi di un torcicollo. Avevano quindi deciso di dargli ergastolo e torture sino a quando non sarebbe morto di fatica, dolore o di morte naturale.
Una pessima scelta, ogni tortura lo portava solo a godere sempre di più. Per lui soffrire era solo un piacere che chiunque avrebbe dovuto provare.
Ma fermiamoci qui per un secondo.
Non crediate che quest’uomo sia uno di quegli psicopatici che si divertono a fare male agli altri. No, lui è una è una persona normale a tutti gli effetti.
Non tanto diverso a voi, me o da un vostro familiare.
Ha persone che ama, amici, nemici, un hobby, un programma preferito, un tipo di donna, un libro che si diverte a leggere, un cibo amato e uno odiato, ecc. Non avevano nulla di strano da chiunque altro, era una di quelle persone che lavoravano per portare a casa il pane.
Allora come era finito così?
Tutto, amici miei, dipende da contesto in cui si trovava. Ribaltiamo immediatamente i capi di imputazioni aggiungendo ciò che l’accusa ha volontariamente omesso in collaborazione con giudice, giuria e avvocato della difesa.
Trentasei omicidi di criminali ricercati a livello internazionale.
Ottantadue tentati omicidi di altrettanti criminali come sopra.
Cinquantadue rapine a mano armata in banche conosciute per i loro tassi di interesse fraudolenti e la loro tendenza a divorare i guadagni dei ceti più poveri della società.
Centocinque risse causate nel tentativo di evitare rapimenti.
Settantadue le lesioni personali collegate ai casi di sopra.
Nove attentati contro governo dittatoriale dalla facile condanna a morte.
Sedici torture contro condannati ad atti di violenza sessuale che erano stati assolti per “mancanza di prove”.
I crimini contro il governo erano per soddisfazione personale.
Da un punto di vista era una specie di eroe. Più o meno. Un eroe particolarmente violento e sadico.
Questa è una delle cose verso cui provo più interesse, il modo in cui delle semplici affermazioni possano essere ribaltate aggiungendo poche, ma importanti, informazioni.
Inutile che vi dica che “nell’imparziale giura” fossero presenti alcune delle sue numerose vittime, tutti hanno diritto a un equo processo… scusate, non riesco a scriverlo senza ridere.
Nell’essere stato arrestato l’unico fastidio che stava provando era la sua barba, i capelli erano belli, ma la barba… era dannatamente fastidiosa. Non gli permettevano di avvicinarsi a una lama o un rasoio fuori dalla tortura.
Mosse un po’ il collo per rilassarlo, aveva tutti i muscoli in tensione. Ecco, i cuscini erano una delle cose che più gli mancavano della libert… mhhhh?
Cominciò a sentire strani rumori e un odore che gli pizzicava il naso. Era familiare… ma certo. Rumore di proiettili e di passi, odore di polvere da sparo e di sangue.
Qualcuno era entrato in prigione? Sapeva di gente che voleva uscirne, mai di gente che voleva entrare.
Strano che non sentisse molto bene i passi dell’intruso, ma sentiva le espressioni di piacere dei morti.
Continuò con i suoi passi negli stivali bianco incollati alla sua pelle, faceva passi leggeri e aggraziati.
Nessuno dei proiettili riusciva ferirlo, si limitavano a bloccarsi qualche secondo prima per poi tornare al mittente uccidendoli. Era come se l’aria stessa li bloccasse, quell’intruso non stava facendo nulla a prima vista, si limitava a camminare tranquillo.
Non amava fare del male agli altri, ma questo era un caso a parte. E poi ogni morte da lui causata non provocava urla di dolore, ma piacere, di gioia. Un tale piacere che attraversava ogni nervo del corpo.
Alzo le braccia bianche e ricoperte dall'armatura e causò altri morti, aveva troppa fretta per permettersi altre distrazioni. Aveva un orario da rispettare, anche era uno che ci teneva. Al mezzogiorno avrebbe dovuto servire il pranzo al suo signore, un po’ di ritardo non lo avrebbe irritato, era molto comprensivo,ma per lui era il principio che contava.
<< La Quarta Sephiroth: Chessed. La Benevolenza.>>
Continuò ad andare avanti facendosi strada tra i cadaveri da lui stesso creati. Quella era una missione ufficiale.
Raggiunta la porta la apri semplicemente tirando la maniglia arrugginita, come se fosse sempre stata aperta.
Il giovane guardò la figura ricoperta dall'armatura bianca dinanzi a lui, era un metallo che non aveva mai visto, nemmeno nei libri o in televisione.
Sembrava lucida, ma era visibilmente resistente, allo stesso tempo era palesemente fusa alla pelle del corpo.
Era un nuovo tipo di arma biologica? Se così fosse come avevano raggiunto un simile livello di evoluzione scientifica in dieci anni?
<< Tu chi sei? Un ribelle?>> Domandò annoiato.
<< La ribellione che abbatterà il governo attuale inizierà tra circa una settimana. Io sono qui per te. Sai chi sono?>>
Lo fissò confuso, come faceva a saperlo?
Non lo aveva mai visto. Non era un indovino.
<< E dire che tu appartenevi alla fede cristiana. Sono qui per portarti la lieta novella.>> Aprì le sue ali di luce avvolgendo tutta la stanza, l’altro rimase sconvolto. << Onorato di fare la tua conoscenza, io sono l’Arcangelo Gabriel.>>
<< Santo Cielo. Letteralmente. Stai per dirmi che sono incinto?>>
<< …N… non hai un utero, è biologicamente impossibile.>>
<< E tu sei agli ordini di Dio, credo che abbiamo ormai sforato nell’impossibile.>>
<< Anche questo è vero. Io sono qui per proporti un lavoro.>>
Dal basso verso l’alto lo guardo ancora più confuso, un lavoro? Dio voleva proporgli un lavoro? Che lavoro poteva offrirgli il grande capo?
<< E cosa ci guadagno?>>
Gabriel si avvicinò alla sua testa, poi, con le dita di entrambi le mani, la toccò.
Fu come investito da una fitta di dolore e piacere in una vola sola, non aveva mai provato una cosa di simile.
In genere una persona normale sarebbe morta all’istante solo per il contatto con una delle Sephiroth, era fortunato di conoscere inconsciamente il Craft e che il potere fosse stato limitato al minimo. Già, il Craft. Se non lo avesse conosciuto non sarebbe riuscito a resistere sino a quel momento.
Alcuni individui particolarmente dotati sono in grado di utilizzarlo nonostante non conoscano neppure la sua esistenza, lo dico sempre. Gli umani sono pieni di sorprese inaspettate. Fanno tutto ciò che è possibile per sopravvivere e per sopperire alle loro debolezze.
<< Questo è solo un briciolo del dolore che potresti subire se mi seguirai. Sarai uno dei Quattro cavalieri dell’Apocalisse, il Cavaliere della Disperazione>> Spezzò le catene ai suoi polsi. << Se ti rifiuti allora puoi andare dove vuoi, sei libero, non abbiamo problemi.>>
Si alzò come se non avesse mai passato anni semi-paralizzato, pronto a seguirlo.
Uscirono dalla cella come nulla fosse.
<< E dimmi, Gabriel, che tipo è Dio?>>
<< Sua Eccellenza Eternità? Lui ama tutto ciò che è coccoloso.>>
<< Che dio adorabile.>>
La Guerra Segreta di Akheilos: La Morte di Li-Fai
Akheilos sospirò stanco da sotto la sua maschera da formica. Le udienze del giorno stavano durando anche troppo, gli sembrava di essere seduto su quel trono da anni.
E tutti a chiedere le stesse cose: meno tasse, più servizi, più legalità, meno criminali, miglioramento cittadino. Lui stava facendo tutto il possibile per il Regno di Thule, ma come pretendevano che migliorasse tutto se non volevano pagare; l’economia stava anche andando bene da quando si erano aperti con il resto del mondo.
Stava iniziando a pregare che smettessero. Pregava sé stesso, nella sua mente aveva già preso il posto che gli spettava. Quel ragazzo aveva bisogno di un hobby, non so, aeroplanini, navi in bottiglia, alcolismo o il suicidio. Funzionava bene per Osamu Dazai.
<< S… signore!>> Un soldato interruppe il cittadino che stava parlando, la sua lancia tremava tra le mani. << Perdoni i… il disturbo, ma lord B… Brettone la desidera urgentemente!>>
Avrebbe dato una fantastica gratifica natalizia a quel soldato, per la loro versione del Natale almeno.
Chiese perdono a coloro che stavano attendendo il proprio turno, ma Brettone lo aveva mandato a chiamare. Quell’uomo era talmente anziano che c’erano serie possibilità che morisse di vecchiaia, cosa decisamente difficile per uno nella loro comune condizione.
<< Perché tremi?>>
<< E… ecco, signore! L… lord Brettone e… era piuttosto agitato!>>
<< Calmati.>> Il suo tono era decisamente gentile. << Puoi andare a riposarti… Francis, giusto?>>
<< Onorato che si ricordi di me, s… signore!>>
<< Ricordo il nome di ognuno di voi, è una forma di rispetto.>>
Lo lasciò indietro in completa ammirazione, il re precedente si limitava a chiamarli “coso uno”, “coso due” e così via. Mai colpo di stato fu bene accettato dal popolo.
Continuò fino a quando non trovò l’altro davanti alla porta della stanza di Li-Fai, poteva avvertire la tensione anche da sotto quella maschera da pesce. Cosa diamine era successo? Li-Fai, così come Sophie, non sopportava che qualcuno si piazzasse fuori dalla sua camera.
Dalla porta uscì un uomo, nonostante la mascherina medica sul volto riconobbe che era uno della scientifica. Altre due persone, vestite nel medesimo modo, stavano mostrando a Brettone delle foto discutendo.
<< Cosa sta succedendo?>>
<< Akheilos, sei arrivato in fretta. Ho pessime notizie.>> Strinse forte il manico del suo bastone. << Qualcuno nottetempo si è introdotto nel castello e ha ucciso Li-Fai. La squadra scientifica sta facendo i rilevamenti, ho impedito agli altri di entrare.>>
Akheilos sgranò gli occhi rugosi. E, ignorando tutto, entrò nella stanza trovando dinanzi a un panorama orrorifico. Se non ci fosse stato abituato, avrebbe vomitato nella sua stessa maschera.
Il corpo del suo amico era stato appeso al muro per le mani, in cui erano trapassate da due grossi paletti di oricalco, idem i suoi piedi e tenuti uniti, quasi tentasse di fargli impersonare Cristo in croce. La sua faccia era stata strappata via in modo perfetto, si era preso tutto il tempo per farlo, poteva benissimo vedere i muscoli irrigiditi dal rigor mortis. Come ultimo sfregio al morto, gli aveva strappato gli organi interni e ordinati per fare una scritta capeggiata dalla sua maschera.
<< Ha scritto qualcosa, ma non so cosa significhi. Un messaggio dell'assassino.>>
<< Questa è la lingua delle divinità. “Aramath Gareshi… shumaratasha…” dannazione, è una presa per il culo?>>
<< Akheilos, cosa c’è scritto?>>
<< “Aramath Gareshi shumaratasha yuwery etra senifu garathasha Akheilos mugarata querta genrwora”. Tradotto nella nostra lingua significa “L’Uomo Nero porta i suoi omaggi al nobile re Akheilos nella speranza che il dono di amicizia e pace lo soddisfi.”>>
Non c’era bisogno di un genio per intuire la rabbia che si stava scorrendo in corpo, se non l’avesse scaricata presto qualcuno si sarebbe fatto davvero molto male. Non importava chi, dipendeva solo dallo sciocco che si sarebbe messo sul suo cammino quel giorno.
<< Fai preparare un funerali con tutti gli onori, non baderò a spese, Brettone.>>
Annuì facendo muovere la lunga barbetta che usciva dalla maschera da celacanto, era sorprendente come loro, nonostante gli anni passati, continuassero a provare dolore per una morte. Forse era questo che alla fine li rendeva ancora esseri umani.
Avevano visto morire migliaia di persone a loro care col passare dei secoli, eppure questo sentimento non si era mai attenuato. Ah, il dolore. Che sentimento interessante.
Il membro più anziano dell’Unione si diresse falsamente calmo dall’altro lato del corridoio continuando a fissare le foto che ritraevano il cadavere del loro compagno cinese caduto. Quella scritta tradotto dal suo re non aveva senso, tutto quello sforzo per una semplice presa in giro? Era una spese di energia decisamente spropositata per un intento simile.
Bussò a una porta con la mano libera.
<< Sophie, posso entrare?>>
<< Non ho la maschera, dammi un attimo, Brettone.>>
Quando la ragazza aprì aveva un tono di voce stanco, doveva essere a letto. Avrebbe dovuto sopportare, come il gentiluomo che era, le sue lamentele per averla disturbata nel suo giorno libero.
<< Cosa è succ...>>
<< Li-Fai è stato ucciso dall’Uomo nero.>>
Rimasero fermi l’uno dinanzi a l’altro per qualche secondo.
<< Ti offro un tè, entra.>>
Contemporaneamente le notizie erano giunte anche alle orecchie di Vertigo e Diederich, si erano palesemente agitati alla notizie che qualcuno fosse riuscito ad introdursi nel palazzo senza che nessuno sentisse o vedesse nulla.
Vertigo aveva avuto il compito di distribuire le guardie di sicurezza nelle varie parti del castello, si era impegnato per non lasciare nessun punto cieco, fino a quel momento era stato un team perfetto. Non era da ritenersi sua la colpa.
Diederich aveva invece selezionato i soldati migliori per quel compito, i migliori che l’Accademia Reale potesse dare. Non poteva essere nemmeno colpa sua.
<< Vertigo, non potrebbe essere stato uno di loro?>>
<< Non è possibile, Diederich.>> Agitò una mano. << Non avrebbero motivo, uccidere le divinità sarebbe un vantaggio anche per loro. E poi sono sigillati.>>
<< Forse hai ragione.>>
Una donna, seduta a un tavolino stava soffiando su una tazza di caffè bollente. Non era ancora abituata ai cibi umani, ma se l’Uomo Nero lo amava così tanto non doveva essere male.
Bevve un sorso. Che schifo, era amaro.
<< Se non ti piace nero puoi berlo anche zuccherato.>>
Lupus in fabula. L’Uomo Nero spostò una sedia libera e si sedette accanto a lei, ormai quel bar era un ottimo posto per incontrare la sua famiglia.
<< Sei in ritardo, come mai?>>
<< Ho lasciato un messaggio per re Akheilos. Chi sa se lo ha letto.>>
<< Quale?>> Era curiosa. L’uomo rise, era così “umana”. Davvero splendida.
<< “L’Uomo Nero invita sua altezza Akheilos a non dargli fastidio o riceverà altri regali del genere.”, un consiglio semplice ed efficace.>> Lo disse con leggerezza agghiacciante. << Ti va un caffellatte? Per me ti piacerebbe.>>
<< Se è dolce va benissimo, sono stanca di cibo amaro.>>
E tutti a chiedere le stesse cose: meno tasse, più servizi, più legalità, meno criminali, miglioramento cittadino. Lui stava facendo tutto il possibile per il Regno di Thule, ma come pretendevano che migliorasse tutto se non volevano pagare; l’economia stava anche andando bene da quando si erano aperti con il resto del mondo.
Stava iniziando a pregare che smettessero. Pregava sé stesso, nella sua mente aveva già preso il posto che gli spettava. Quel ragazzo aveva bisogno di un hobby, non so, aeroplanini, navi in bottiglia, alcolismo o il suicidio. Funzionava bene per Osamu Dazai.
<< S… signore!>> Un soldato interruppe il cittadino che stava parlando, la sua lancia tremava tra le mani. << Perdoni i… il disturbo, ma lord B… Brettone la desidera urgentemente!>>
Avrebbe dato una fantastica gratifica natalizia a quel soldato, per la loro versione del Natale almeno.
Chiese perdono a coloro che stavano attendendo il proprio turno, ma Brettone lo aveva mandato a chiamare. Quell’uomo era talmente anziano che c’erano serie possibilità che morisse di vecchiaia, cosa decisamente difficile per uno nella loro comune condizione.
<< Perché tremi?>>
<< E… ecco, signore! L… lord Brettone e… era piuttosto agitato!>>
<< Calmati.>> Il suo tono era decisamente gentile. << Puoi andare a riposarti… Francis, giusto?>>
<< Onorato che si ricordi di me, s… signore!>>
<< Ricordo il nome di ognuno di voi, è una forma di rispetto.>>
Lo lasciò indietro in completa ammirazione, il re precedente si limitava a chiamarli “coso uno”, “coso due” e così via. Mai colpo di stato fu bene accettato dal popolo.
Continuò fino a quando non trovò l’altro davanti alla porta della stanza di Li-Fai, poteva avvertire la tensione anche da sotto quella maschera da pesce. Cosa diamine era successo? Li-Fai, così come Sophie, non sopportava che qualcuno si piazzasse fuori dalla sua camera.
Dalla porta uscì un uomo, nonostante la mascherina medica sul volto riconobbe che era uno della scientifica. Altre due persone, vestite nel medesimo modo, stavano mostrando a Brettone delle foto discutendo.
<< Cosa sta succedendo?>>
<< Akheilos, sei arrivato in fretta. Ho pessime notizie.>> Strinse forte il manico del suo bastone. << Qualcuno nottetempo si è introdotto nel castello e ha ucciso Li-Fai. La squadra scientifica sta facendo i rilevamenti, ho impedito agli altri di entrare.>>
Akheilos sgranò gli occhi rugosi. E, ignorando tutto, entrò nella stanza trovando dinanzi a un panorama orrorifico. Se non ci fosse stato abituato, avrebbe vomitato nella sua stessa maschera.
Il corpo del suo amico era stato appeso al muro per le mani, in cui erano trapassate da due grossi paletti di oricalco, idem i suoi piedi e tenuti uniti, quasi tentasse di fargli impersonare Cristo in croce. La sua faccia era stata strappata via in modo perfetto, si era preso tutto il tempo per farlo, poteva benissimo vedere i muscoli irrigiditi dal rigor mortis. Come ultimo sfregio al morto, gli aveva strappato gli organi interni e ordinati per fare una scritta capeggiata dalla sua maschera.
<< Ha scritto qualcosa, ma non so cosa significhi. Un messaggio dell'assassino.>>
<< Questa è la lingua delle divinità. “Aramath Gareshi… shumaratasha…” dannazione, è una presa per il culo?>>
<< Akheilos, cosa c’è scritto?>>
<< “Aramath Gareshi shumaratasha yuwery etra senifu garathasha Akheilos mugarata querta genrwora”. Tradotto nella nostra lingua significa “L’Uomo Nero porta i suoi omaggi al nobile re Akheilos nella speranza che il dono di amicizia e pace lo soddisfi.”>>
Non c’era bisogno di un genio per intuire la rabbia che si stava scorrendo in corpo, se non l’avesse scaricata presto qualcuno si sarebbe fatto davvero molto male. Non importava chi, dipendeva solo dallo sciocco che si sarebbe messo sul suo cammino quel giorno.
<< Fai preparare un funerali con tutti gli onori, non baderò a spese, Brettone.>>
Annuì facendo muovere la lunga barbetta che usciva dalla maschera da celacanto, era sorprendente come loro, nonostante gli anni passati, continuassero a provare dolore per una morte. Forse era questo che alla fine li rendeva ancora esseri umani.
Avevano visto morire migliaia di persone a loro care col passare dei secoli, eppure questo sentimento non si era mai attenuato. Ah, il dolore. Che sentimento interessante.
Il membro più anziano dell’Unione si diresse falsamente calmo dall’altro lato del corridoio continuando a fissare le foto che ritraevano il cadavere del loro compagno cinese caduto. Quella scritta tradotto dal suo re non aveva senso, tutto quello sforzo per una semplice presa in giro? Era una spese di energia decisamente spropositata per un intento simile.
Bussò a una porta con la mano libera.
<< Sophie, posso entrare?>>
<< Non ho la maschera, dammi un attimo, Brettone.>>
Quando la ragazza aprì aveva un tono di voce stanco, doveva essere a letto. Avrebbe dovuto sopportare, come il gentiluomo che era, le sue lamentele per averla disturbata nel suo giorno libero.
<< Cosa è succ...>>
<< Li-Fai è stato ucciso dall’Uomo nero.>>
Rimasero fermi l’uno dinanzi a l’altro per qualche secondo.
<< Ti offro un tè, entra.>>
Contemporaneamente le notizie erano giunte anche alle orecchie di Vertigo e Diederich, si erano palesemente agitati alla notizie che qualcuno fosse riuscito ad introdursi nel palazzo senza che nessuno sentisse o vedesse nulla.
Vertigo aveva avuto il compito di distribuire le guardie di sicurezza nelle varie parti del castello, si era impegnato per non lasciare nessun punto cieco, fino a quel momento era stato un team perfetto. Non era da ritenersi sua la colpa.
Diederich aveva invece selezionato i soldati migliori per quel compito, i migliori che l’Accademia Reale potesse dare. Non poteva essere nemmeno colpa sua.
<< Vertigo, non potrebbe essere stato uno di loro?>>
<< Non è possibile, Diederich.>> Agitò una mano. << Non avrebbero motivo, uccidere le divinità sarebbe un vantaggio anche per loro. E poi sono sigillati.>>
<< Forse hai ragione.>>
Una donna, seduta a un tavolino stava soffiando su una tazza di caffè bollente. Non era ancora abituata ai cibi umani, ma se l’Uomo Nero lo amava così tanto non doveva essere male.
Bevve un sorso. Che schifo, era amaro.
<< Se non ti piace nero puoi berlo anche zuccherato.>>
Lupus in fabula. L’Uomo Nero spostò una sedia libera e si sedette accanto a lei, ormai quel bar era un ottimo posto per incontrare la sua famiglia.
<< Sei in ritardo, come mai?>>
<< Ho lasciato un messaggio per re Akheilos. Chi sa se lo ha letto.>>
<< Quale?>> Era curiosa. L’uomo rise, era così “umana”. Davvero splendida.
<< “L’Uomo Nero invita sua altezza Akheilos a non dargli fastidio o riceverà altri regali del genere.”, un consiglio semplice ed efficace.>> Lo disse con leggerezza agghiacciante. << Ti va un caffellatte? Per me ti piacerebbe.>>
<< Se è dolce va benissimo, sono stanca di cibo amaro.>>
La Guerra Segreta di un Uomo Nero: Notte sul Monte Calvo
Fece un applauso gioioso e di saluto, il suo sorriso radioso illuminava la quasi completa oscurità, rischiarata solo dai piccoli soli che tenevano nelle loro mani, che li stava avvolgendo.
Erano tutti attorno a lui formando un cerchio, un sacco di persone vestite di nero e di etnie diverse, ma che davano tutti la medesima sensazione di pericolo e morte.
Ho spesso usato metafore per descrivere quel genere di sensazioni, paragonando a un tirannosauro e un topo tanto per fare un esempio, ma stavolta non credo di poter usare simili metafore. Semplicemente perché nessuno sarebbe mai riuscito a sopravvivere, tentare di provare di sopravvivere e nemmeno pensarlo.
Era come se il male più profondo fosse lì riunito.
<< Fratelli miei e sorelle mie amatissimi.>> L’Uomo Nero, al centro, iniziò a parlare. << Vedo che voi tutti avete trovato un involucro in cui entrare. Qualcuno differente da ciò che mi aspettavo. Vero,Ragno dell’Abisso?>>
Una donna dai capelli neri alzò le spalle scoperte dal vestito da sera. Volle ignorare la battutina del fratello maggiore.
<< Ma non è importante, sapete perché siamo qui? Fatemi fare un momento gli onori di casa. Il mio nome è...>>
<< Sappiamo tutti chi sei, Prediletto tra i Figli!>> Un uomo lo interruppe. Il suo fisico era molto più grande di quello dei suoi fratelli, aveva rubato il corpo a un motociclista di passaggio. Il tapino stava semplicemente viaggiando col suo gruppo, non poteva immaginare che un essere di un altro mondo avrebbe sterminato tutti e divorato le sue viscere per poi indossare il suo cadavere come un vestito nuovo. << Evita di parlare troppo, non siamo stupidi umani da abbindolare con le tue parole da seduttore.>>
<< Scusa, Signore dei Sette Inferni. Hai ragione, parlo troppo, ma, sai, è un momento importante. Volevo organizzare un altro party, ma il castello era occupato per un bar mitzvah e quindi ho dovuto rinunciare. E poi nessuno ha colto i miei sforzi tranne la Regina della Perdizione.>>
Tutti si voltarono per un secondo verso di lei prima di riportare gli occhi su di lui.
Per loro era strano che ben due di loro si interessassero di roba umana era assurdo, ma ben presto gli sarebbero somigliati. L’Uomo sorrise, non aveva idea che stando in un contenitore umano si veniva pian piano contaminati dal virus delle emozioni da loro tanto sgradito, ogni secondo era un secondo in cui diventavano più vicini ai mortali.
Non per nulla lui aveva preferito limitarsi a mutare il proprio aspetto invece di rubare un tramite.
Sarebbe stato uno spettacolino niente male, senza contare che le sue belle parole funzionavano benissimo anche con loro. Si montavano un po’ troppo la testa e le sue paroline degne di un politico candidato alla presidenza erano perfette.
Se si fosse annoiato magari avrebbe potuto diffondere pettegolezzi e astio per farli litigare, sarebbe stato un bel passatempo. Infondo sono le parole a far girare il mondo.
Basta una parola sbagliata per far scoppiare una guerra, basta una parola giusta per stringere un accordo di pace. Basta una parola perfetta per far impazzire qualcuno.
Ah no, non doveva farsi tentare. Forse da un bicchiere pieno di gelato alla stracciatella e menta, ma non dal tormentare i suoi fratelli. La Madre poi si sarebbe lamentata… la Madre… Madre…
<< Ora che ci penso, dove diamine è mamma?>>
<< Rispetto, fratello.>> Commentò il Signore dei Sette Inferni. << La nostra venerabile Madre è impegnata a cercare un metodo che non sia rubare un corpo o trasformarsi in un mortale. Lo trova degradante, se non fossimo stati costretti avremmo fatto lo stesso.>>
<< A me piace.>> Commentò la Regina della Perdizione. La fissarono di nuovo. << Che c’è? È vero, è meno ingombrante.>>
<< Adoro quella donna!>> L’urlo dell’Uomo Nero riportò tutti gli sguardi su di lui. << Dannazione, ha buon gusto! L’unica! Oh, dai, Tessitore della Cripta infondo ha stile. Begli occhiali da sole.>>
Un uomo dai capelli biondo-neri fece un gesto con due dita in segno di ringraziamento. Ma guarda, il primo infetto dal virus.
Però il discorso stava andando in tutta un’altra direzione. Li aveva chiamati per una cosa importante, non per una riunione di famiglia.
Una riunione di famiglia molto imbarazzante. Come tutte.
Da questo punto di vista siamo tutti uguali, umani, divinità, mostri, abbiamo tutti una zia che ti chiede << Quando ti sposi?>> o << La fidanzatina?>> o uno zio che ti chiede << E la scuola?>> << E il lavoro?>>, ti fanno venire voglia di scappare. Ah, nel mio caso c’è solo zia Vita, ma basta è avanza. Tormenta da sola cinque nipoti.
E quando, come per loro, siete, Dio solo sa, chissà quanti fratelli e sorelle è ancora peggio.
Ma chi avrebbe rimesso in ordine le loro oramai disordinate fila?
Se ci avesse pensato lui si sarebbe rovinato l’aria di gentleman. Che fare, che fare?
<< Chiude la vostra stolta bocca e smettete di dire stupidaggini.>> Tutti si azzittirono immediatamente, le parole pronunciate dall’unico uomo vestito di bianco li fecero tremare. La sua autorità era pari a quella della Madre, ma era strano, sino a pochi minuti fa non era presente.
<< Non credevo che sareste venuto.>> L’Uomo Nero fece un inchino di reverenza, gli altri lo seguirono a ruota. << Non sapevo vi foste liberato, nostro nobile zio.>>
<< Ho avuto semplicemente un fato amichevole, il sigillo nel mio Mondo si è indebolito quando questi è stato azzerato dalle sue forme di vita mortali. Ora continua con il tuo discorso iniziale.>>
Rimise dritta la schiena e si mise a frugare dentro il cappotto nero che sempre lo accompagnava quando era fuori casa, quando la trovò si fece serio. Quando lo diventava era un pessimo segno.
Segno che divenne orrendo quando si vide ciò che aveva nascosto. Uno degli oggetti che meno di tutti dovevano finire nelle sue mani: un frammento di una Gemma.
Dove diamine lo aveva preso? Di norma quando un Mondo scompariva con esso spariva anche la Gemma che lo reggeva, il fatto che ne esistesse un frammento era quasi assurdo. A meno che non fosse stato un Grande Dio a salvarne uno.
<< A cosa ci servirà?>>
<< Ragno dell’Abisso, questo frammento contiene il potere di dare la vita alle creature viventi, di generare un intero universo. Un Mondo. Ci serve una casa, una base. Un inizio.>>
<<...>> Lo zio attese. Il suo parere era importante, la loro era una razza fortemente gerarchica. << Approvo, Lui e mia Sorella lo apprezzeranno. In più mio Fratello non potrà vedere in un Mondo creato con il tuo potere, Nipote. Hai la mia benedizione.>>
Oh, wow. Un complimento da suo zio, gli altri stavano di certo rosicando dentro quella cosa che chiamano “anima”. Dai, andiamo, “anima” è una parola grossa. Chiamiamolo surrogato vitale.
L’anima è nata con Eternità e con lui finirà. Chi è nato prima di lui non possiede nulla di simile.
L’Uomo Nero si allontanò dagli latri, uscendo dal cerchio, e camminando verso la pare più profonde delle tenebre. Non portò nemmeno con sé un piccolo sole, anzi, schiacciò quello che aveva creato nel palmo della sua mano come una pallina di vetro.
Calò un silenzio. Lungo. Come quello che c’era prima della nascita dell’universo.
E poi… Luce fu.
Un intero Mondo venne creato in un istante, il primo a calcare l’erba pura di quel posto e raccoglierne un fiore fu il suo creatore e nuovo dio.
Osservò le piante e le nuvole su di esse.
Vide l’acqua nei fiumi che scorreva tranquilla e limpida.
Vide il sole e luna.
E l’Uomo Nero vide che era cosa buona.
Poco dopo fu raggiunto da tutti i suoi fratelli e sorelle e dal nobile zio. Era sorprendente come una creatura come loro potesse creare qualcosa di così bello, purtroppo molti di loro ignoravano il sentimento dello stupore e dell’ammirazione.
<< Un nuovo Mondo è nato, permettetemi di sceglierne il nome, nobile zio, come premio per il mio duro lavoro fatto nel tempo.>> L’altro annuì, il permesso era stato accordato. << Lo desidero chiamare Asharaht.>>
Il nome fu accettato facilmente da tutti. Nessuno però rimase più del necessario, aveva fame, dovevano nutrirsi. Lì non c’era nemmeno un’anima mortale da divorare, si sarebbero dovuti accontentare di qualche stella lontana, quello era terreno di loro fratello nel momento stesso in cui ci mise piede la prima volta.
<< Per te va bene che stia andando così?>> La Regina della Perdizione espose i suoi dubbi.
<< Gli umani hanno un detto sulla divinità che loro venerano, lo conosci?>>
Si avvicinò a lei con in mano il fiore appena raccolto e, con galanteria, lo mise tra i suoi capelli neri facendo attenzione che non cadesse.
<< “Dio non gioca ai dadi.” Sai il motivo? Perché sa già quale risultato uscirà.>>
Erano tutti attorno a lui formando un cerchio, un sacco di persone vestite di nero e di etnie diverse, ma che davano tutti la medesima sensazione di pericolo e morte.
Ho spesso usato metafore per descrivere quel genere di sensazioni, paragonando a un tirannosauro e un topo tanto per fare un esempio, ma stavolta non credo di poter usare simili metafore. Semplicemente perché nessuno sarebbe mai riuscito a sopravvivere, tentare di provare di sopravvivere e nemmeno pensarlo.
Era come se il male più profondo fosse lì riunito.
<< Fratelli miei e sorelle mie amatissimi.>> L’Uomo Nero, al centro, iniziò a parlare. << Vedo che voi tutti avete trovato un involucro in cui entrare. Qualcuno differente da ciò che mi aspettavo. Vero,Ragno dell’Abisso?>>
Una donna dai capelli neri alzò le spalle scoperte dal vestito da sera. Volle ignorare la battutina del fratello maggiore.
<< Ma non è importante, sapete perché siamo qui? Fatemi fare un momento gli onori di casa. Il mio nome è...>>
<< Sappiamo tutti chi sei, Prediletto tra i Figli!>> Un uomo lo interruppe. Il suo fisico era molto più grande di quello dei suoi fratelli, aveva rubato il corpo a un motociclista di passaggio. Il tapino stava semplicemente viaggiando col suo gruppo, non poteva immaginare che un essere di un altro mondo avrebbe sterminato tutti e divorato le sue viscere per poi indossare il suo cadavere come un vestito nuovo. << Evita di parlare troppo, non siamo stupidi umani da abbindolare con le tue parole da seduttore.>>
<< Scusa, Signore dei Sette Inferni. Hai ragione, parlo troppo, ma, sai, è un momento importante. Volevo organizzare un altro party, ma il castello era occupato per un bar mitzvah e quindi ho dovuto rinunciare. E poi nessuno ha colto i miei sforzi tranne la Regina della Perdizione.>>
Tutti si voltarono per un secondo verso di lei prima di riportare gli occhi su di lui.
Per loro era strano che ben due di loro si interessassero di roba umana era assurdo, ma ben presto gli sarebbero somigliati. L’Uomo sorrise, non aveva idea che stando in un contenitore umano si veniva pian piano contaminati dal virus delle emozioni da loro tanto sgradito, ogni secondo era un secondo in cui diventavano più vicini ai mortali.
Non per nulla lui aveva preferito limitarsi a mutare il proprio aspetto invece di rubare un tramite.
Sarebbe stato uno spettacolino niente male, senza contare che le sue belle parole funzionavano benissimo anche con loro. Si montavano un po’ troppo la testa e le sue paroline degne di un politico candidato alla presidenza erano perfette.
Se si fosse annoiato magari avrebbe potuto diffondere pettegolezzi e astio per farli litigare, sarebbe stato un bel passatempo. Infondo sono le parole a far girare il mondo.
Basta una parola sbagliata per far scoppiare una guerra, basta una parola giusta per stringere un accordo di pace. Basta una parola perfetta per far impazzire qualcuno.
Ah no, non doveva farsi tentare. Forse da un bicchiere pieno di gelato alla stracciatella e menta, ma non dal tormentare i suoi fratelli. La Madre poi si sarebbe lamentata… la Madre… Madre…
<< Ora che ci penso, dove diamine è mamma?>>
<< Rispetto, fratello.>> Commentò il Signore dei Sette Inferni. << La nostra venerabile Madre è impegnata a cercare un metodo che non sia rubare un corpo o trasformarsi in un mortale. Lo trova degradante, se non fossimo stati costretti avremmo fatto lo stesso.>>
<< A me piace.>> Commentò la Regina della Perdizione. La fissarono di nuovo. << Che c’è? È vero, è meno ingombrante.>>
<< Adoro quella donna!>> L’urlo dell’Uomo Nero riportò tutti gli sguardi su di lui. << Dannazione, ha buon gusto! L’unica! Oh, dai, Tessitore della Cripta infondo ha stile. Begli occhiali da sole.>>
Un uomo dai capelli biondo-neri fece un gesto con due dita in segno di ringraziamento. Ma guarda, il primo infetto dal virus.
Però il discorso stava andando in tutta un’altra direzione. Li aveva chiamati per una cosa importante, non per una riunione di famiglia.
Una riunione di famiglia molto imbarazzante. Come tutte.
Da questo punto di vista siamo tutti uguali, umani, divinità, mostri, abbiamo tutti una zia che ti chiede << Quando ti sposi?>> o << La fidanzatina?>> o uno zio che ti chiede << E la scuola?>> << E il lavoro?>>, ti fanno venire voglia di scappare. Ah, nel mio caso c’è solo zia Vita, ma basta è avanza. Tormenta da sola cinque nipoti.
E quando, come per loro, siete, Dio solo sa, chissà quanti fratelli e sorelle è ancora peggio.
Ma chi avrebbe rimesso in ordine le loro oramai disordinate fila?
Se ci avesse pensato lui si sarebbe rovinato l’aria di gentleman. Che fare, che fare?
<< Chiude la vostra stolta bocca e smettete di dire stupidaggini.>> Tutti si azzittirono immediatamente, le parole pronunciate dall’unico uomo vestito di bianco li fecero tremare. La sua autorità era pari a quella della Madre, ma era strano, sino a pochi minuti fa non era presente.
<< Non credevo che sareste venuto.>> L’Uomo Nero fece un inchino di reverenza, gli altri lo seguirono a ruota. << Non sapevo vi foste liberato, nostro nobile zio.>>
<< Ho avuto semplicemente un fato amichevole, il sigillo nel mio Mondo si è indebolito quando questi è stato azzerato dalle sue forme di vita mortali. Ora continua con il tuo discorso iniziale.>>
Rimise dritta la schiena e si mise a frugare dentro il cappotto nero che sempre lo accompagnava quando era fuori casa, quando la trovò si fece serio. Quando lo diventava era un pessimo segno.
Segno che divenne orrendo quando si vide ciò che aveva nascosto. Uno degli oggetti che meno di tutti dovevano finire nelle sue mani: un frammento di una Gemma.
Dove diamine lo aveva preso? Di norma quando un Mondo scompariva con esso spariva anche la Gemma che lo reggeva, il fatto che ne esistesse un frammento era quasi assurdo. A meno che non fosse stato un Grande Dio a salvarne uno.
<< A cosa ci servirà?>>
<< Ragno dell’Abisso, questo frammento contiene il potere di dare la vita alle creature viventi, di generare un intero universo. Un Mondo. Ci serve una casa, una base. Un inizio.>>
<<...>> Lo zio attese. Il suo parere era importante, la loro era una razza fortemente gerarchica. << Approvo, Lui e mia Sorella lo apprezzeranno. In più mio Fratello non potrà vedere in un Mondo creato con il tuo potere, Nipote. Hai la mia benedizione.>>
Oh, wow. Un complimento da suo zio, gli altri stavano di certo rosicando dentro quella cosa che chiamano “anima”. Dai, andiamo, “anima” è una parola grossa. Chiamiamolo surrogato vitale.
L’anima è nata con Eternità e con lui finirà. Chi è nato prima di lui non possiede nulla di simile.
L’Uomo Nero si allontanò dagli latri, uscendo dal cerchio, e camminando verso la pare più profonde delle tenebre. Non portò nemmeno con sé un piccolo sole, anzi, schiacciò quello che aveva creato nel palmo della sua mano come una pallina di vetro.
Calò un silenzio. Lungo. Come quello che c’era prima della nascita dell’universo.
E poi… Luce fu.
Un intero Mondo venne creato in un istante, il primo a calcare l’erba pura di quel posto e raccoglierne un fiore fu il suo creatore e nuovo dio.
Osservò le piante e le nuvole su di esse.
Vide l’acqua nei fiumi che scorreva tranquilla e limpida.
Vide il sole e luna.
E l’Uomo Nero vide che era cosa buona.
Poco dopo fu raggiunto da tutti i suoi fratelli e sorelle e dal nobile zio. Era sorprendente come una creatura come loro potesse creare qualcosa di così bello, purtroppo molti di loro ignoravano il sentimento dello stupore e dell’ammirazione.
<< Un nuovo Mondo è nato, permettetemi di sceglierne il nome, nobile zio, come premio per il mio duro lavoro fatto nel tempo.>> L’altro annuì, il permesso era stato accordato. << Lo desidero chiamare Asharaht.>>
Il nome fu accettato facilmente da tutti. Nessuno però rimase più del necessario, aveva fame, dovevano nutrirsi. Lì non c’era nemmeno un’anima mortale da divorare, si sarebbero dovuti accontentare di qualche stella lontana, quello era terreno di loro fratello nel momento stesso in cui ci mise piede la prima volta.
<< Per te va bene che stia andando così?>> La Regina della Perdizione espose i suoi dubbi.
<< Gli umani hanno un detto sulla divinità che loro venerano, lo conosci?>>
Si avvicinò a lei con in mano il fiore appena raccolto e, con galanteria, lo mise tra i suoi capelli neri facendo attenzione che non cadesse.
<< “Dio non gioca ai dadi.” Sai il motivo? Perché sa già quale risultato uscirà.>>
Capitolo Secondo: Processo alla Disperazione
La luce lo investiva dall’alto, ogni tentativo di alzare il viso lo abbagliava e gli impediva di vedere decentemente il giudice.
Non capiva proprio il motivo di quel processo, non gli sembrava di aver fatto niente di male ultimamente, allora perché Morte e Fato lo avevano sottoposto alla Prova di Maat? Prova che aveva passato piuttosto bene, il suo cuore aveva vinto con la Bilancia.
E ora lo costringevano a quella seduta?
Le catene, fatte di puro oricalco incantato e conosciute come Gleipnir, che attorno a caviglie e mani non gli permettevano di muoversi, i suoi poteri erano soppressi, ma non li avrebbe usati comunque.
<< Sai perché sei qui?>>
<< Idea dello scrittore?>> Domandò curioso chinando la testa di lato. Nella sua voce si poteva sentire del disprezzo ben celato.
<< Smettila con le tue scempiaggini. Sei qui per le tue azioni folli nel pianeta numero sette-cinque-tre-due nel Duemilacinquantaseiesimo Mondo. Ci hai costretto a farli morire tutti e a rimetterli immediatamente nel flusso. Oltre dieci miliardi di anime.>>
Non gli sembrava di aver fatto nulla di “folle”, anzi, li aveva aiutati a risolvere un serio problema.
Aveva fatto un azione davvero encomiabile, meritevole persino di una medaglia in alcuni paesi.
Fato lo guardò dall’alto della sua posizione di giudice, aveva lasciato Morte a riportare alla normalità la sala della prova precedente e doveva occuparsene da solo. Se aveva qualcosa in comune con il Metatron era il suo astio per il suo Ordine. No, astio non è corretto, provava qualcosa come disprezzo forse?
No, era più vicino a qualcosa come un sentimento di vomito e disgusto.
<< Non capisco ancora cosa ho fatto di male. Ho risolto il problema delle razze. Erano diventati tutti uguali.>>
Fato strinse nella mano sinistra un capo delle catene portandole a stringere a loro volta l’imputato. Era doloroso, freddo come il gelo, avrebbe lasciato dei segni rossi su tutto il corpo per qualche giorno.
Favoloso e piacevole. Ah, gli sembrava fosse un premio più che un castigo.
<< Tu hai strappato la pelle di tutti gli abitanti del pianeta!>>
Esatto, aveva risolto il problema strappando la pelle di dosso a tutti. Era cosa buona, no? Aveva anche fatto un incantesimo per rendere resistenti i muscoli e i nervi, sarebbero sopravvissuti e avrebbero continuato con la loro vita normalmente. Forse qualche problema agli inizi, ma si sarebbe abituati. Senza lineamenti fisici o colore sarebbe stati perfettamente uguali.
Un’azione buona.
Perché Fato se la prendeva tanto? Prima che fosse richiamato aveva in mente anche di riunire i continenti in uno solo, in modo che non ci fossero più confini. Sarebbe stati tutti uguali.
Non era questo il più grande desiderio di molti umani?
Gli dei vedevano tutti gli umani nello stesso modo, ma loro si vedevano diversi tra di loro.
Cosa c’era di male nel pensare di renderli felici? Liberi.
Nemmeno lo scrittore li avrebbe distinti nelle sue più profonde speranze. E forse era così, non potendo più gestire i suoi attori li aveva licenziati, cancellati dall’opera e sostituiti.
<< Quale sarebbe il problema, Nobile Fato?>>
<< I tuoi propositi erano nobili, immagino.>> La sua era, più che altro, una semplice ipotesi. Chissà cosa gli passava per la sua testa malata. << Ma quella che hai fatto non era la scelta giusta. Non puoi cambiare gli umani in questo modo.>>
<< E come? È difficile cambiargli la morale, allora perché non cambiargli l’aspetto?>>
Fato si strinse le dita della mano libera attorno le tempie nel tentativo di trovare un briciolo di sollievo alla sua mente in fiamme per la logica dell’imputato Era sempre difficile discutere con lui, non riusciva mai ad inquadrarlo.
Non era una persona così cattiva, ma non era nemmeno buona. Aveva sempre amato l’equilibrio, pensava che per essere stabile una persona dovesse avere in ugual dose il bene e il male, ma qui si esagerava.
Quell’imputato era la prima persona ad aver superato la Prova di Maat. Quando fu giudicato nessuno dei giudici creati da Morte riuscì in nessun modo ad aumentare il suo peso, restava leggero, e quando il suo cuore strappato e sanguinante fu posto sulla Bilancia avvenne il prodigio.
Per la prima volta nella storia, un cuore rimase in perfetto equilibrio. Nessuno dei due piatti pesò nemmeno una singola libbra in più dell’altro.
<< Sai che nonostante la Prova tu sarai comunque punito?>>
<< Se questa è ciò che diverte lettori, va bene.>>
<< Cosa intendi per lettori e scrittore? Ne parli spesso per quanto ho sentito da Raphael. Sono davvero curioso di saperlo.>>
L’uomo sorrise, gli angoli della sua bocca mostravano leggere rughe, quando faceva così il suo bell’aspetto diventava terribilmente ambiguo; se da una parte attirava attrazione, dall’altra inquietava terribilmente.
Amava quella domanda, amava parlarne, gli altri lo fermavano spesso.
<< Ho letto, nel libro che nessuno dovrebbe leggere scritto da un mio… amico, credo di poterlo definire così, la verità di tutte le cose. Noi siamo solo attori, pagliacci, fantocci, burattini nelle mani di un autore che sta scrivendo la nostra storia. Noi non esistiamo davvero, siamo solo parole su un testo, un’opera teatrale, qualsiasi problema o soluzione viene scritta da lui, essere gentili o crudeli, pensare, parlare, tutto ci viene scritto in base al nostro personaggio. Un giorno potrebbe stufarsi di me e farmi morire o semplicemente cancellarmi dalle righe di testo come nulla fosse. Potrebbe rendermi più potente di Eternità o più debole e fragile di un fiore. Potrebbe rendere questo un sogno nel sogno. Questo è ciò che gli umani chiamano con timore “Dio”. Questo è ciò che io chiamo “Demonio”.>>
Fato rimase ad osservarlo, poi, improvvisamente, fece in modo che la catena incantata lo lasciasse e strisciasse da lui come un verme in fuga da un uccello.
<< Sei libero di andare. Per oggi sei perdonato, ma fai in modo che ciò non accada una seconda volta, parla con Adriel prima di mettere in pratica una delle tue “buone azioni”.>>
L’altro fece un inchino e scomparve.
Il dio rimase lì fermo, con le mani incrociate a tenda che davano l’impressione di voler celare il suo volto già coperto da bendaggi. Senza volarsi poi parlò.
<< Corona, hai sentito tutto?>>
<< Io osservo sempre quando lui fa qualcosa.>> Dalla tenda che gli stava dietro, l’occhio azzurro cielo di Tempo brillò insieme a quello viola solitamente coperto. La sua “X” bianca rivaleggiava per luminosità con un diamante. << Hai intenzione di fare qualcosa?>>
<< No, per ora no. Nessuno gli crederà mai, ma come fa a sapere che esiste qualcun altro? Come ha fatto a leggere note del libro? Non dovrebbe conoscere le scritture delle divinità.>>
<< I pazzi alle volte vedono più in là dei sani. Comunque ora il libro è al sicuro. Nessuno leggerà il Necronomicon, abbiamo un patto con il suo custode. Abbiamo cancellato quelle pagine di storia da ogni libro, sono solo racconti di fantasia oramai. Non si saprà mai ciò che si nasconde nelle tenebre del passato.>>
<< Ma sarà la scelta giusta, Corona? Mi sembra di essere un tiranno.>>
<< Credi davvero che loro sarebbero capaci di sopportare la verità? È un patto tra noi cinque. Sei mio fratello d’armi, Arkhes, ti voglio bene, ma se metterai in mezzo altri giuro che ti rivolgerò la Lancia senza remore.>>
L’azzurro sospirò pesantemente. << Fratello, eh? Anche loro lo erano...>> Le bende resero un sussurro ogni parola.
Non capiva proprio il motivo di quel processo, non gli sembrava di aver fatto niente di male ultimamente, allora perché Morte e Fato lo avevano sottoposto alla Prova di Maat? Prova che aveva passato piuttosto bene, il suo cuore aveva vinto con la Bilancia.
E ora lo costringevano a quella seduta?
Le catene, fatte di puro oricalco incantato e conosciute come Gleipnir, che attorno a caviglie e mani non gli permettevano di muoversi, i suoi poteri erano soppressi, ma non li avrebbe usati comunque.
<< Sai perché sei qui?>>
<< Idea dello scrittore?>> Domandò curioso chinando la testa di lato. Nella sua voce si poteva sentire del disprezzo ben celato.
<< Smettila con le tue scempiaggini. Sei qui per le tue azioni folli nel pianeta numero sette-cinque-tre-due nel Duemilacinquantaseiesimo Mondo. Ci hai costretto a farli morire tutti e a rimetterli immediatamente nel flusso. Oltre dieci miliardi di anime.>>
Non gli sembrava di aver fatto nulla di “folle”, anzi, li aveva aiutati a risolvere un serio problema.
Aveva fatto un azione davvero encomiabile, meritevole persino di una medaglia in alcuni paesi.
Fato lo guardò dall’alto della sua posizione di giudice, aveva lasciato Morte a riportare alla normalità la sala della prova precedente e doveva occuparsene da solo. Se aveva qualcosa in comune con il Metatron era il suo astio per il suo Ordine. No, astio non è corretto, provava qualcosa come disprezzo forse?
No, era più vicino a qualcosa come un sentimento di vomito e disgusto.
<< Non capisco ancora cosa ho fatto di male. Ho risolto il problema delle razze. Erano diventati tutti uguali.>>
Fato strinse nella mano sinistra un capo delle catene portandole a stringere a loro volta l’imputato. Era doloroso, freddo come il gelo, avrebbe lasciato dei segni rossi su tutto il corpo per qualche giorno.
Favoloso e piacevole. Ah, gli sembrava fosse un premio più che un castigo.
<< Tu hai strappato la pelle di tutti gli abitanti del pianeta!>>
Esatto, aveva risolto il problema strappando la pelle di dosso a tutti. Era cosa buona, no? Aveva anche fatto un incantesimo per rendere resistenti i muscoli e i nervi, sarebbero sopravvissuti e avrebbero continuato con la loro vita normalmente. Forse qualche problema agli inizi, ma si sarebbe abituati. Senza lineamenti fisici o colore sarebbe stati perfettamente uguali.
Un’azione buona.
Perché Fato se la prendeva tanto? Prima che fosse richiamato aveva in mente anche di riunire i continenti in uno solo, in modo che non ci fossero più confini. Sarebbe stati tutti uguali.
Non era questo il più grande desiderio di molti umani?
Gli dei vedevano tutti gli umani nello stesso modo, ma loro si vedevano diversi tra di loro.
Cosa c’era di male nel pensare di renderli felici? Liberi.
Nemmeno lo scrittore li avrebbe distinti nelle sue più profonde speranze. E forse era così, non potendo più gestire i suoi attori li aveva licenziati, cancellati dall’opera e sostituiti.
<< Quale sarebbe il problema, Nobile Fato?>>
<< I tuoi propositi erano nobili, immagino.>> La sua era, più che altro, una semplice ipotesi. Chissà cosa gli passava per la sua testa malata. << Ma quella che hai fatto non era la scelta giusta. Non puoi cambiare gli umani in questo modo.>>
<< E come? È difficile cambiargli la morale, allora perché non cambiargli l’aspetto?>>
Fato si strinse le dita della mano libera attorno le tempie nel tentativo di trovare un briciolo di sollievo alla sua mente in fiamme per la logica dell’imputato Era sempre difficile discutere con lui, non riusciva mai ad inquadrarlo.
Non era una persona così cattiva, ma non era nemmeno buona. Aveva sempre amato l’equilibrio, pensava che per essere stabile una persona dovesse avere in ugual dose il bene e il male, ma qui si esagerava.
Quell’imputato era la prima persona ad aver superato la Prova di Maat. Quando fu giudicato nessuno dei giudici creati da Morte riuscì in nessun modo ad aumentare il suo peso, restava leggero, e quando il suo cuore strappato e sanguinante fu posto sulla Bilancia avvenne il prodigio.
Per la prima volta nella storia, un cuore rimase in perfetto equilibrio. Nessuno dei due piatti pesò nemmeno una singola libbra in più dell’altro.
<< Sai che nonostante la Prova tu sarai comunque punito?>>
<< Se questa è ciò che diverte lettori, va bene.>>
<< Cosa intendi per lettori e scrittore? Ne parli spesso per quanto ho sentito da Raphael. Sono davvero curioso di saperlo.>>
L’uomo sorrise, gli angoli della sua bocca mostravano leggere rughe, quando faceva così il suo bell’aspetto diventava terribilmente ambiguo; se da una parte attirava attrazione, dall’altra inquietava terribilmente.
Amava quella domanda, amava parlarne, gli altri lo fermavano spesso.
<< Ho letto, nel libro che nessuno dovrebbe leggere scritto da un mio… amico, credo di poterlo definire così, la verità di tutte le cose. Noi siamo solo attori, pagliacci, fantocci, burattini nelle mani di un autore che sta scrivendo la nostra storia. Noi non esistiamo davvero, siamo solo parole su un testo, un’opera teatrale, qualsiasi problema o soluzione viene scritta da lui, essere gentili o crudeli, pensare, parlare, tutto ci viene scritto in base al nostro personaggio. Un giorno potrebbe stufarsi di me e farmi morire o semplicemente cancellarmi dalle righe di testo come nulla fosse. Potrebbe rendermi più potente di Eternità o più debole e fragile di un fiore. Potrebbe rendere questo un sogno nel sogno. Questo è ciò che gli umani chiamano con timore “Dio”. Questo è ciò che io chiamo “Demonio”.>>
Fato rimase ad osservarlo, poi, improvvisamente, fece in modo che la catena incantata lo lasciasse e strisciasse da lui come un verme in fuga da un uccello.
<< Sei libero di andare. Per oggi sei perdonato, ma fai in modo che ciò non accada una seconda volta, parla con Adriel prima di mettere in pratica una delle tue “buone azioni”.>>
L’altro fece un inchino e scomparve.
Il dio rimase lì fermo, con le mani incrociate a tenda che davano l’impressione di voler celare il suo volto già coperto da bendaggi. Senza volarsi poi parlò.
<< Corona, hai sentito tutto?>>
<< Io osservo sempre quando lui fa qualcosa.>> Dalla tenda che gli stava dietro, l’occhio azzurro cielo di Tempo brillò insieme a quello viola solitamente coperto. La sua “X” bianca rivaleggiava per luminosità con un diamante. << Hai intenzione di fare qualcosa?>>
<< No, per ora no. Nessuno gli crederà mai, ma come fa a sapere che esiste qualcun altro? Come ha fatto a leggere note del libro? Non dovrebbe conoscere le scritture delle divinità.>>
<< I pazzi alle volte vedono più in là dei sani. Comunque ora il libro è al sicuro. Nessuno leggerà il Necronomicon, abbiamo un patto con il suo custode. Abbiamo cancellato quelle pagine di storia da ogni libro, sono solo racconti di fantasia oramai. Non si saprà mai ciò che si nasconde nelle tenebre del passato.>>
<< Ma sarà la scelta giusta, Corona? Mi sembra di essere un tiranno.>>
<< Credi davvero che loro sarebbero capaci di sopportare la verità? È un patto tra noi cinque. Sei mio fratello d’armi, Arkhes, ti voglio bene, ma se metterai in mezzo altri giuro che ti rivolgerò la Lancia senza remore.>>
L’azzurro sospirò pesantemente. << Fratello, eh? Anche loro lo erano...>> Le bende resero un sussurro ogni parola.
Capitolo Primo: Ordine dei Perduti
La seconda volta in meno di due anni, cosa diamine stava succedendo nel Multiverso? Prima di tutto ciò era entrato in quel postaccio solo per incarcerare il fratello molto tempo addietro.
E anche quella volta era stato molte refrattario ad entrare in quel postaccio.
Ora era stato inviato per discutere con i Quattro Perduti. Quella marmaglia schifosa che aveva come unico merito quello di essere il secondo ordine più in alto e di essere tenuti in grande considerazione da Eternità.
Facciamo una piccola classifica degli ordini per importanza:
Per qualche motivo avevano preso dimora proprio oltre la Porta, nella Parata, il luogo meno ospitale di qualunque posto riusciate a immaginare. Come facessero a non uscire fuori di testa era un gran bel mistero, sino a quel momento solo Adriel e Lucifero non avevano avuto questo tipo di problemi. E il primo era geneticamente formato per resistere.
Sì, esistono angeli OGM.
I Quattro Perduti, poi, non amava avere a che fare con loro. Erano sempre a non fare nulla, ad attendere il loro momento, un lavoro di dieci minuti. Eppure erano considerati migliori di lui, un uomo che lavorava tutto il giorno, ad ogni ora, con intere nottate senza dormire.
Spazzatura.
Basta, se continuava così non si sarebbe mai elevato come il suo dio. E qui direi che qualcuno è una fangirl di quelle toste; scommetto un pianta di erba del Tremilasettesimo Mondo che tiene una foto da sbaciucchiare prima di andare a letto.
Un po’ ce lo immagino a chiedersi perché non lo nota… devo smetterla di leggermi gli shojo di Tempo. È difficile, se non li leggiamo il suo sito non ha praticamente visite, tranne forse un tizio che si fa chiamare “DottorWolf”. Ancora mi chiedo chi sia quel masochista, Tempo è un pessimo autore di fumetti.
Salì la collina di sabbia, o quel che era, e li vide, seduti attorno a un fuoco, intenti a rilassarsi sentendo della musica da una di quelle vecchie radio a valvole. Doveva essere più tecnologica di quanto non sembrasse per superare le barriere tra i Mondi.
<< Dannazione, fai schifo a questo gioco. Cosa scommetti ora?>>
<< Dammi un secondo.>> Si infilò una magra mano nel ventre e si mise a frugare. << Ti va bene un rene?>>
<< Ho già sette dei tuoi reni. Almeno punta un fegato, la mia collezione piange.>>
<< Oh sì, certo, la tua collezione. Ti impedirò di completarla a costo di riempirti di testicoli!>>
<< Smettetela e mostrate cosa avete in mano. Qui si cerca di sentire una musica diversa dall’orchestra qui vicino!>>
Eccoli, a fare casino come il branco di teppistelli che erano. Ne erano presenti solo tre, il quarto che fine aveva fatto?
Stava per caso andando in giro per quel bel desertuccio? Magari a cavallo di un cammello?
Non gli importava. Scese facendo attenzione a non sporcarsi troppo i vestiti, era stato costretto a bruciarli la scorsa volta e non voleva ripetersi.
<< Perduti!>>
<< Ma chi si vede! Il Metatron! L’angelo di mister Esistenza, il braccio destro del figlio del grande capo. Come va? Partita a carte? Scommettiamo organi, ma se hai soldi è meglio. Molto meno disgustoso di questo tizio.>> Commentò uno dei giocatori spostando il suo sguardo dalle carte all’ospite.
<< Molto gentile, Guerra!>>
<< Non prendertela, anche Pestilenza non è messo bene. Sta perdendo tutte le piume.>>
Diamine, ecco perché odiava questo stupido Ordine dei Quattro Perduti; anche se loro preferivano il nome che i mortali gli avevano dato: Cavalieri dell’Apocalisse.
Cavalieri. Ah, non avevano la minima aria della nobiltà medievale che aveva studiato in accademia ai tempi in cui era uno stupido umano.
Non aveva bei ricordi di quel periodo della sua vita mortale.
<< Che ci fai qui?>> Chiese Guerra cominciando a mischiare le carte per la partita successiva di poker.
Era il più grosso e quindi si sentiva in dovere di fare, in assenza del loro leader, le domande. Con le quattro braccia che aveva, poteva anche permettersi di gesticolare allegramente.
<< Sono stato inviato da Sua Eccellenza Esistenza per...>>
<< Ah, il figlio del vecchio!>> Lo interruppe il cadaverico Carestia cavandosi un occhio per metterlo come posta per il gioco. A forza di giocare aveva perso interi pezzi di carne, tanto da sostituire pezzi del suo corpo con parti degli ospiti della Parata.
Il suo braccio era un ottimo esempio.
<< ...chiedervi quale parte sceglierete di seguire. Spero che farete la scelta giusta.>>
Fece del suo meglio per trattenersi dall’insultarli. Ancora di più o meno velatamente.
<< La scelta giusta? Noi lavoriamo già per Sua Eccellenza Eternità, non vedo dove sia il problema.>> Domandarono confusi.
<< Forse Eternità non è più in grado di fare la cosa giusta. Lui se ne andato da un pezzo. Non è più utile.>>
<< Stai forse dicendo che Esistenza vuole una rivolta? Dopo gli angeli adesso anche un dio?>>
<< Rivoluzione. È il termine corretto.>>
Si cominciò a grattare la pelle, sentiva un prurito fastidioso che andava pian piano crescendo.
Quella dannata regola cominciava ad avere effetto. Gli restavano circa dieci minuti nel migliore dei casi. Doveva darsela a gambe il prima possibile. Era stato stranamente veloce.
Pestilenza, appollaiato con le zampe da volatile, che uscivano dal suo abito stracciato, su una roccia, riuscì finalmente a mettere al suo posto quella radio facendo partire una preghiera in una qualche lingua che difficilmente potreste comprendere senza la traduzione di uno specialista.
<< Ah la rivoluzione. E dopo cosa si farà? Altra rivoluzione! E poi un’altra! E un’altra! Girogirotondo ma non casca il mondo. Per quanto ci proverete finirà sempre allo stesso modo.>> Pestilenza sembrava saperla lunga. << Quando verrai a vivere qui ti offriremo a bere come segno di pace. Se non sarai prima impazzito.>>
Il biondo morse il labbro inferiore in un gesto di sdegnò e tornò indietro, diretto verso la porta. Non gli restava molto tempo, non voleva restare a fargli compagnia.
I restanti rimasero in silenzio per qualche secondo per poi smettere di recitare il loro ruolo. Anzi, uno dei tanti ruoli che avevano preso nel corso dei millenni.
<< Ho fame. Voi no?>> Carestia prese uno dei reni della collezione di Guerra, lì accanto posati e cominciò a mangiare di gusto come se fossero anni che non toccava cibo.
Non so dire se si trattasse proprio di cannibalismo o masochismo o qualcos'altro, ma fa schifo.
<< A differenza tua ho già mangiato. Comunque ora che l’idiota se ne è andato possiamo smettere di fare i finti tonti.>> Pestilenza scrisse, a capo chino, qualcosa sul terreno con un osso appuntito man mano che il programma alla radio andava avanti. << Chi va ad avvisare il capo? Io no.>>
<< Io no.>> Lo seguì velocemente Guerra.
<< Io n… oh andiamo, sempre io.>>
<< Se sei lento è colpa tua. In attesa ti farò trovare i tuoi organi al loro posto.>>
Carestia si allontanò maledicendo il “multibraccio” e il radioamatore. Gli toccava sempre dover farsi una scarpinata sino da lui, in questo capiva quel biondo rompiscatole.
Fare il messaggero era uno sporco e faticoso lavoro.
Si mise a strillare con tutta a voce che aveva nel suo rachitico per richiamarlo, non aveva proprio il massimo della simpatia per il suo capo. Non era che non avessero un buon rapporto di convivenza, ma alle volte non aveva il minimo autocontrollo, se il Metatron lo avesse visto fare “quello che stava facendo”, avrebbero dovuto zittire un testimone.
Non sarebbe stato difficile eliminare Metatron, quando, piuttosto, trovare una scusa convincente per l’atto.
Nessuno, ad eccezione degli autorizzati, doveva sapere di cosa si nutrono quando non hanno organi a disposizione. Adriel, grazie al cielo, lo aveva tenuto a “giocare” in un posto abbastanza isolato.
Di questo ultimo gli dispiaceva solo che non amasse farsi vedere molto spesso, ogni tanto andava a fare una partita a carte con loro tre e gli portava qualcosa di buono da mangiare che gli era a sua volta consegnato da un amico. Gli dovevano un grosso, grosso, grossissimo favore.
Quando poi vide il suo leader divertirsi cominciò ad agitare le braccia per richiamare la sua attenzione.
<< Ehi, capo.>>
Lì, un uomo senza maglia, si stava divertendo a fare a pezzi e a mangiare i dannati musicisti della Parata. Era disturbante come, nonostante i loro compagni venissero rotti, loro continuassero a suonare i loro strumenti. Si erano davvero giocati la loro umanità tanto tempo fa.
<< Pestilenza, cosa succede?>> Nemmeno si girò lasciando che parlasse ai suoi capelli castano scuro.
Non ci volle molto per spiegare la situazione, il Perduto era un tipo piuttosto sveglio.
Ora, se la Morte è un dio, chi sarà il bel cavaliere dalla folta chioma al suo posto?
Sulla pila di corpi di bambolotti fatti a pezzi, sedeva tranquillo il Quarto Perduto, la Disperazione, che trangugiava un arto di una di quelle creature che lui stesso aveva, poc’anzi, ucciso. Gli era mancato divorare un peccatore, non poteva farsi vedere in simili vesti da qualcuno che non faceva parte del gruppo.
Le parole di Pestilenza gli rimbombavano in testa provocandogli un certo piacere che raggiunse il suo distorto punto di massimo splendore quando giunse a conficcarsi le sue lunghe dita nella pelle della faccia in un qualche malato atto di autolesionismo. Tirò via parti intere di pelle cominciando a sentirsi come se fosse sull’orlo di un orgasmo.
<< La parte in cui stare. Fedeli ad Eternità. Unirci agli aspiranti dei. Saggiare le abilità degli eroi. Imitare l’esempio umano e seguire l’Uomo Nero per distruggere i Mondi. Tante vie. Tante possibilità. Che bello. Mi sento così bene. Voi provate lo stesso, vero? Lo scrittore avrà una scelta assai ampia.>>
E anche quella volta era stato molte refrattario ad entrare in quel postaccio.
Ora era stato inviato per discutere con i Quattro Perduti. Quella marmaglia schifosa che aveva come unico merito quello di essere il secondo ordine più in alto e di essere tenuti in grande considerazione da Eternità.
Facciamo una piccola classifica degli ordini per importanza:
- Ordine delle Divinità: gli dei. Decidono tutto, discutono e rappresentano lo stato del creato. I tizi che abbiamo incontrato sino ad adesso.
- Ordine dei Quattro Perduti: sono coloro che hanno un certo compito di grande importanza, ve lo spiego dopo. Sono agli ordini diretti di Eternità e si tengono in contatto con lui grazie a Gabriel e Tabris.
- Ordine Angelico: sono gli specialisti nel loro campo. Fanno vari compiti, dal medico delle divinità al sicario.
Per qualche motivo avevano preso dimora proprio oltre la Porta, nella Parata, il luogo meno ospitale di qualunque posto riusciate a immaginare. Come facessero a non uscire fuori di testa era un gran bel mistero, sino a quel momento solo Adriel e Lucifero non avevano avuto questo tipo di problemi. E il primo era geneticamente formato per resistere.
Sì, esistono angeli OGM.
I Quattro Perduti, poi, non amava avere a che fare con loro. Erano sempre a non fare nulla, ad attendere il loro momento, un lavoro di dieci minuti. Eppure erano considerati migliori di lui, un uomo che lavorava tutto il giorno, ad ogni ora, con intere nottate senza dormire.
Spazzatura.
Basta, se continuava così non si sarebbe mai elevato come il suo dio. E qui direi che qualcuno è una fangirl di quelle toste; scommetto un pianta di erba del Tremilasettesimo Mondo che tiene una foto da sbaciucchiare prima di andare a letto.
Un po’ ce lo immagino a chiedersi perché non lo nota… devo smetterla di leggermi gli shojo di Tempo. È difficile, se non li leggiamo il suo sito non ha praticamente visite, tranne forse un tizio che si fa chiamare “DottorWolf”. Ancora mi chiedo chi sia quel masochista, Tempo è un pessimo autore di fumetti.
Salì la collina di sabbia, o quel che era, e li vide, seduti attorno a un fuoco, intenti a rilassarsi sentendo della musica da una di quelle vecchie radio a valvole. Doveva essere più tecnologica di quanto non sembrasse per superare le barriere tra i Mondi.
<< Dannazione, fai schifo a questo gioco. Cosa scommetti ora?>>
<< Dammi un secondo.>> Si infilò una magra mano nel ventre e si mise a frugare. << Ti va bene un rene?>>
<< Ho già sette dei tuoi reni. Almeno punta un fegato, la mia collezione piange.>>
<< Oh sì, certo, la tua collezione. Ti impedirò di completarla a costo di riempirti di testicoli!>>
<< Smettetela e mostrate cosa avete in mano. Qui si cerca di sentire una musica diversa dall’orchestra qui vicino!>>
Eccoli, a fare casino come il branco di teppistelli che erano. Ne erano presenti solo tre, il quarto che fine aveva fatto?
Stava per caso andando in giro per quel bel desertuccio? Magari a cavallo di un cammello?
Non gli importava. Scese facendo attenzione a non sporcarsi troppo i vestiti, era stato costretto a bruciarli la scorsa volta e non voleva ripetersi.
<< Perduti!>>
<< Ma chi si vede! Il Metatron! L’angelo di mister Esistenza, il braccio destro del figlio del grande capo. Come va? Partita a carte? Scommettiamo organi, ma se hai soldi è meglio. Molto meno disgustoso di questo tizio.>> Commentò uno dei giocatori spostando il suo sguardo dalle carte all’ospite.
<< Molto gentile, Guerra!>>
<< Non prendertela, anche Pestilenza non è messo bene. Sta perdendo tutte le piume.>>
Diamine, ecco perché odiava questo stupido Ordine dei Quattro Perduti; anche se loro preferivano il nome che i mortali gli avevano dato: Cavalieri dell’Apocalisse.
Cavalieri. Ah, non avevano la minima aria della nobiltà medievale che aveva studiato in accademia ai tempi in cui era uno stupido umano.
Non aveva bei ricordi di quel periodo della sua vita mortale.
<< Che ci fai qui?>> Chiese Guerra cominciando a mischiare le carte per la partita successiva di poker.
Era il più grosso e quindi si sentiva in dovere di fare, in assenza del loro leader, le domande. Con le quattro braccia che aveva, poteva anche permettersi di gesticolare allegramente.
<< Sono stato inviato da Sua Eccellenza Esistenza per...>>
<< Ah, il figlio del vecchio!>> Lo interruppe il cadaverico Carestia cavandosi un occhio per metterlo come posta per il gioco. A forza di giocare aveva perso interi pezzi di carne, tanto da sostituire pezzi del suo corpo con parti degli ospiti della Parata.
Il suo braccio era un ottimo esempio.
<< ...chiedervi quale parte sceglierete di seguire. Spero che farete la scelta giusta.>>
Fece del suo meglio per trattenersi dall’insultarli. Ancora di più o meno velatamente.
<< La scelta giusta? Noi lavoriamo già per Sua Eccellenza Eternità, non vedo dove sia il problema.>> Domandarono confusi.
<< Forse Eternità non è più in grado di fare la cosa giusta. Lui se ne andato da un pezzo. Non è più utile.>>
<< Stai forse dicendo che Esistenza vuole una rivolta? Dopo gli angeli adesso anche un dio?>>
<< Rivoluzione. È il termine corretto.>>
Si cominciò a grattare la pelle, sentiva un prurito fastidioso che andava pian piano crescendo.
Quella dannata regola cominciava ad avere effetto. Gli restavano circa dieci minuti nel migliore dei casi. Doveva darsela a gambe il prima possibile. Era stato stranamente veloce.
Pestilenza, appollaiato con le zampe da volatile, che uscivano dal suo abito stracciato, su una roccia, riuscì finalmente a mettere al suo posto quella radio facendo partire una preghiera in una qualche lingua che difficilmente potreste comprendere senza la traduzione di uno specialista.
<< Ah la rivoluzione. E dopo cosa si farà? Altra rivoluzione! E poi un’altra! E un’altra! Girogirotondo ma non casca il mondo. Per quanto ci proverete finirà sempre allo stesso modo.>> Pestilenza sembrava saperla lunga. << Quando verrai a vivere qui ti offriremo a bere come segno di pace. Se non sarai prima impazzito.>>
Il biondo morse il labbro inferiore in un gesto di sdegnò e tornò indietro, diretto verso la porta. Non gli restava molto tempo, non voleva restare a fargli compagnia.
I restanti rimasero in silenzio per qualche secondo per poi smettere di recitare il loro ruolo. Anzi, uno dei tanti ruoli che avevano preso nel corso dei millenni.
<< Ho fame. Voi no?>> Carestia prese uno dei reni della collezione di Guerra, lì accanto posati e cominciò a mangiare di gusto come se fossero anni che non toccava cibo.
Non so dire se si trattasse proprio di cannibalismo o masochismo o qualcos'altro, ma fa schifo.
<< A differenza tua ho già mangiato. Comunque ora che l’idiota se ne è andato possiamo smettere di fare i finti tonti.>> Pestilenza scrisse, a capo chino, qualcosa sul terreno con un osso appuntito man mano che il programma alla radio andava avanti. << Chi va ad avvisare il capo? Io no.>>
<< Io no.>> Lo seguì velocemente Guerra.
<< Io n… oh andiamo, sempre io.>>
<< Se sei lento è colpa tua. In attesa ti farò trovare i tuoi organi al loro posto.>>
Carestia si allontanò maledicendo il “multibraccio” e il radioamatore. Gli toccava sempre dover farsi una scarpinata sino da lui, in questo capiva quel biondo rompiscatole.
Fare il messaggero era uno sporco e faticoso lavoro.
Si mise a strillare con tutta a voce che aveva nel suo rachitico per richiamarlo, non aveva proprio il massimo della simpatia per il suo capo. Non era che non avessero un buon rapporto di convivenza, ma alle volte non aveva il minimo autocontrollo, se il Metatron lo avesse visto fare “quello che stava facendo”, avrebbero dovuto zittire un testimone.
Non sarebbe stato difficile eliminare Metatron, quando, piuttosto, trovare una scusa convincente per l’atto.
Nessuno, ad eccezione degli autorizzati, doveva sapere di cosa si nutrono quando non hanno organi a disposizione. Adriel, grazie al cielo, lo aveva tenuto a “giocare” in un posto abbastanza isolato.
Di questo ultimo gli dispiaceva solo che non amasse farsi vedere molto spesso, ogni tanto andava a fare una partita a carte con loro tre e gli portava qualcosa di buono da mangiare che gli era a sua volta consegnato da un amico. Gli dovevano un grosso, grosso, grossissimo favore.
Quando poi vide il suo leader divertirsi cominciò ad agitare le braccia per richiamare la sua attenzione.
<< Ehi, capo.>>
Lì, un uomo senza maglia, si stava divertendo a fare a pezzi e a mangiare i dannati musicisti della Parata. Era disturbante come, nonostante i loro compagni venissero rotti, loro continuassero a suonare i loro strumenti. Si erano davvero giocati la loro umanità tanto tempo fa.
<< Pestilenza, cosa succede?>> Nemmeno si girò lasciando che parlasse ai suoi capelli castano scuro.
Non ci volle molto per spiegare la situazione, il Perduto era un tipo piuttosto sveglio.
Ora, se la Morte è un dio, chi sarà il bel cavaliere dalla folta chioma al suo posto?
Sulla pila di corpi di bambolotti fatti a pezzi, sedeva tranquillo il Quarto Perduto, la Disperazione, che trangugiava un arto di una di quelle creature che lui stesso aveva, poc’anzi, ucciso. Gli era mancato divorare un peccatore, non poteva farsi vedere in simili vesti da qualcuno che non faceva parte del gruppo.
Le parole di Pestilenza gli rimbombavano in testa provocandogli un certo piacere che raggiunse il suo distorto punto di massimo splendore quando giunse a conficcarsi le sue lunghe dita nella pelle della faccia in un qualche malato atto di autolesionismo. Tirò via parti intere di pelle cominciando a sentirsi come se fosse sull’orlo di un orgasmo.
<< La parte in cui stare. Fedeli ad Eternità. Unirci agli aspiranti dei. Saggiare le abilità degli eroi. Imitare l’esempio umano e seguire l’Uomo Nero per distruggere i Mondi. Tante vie. Tante possibilità. Che bello. Mi sento così bene. Voi provate lo stesso, vero? Lo scrittore avrà una scelta assai ampia.>>
La Follia di Abdul Alhazred
Nessuno voleva averci a che fare, non era sano di mente.
Il suo autolesionismo masochistico, le sue risate sguaiate simili a un cane ancora vivo a cui veniva strappata la pelle e il suo sguardo, a tratti disturbante, cozzavano completamente il suo aspetto assai gradevole dal punto di vista fisico e sessuale.
I suoi discorsi, che spesso cercava di intrattenere con i suoi colleghi, sfociavano sempre in un punto di vista di nichilismo e inutilità. Non sapevano come fosse nata questa idea, ma lui era stato generato con un costante pensiero che lo avevano portato, pian piano a un profondo stato di disturbo mentale rappresentato dalla convinzione che il mondo, tutte le realtà, fossero solo e parole scritte sul foglio di carta di un sadico scrittore che voleva divertire il suo pubblico con le sofferenze altrui. Uno scrittore che in un malato intrattenimento condiviso dal resto della sua razza si faceva dio creatore e distruttore. Non era raro che si rivolgesse a questo << Scrittore Maledetto.>>, << Demonio da scrivania.>>, << Demone al centro dell’universo.>> e alla sua << Platea di dannati.>> come per lui era ormai usanza chiamarli. Più disturbante era che si comportava, alle volte, come se ricevesse risposta da loro. Come se avessero un dialogo che solo lui riusciva ad udire. Un dialogo che terminava sempre con le sue risate tra le lacrime. << Pupazzi nelle loro mani. Ecco cosa siamo, siamo tenuti dai loro fili e nemmeno la morte ci libererà, perché la Morte stessa, come noi, è loro marionetta e trastullo.>> Puro e semplice disturbo mentale se lo chiedete a me.
La sua discutibile abitudine era di rivolgersi, quando questi era ancora in vita, ad un arabo dello Yemen altrettanto problematico, ma assai più famoso. Le vostre orecchie avranno spesso avuto l’onore, o onere, di sentire il nome di Abdul Alhazred. L’Arabo Pazzo. Scrittore del libro eretico conosciuto come Necronomicon, o se preferite Al Azif, scritto dopo aver appreso conoscenze oscure da un popolo della “Città dalle Mille Colonne”, Iram dhāt al-ʿImād. L’arabo, ormai avanti con gli anni, poteva essere definito un giovane “ragazzo”, in confronto alla sua millenaria età, eppure i due si intendevano, nella loro pazzia, alla perfezione.
Ad ogni loro incontro nuove pagine si aggiungevano a quel libro, nuove pagine contenenti termini che lo stesso non riusciva a ricordare dove avesse sentito, come se gli fossero sussurrate alle orecchie da spiriti maligni. O da divinità maligne.
Col tempo, eppure, qualcosa iniziava a cambiare. Abdul era sempre più terrorizzato da ciò che stava apprendendo e scrivendo nella sua vecchiaia, come se avesse dei ripensamenti, come se stesse comprendendo che ciò che stavano facendo era sbagliato. Asseriva che qualcuno ormai gli stava apparendo in sogno, qualcuno di più potente del suo “amico”, la voce gli moriva in gola quasi ogni volta che tentava di dirne il nome. Anche scriverne sulle pagine era difficile, la piuma d’oca tremava, il sangue usato come inchiostro aveva il tempo di indurirsi e il suo compagno di sventura non era d’aiuto. Per quest'ultimo avere paura di un essere che non fosse il fantomatico autore era inutile, anche lui era un giocattolo da rompere. Come lui. Come Abdul Alhazred.
Abdul era stato un compagno di giochi divertente, era durato un sacco, allo scrittore e ai suoi lettori doveva piacere molto, ma ora i fili si stavano rompendo? No, non era quello. Stava facendo a pezzi il muro che divideva le realtà. Stava per vedere l’autore. Stava per vederlo, ne era sicuro. I fili si stavano per strappare. Stava per essere libero. Gli mancava poco, bastava che rivedesse quella creatura del sogno.
Ma una marionetta senza fili non si muove più, diventa un pupazzo inutile, un pezzo di legno che viene dato nelle mani di un bambino per il puro gusto di distruggerlo.
Il punto di non ritorno fu raggiunto nel 738 a Damasco. Uscì in un mercato per comprare il cibo che gli serviva a sostentarsi e alcune bestie da sacrificare alle divinità che venerava da quando aveva abbandonato l’islamismo, nulla che fosse diverso dalla sua quotidianità. Ibn Khallikan, magistrato iracheno, scrisse in una lettera perduta che “venne preso in pieno giorno da una creatura invisibile e smembrato dinanzi a numerose persone in preda al terrore”.
Ciò che non disse furono le sue ultime parole “Aya!Aya! Aramath Gareshi ert sarata asdha, Arata Narada muat fatar et Yuart Liwert”, tutti coloro che lo avevano sentito le avevano solamente scambiati per gemiti di dolore. Se solo avessero avuto la sapienza del morto, avrebbero saputo le parole che disse avevano un significato ben preciso nella lingua del suo compagno di sventura. “ Lì! Lì! L’Uomo Nero cammina tra di noi, il Signore del Caos sussurra il Distico Inesplicabile.” Se avessero fatto attenzione, avrebbero notato un uomo che non era restato lì ad osservare la macabra scena, ma si allontanava con un sorriso sulla bocca simile a quello di un bambino. La sua carnagione scura non colpiva molto, era comune in quella zona nonostante la tonalità, solo gli occhi brillavano di una certa malignità ambigua quasi avesse un piccolo senso di rimorso lì dentro.
Quindi era questo che lo scrittore voleva? Era questo che i lettori volevano? Che i personaggi continuassero sul loro palcoscenico come bravi attori? Che le marionette continuassero a essere legati ai loro fili? Aveva diretto un qualcuno a compiere quell’azione? La visione del suo amico ridotto in un ammasso di arti strappati, come rami dal loro tronco, quel sangue a terra che scorreva come fosse un fiumiciattolo che fluiva in una pozzanghera che sporcava i sandali dei passanti… era una visione così… così… spassosa.
Era divertente vedere quella gente che fuggiva via accalcandosi, probabilmente qualcuno sarebbe inciampato e sarebbe morto calpestato. Non poteva fare a meno di pensarci.
Dopo quell’avvenimento nessuno sentì più vociare venire da Iram dhāt al-ʿImād, nessuno uscì più e in pochi anni ciò che ne rimase furono solo rovine depredate da qualche sciacallo e tombarolo. Prima di terminare la loro carriera di solito, avevano tre scelte: impazzire, suicidarsi e… non tornare proprio.
Quei pochi che tornavano parlavano di mostri e morti che sussurravano alle loro orecchie “consigli” e richieste. Un esploratore occidentale che era descritto dagli abitanti dei paesi vicini come “qualcuno difficile da descrivere completamente, non si comprendeva immediatamente se fosse un uomo o una donna e anche a lungo andare i suoi gesti e la sua parlata lo lasciavano in un’ombra di ambiguità, i suoi occhi erano paragonabili a quelle pietre verdi che ogni tanto uscivano fuori scavando nelle miniere di rubini, aveva un linguaggio forbito tipico dei sapienti, ma ciò che era più facile da ricordare era la sua capigliatura argentea”, era forse uno dei pochi che avevano mantenuto la propria sanità mentale. Purtroppo il suo viaggio lì dentro era stato inutile, ciò che cercava era già stato sottratto e consegnato a un nuovo proprietario. Diverse copie erano state distribuite e distrutte nel corso dei secoli e finte in mano a diversi scienziati e occultisti dello stampo di Alyster Crowley. Nessuna di quelle era, però, completa, molte erano piene di errori grammaticali o di traduzione, i riti evocatori avrebbero potuto richiamare, nei peggiori dei casi, solo qualche essere per pochi minuti o deboli. Peggiore. Forse, per l’umanità, sarebbe meglio dire nel migliore dei casi. Sì, è meglio. Nel migliore dei casi sarebbero apparsi esseri deboli o minori, creature che i vostri “eroi” o “divinità” avrebbero potuto eliminare, magari con molte perdite. Nel peggiore dei casi, beh, in quel caso fuggirei il più velocemente possibile. Almeno avrei un’illusione di speranza.
Cosa? Perché non bruciarlo? Infondo era solo pelle umana ciò che lo componeva al posto della carta.
Potere, è la risposta. Quel potere oscuro, che proveniva dalle blasfeme eresie intrinseche nella vita stessa di coloro che erano descritti, lo rendeva indistruttibile.
Che autore crudele, porta un altro a scrivere, al posto suo, un abominio e poi lo uccide senza pietà.
Se ciò fosse vero esiste un modo per spezzare questo legame? Un modo per fuggire? ...Non credo.
Il suo autolesionismo masochistico, le sue risate sguaiate simili a un cane ancora vivo a cui veniva strappata la pelle e il suo sguardo, a tratti disturbante, cozzavano completamente il suo aspetto assai gradevole dal punto di vista fisico e sessuale.
I suoi discorsi, che spesso cercava di intrattenere con i suoi colleghi, sfociavano sempre in un punto di vista di nichilismo e inutilità. Non sapevano come fosse nata questa idea, ma lui era stato generato con un costante pensiero che lo avevano portato, pian piano a un profondo stato di disturbo mentale rappresentato dalla convinzione che il mondo, tutte le realtà, fossero solo e parole scritte sul foglio di carta di un sadico scrittore che voleva divertire il suo pubblico con le sofferenze altrui. Uno scrittore che in un malato intrattenimento condiviso dal resto della sua razza si faceva dio creatore e distruttore. Non era raro che si rivolgesse a questo << Scrittore Maledetto.>>, << Demonio da scrivania.>>, << Demone al centro dell’universo.>> e alla sua << Platea di dannati.>> come per lui era ormai usanza chiamarli. Più disturbante era che si comportava, alle volte, come se ricevesse risposta da loro. Come se avessero un dialogo che solo lui riusciva ad udire. Un dialogo che terminava sempre con le sue risate tra le lacrime. << Pupazzi nelle loro mani. Ecco cosa siamo, siamo tenuti dai loro fili e nemmeno la morte ci libererà, perché la Morte stessa, come noi, è loro marionetta e trastullo.>> Puro e semplice disturbo mentale se lo chiedete a me.
La sua discutibile abitudine era di rivolgersi, quando questi era ancora in vita, ad un arabo dello Yemen altrettanto problematico, ma assai più famoso. Le vostre orecchie avranno spesso avuto l’onore, o onere, di sentire il nome di Abdul Alhazred. L’Arabo Pazzo. Scrittore del libro eretico conosciuto come Necronomicon, o se preferite Al Azif, scritto dopo aver appreso conoscenze oscure da un popolo della “Città dalle Mille Colonne”, Iram dhāt al-ʿImād. L’arabo, ormai avanti con gli anni, poteva essere definito un giovane “ragazzo”, in confronto alla sua millenaria età, eppure i due si intendevano, nella loro pazzia, alla perfezione.
Ad ogni loro incontro nuove pagine si aggiungevano a quel libro, nuove pagine contenenti termini che lo stesso non riusciva a ricordare dove avesse sentito, come se gli fossero sussurrate alle orecchie da spiriti maligni. O da divinità maligne.
Col tempo, eppure, qualcosa iniziava a cambiare. Abdul era sempre più terrorizzato da ciò che stava apprendendo e scrivendo nella sua vecchiaia, come se avesse dei ripensamenti, come se stesse comprendendo che ciò che stavano facendo era sbagliato. Asseriva che qualcuno ormai gli stava apparendo in sogno, qualcuno di più potente del suo “amico”, la voce gli moriva in gola quasi ogni volta che tentava di dirne il nome. Anche scriverne sulle pagine era difficile, la piuma d’oca tremava, il sangue usato come inchiostro aveva il tempo di indurirsi e il suo compagno di sventura non era d’aiuto. Per quest'ultimo avere paura di un essere che non fosse il fantomatico autore era inutile, anche lui era un giocattolo da rompere. Come lui. Come Abdul Alhazred.
Abdul era stato un compagno di giochi divertente, era durato un sacco, allo scrittore e ai suoi lettori doveva piacere molto, ma ora i fili si stavano rompendo? No, non era quello. Stava facendo a pezzi il muro che divideva le realtà. Stava per vedere l’autore. Stava per vederlo, ne era sicuro. I fili si stavano per strappare. Stava per essere libero. Gli mancava poco, bastava che rivedesse quella creatura del sogno.
Ma una marionetta senza fili non si muove più, diventa un pupazzo inutile, un pezzo di legno che viene dato nelle mani di un bambino per il puro gusto di distruggerlo.
Il punto di non ritorno fu raggiunto nel 738 a Damasco. Uscì in un mercato per comprare il cibo che gli serviva a sostentarsi e alcune bestie da sacrificare alle divinità che venerava da quando aveva abbandonato l’islamismo, nulla che fosse diverso dalla sua quotidianità. Ibn Khallikan, magistrato iracheno, scrisse in una lettera perduta che “venne preso in pieno giorno da una creatura invisibile e smembrato dinanzi a numerose persone in preda al terrore”.
Ciò che non disse furono le sue ultime parole “Aya!Aya! Aramath Gareshi ert sarata asdha, Arata Narada muat fatar et Yuart Liwert”, tutti coloro che lo avevano sentito le avevano solamente scambiati per gemiti di dolore. Se solo avessero avuto la sapienza del morto, avrebbero saputo le parole che disse avevano un significato ben preciso nella lingua del suo compagno di sventura. “ Lì! Lì! L’Uomo Nero cammina tra di noi, il Signore del Caos sussurra il Distico Inesplicabile.” Se avessero fatto attenzione, avrebbero notato un uomo che non era restato lì ad osservare la macabra scena, ma si allontanava con un sorriso sulla bocca simile a quello di un bambino. La sua carnagione scura non colpiva molto, era comune in quella zona nonostante la tonalità, solo gli occhi brillavano di una certa malignità ambigua quasi avesse un piccolo senso di rimorso lì dentro.
Quindi era questo che lo scrittore voleva? Era questo che i lettori volevano? Che i personaggi continuassero sul loro palcoscenico come bravi attori? Che le marionette continuassero a essere legati ai loro fili? Aveva diretto un qualcuno a compiere quell’azione? La visione del suo amico ridotto in un ammasso di arti strappati, come rami dal loro tronco, quel sangue a terra che scorreva come fosse un fiumiciattolo che fluiva in una pozzanghera che sporcava i sandali dei passanti… era una visione così… così… spassosa.
Era divertente vedere quella gente che fuggiva via accalcandosi, probabilmente qualcuno sarebbe inciampato e sarebbe morto calpestato. Non poteva fare a meno di pensarci.
Dopo quell’avvenimento nessuno sentì più vociare venire da Iram dhāt al-ʿImād, nessuno uscì più e in pochi anni ciò che ne rimase furono solo rovine depredate da qualche sciacallo e tombarolo. Prima di terminare la loro carriera di solito, avevano tre scelte: impazzire, suicidarsi e… non tornare proprio.
Quei pochi che tornavano parlavano di mostri e morti che sussurravano alle loro orecchie “consigli” e richieste. Un esploratore occidentale che era descritto dagli abitanti dei paesi vicini come “qualcuno difficile da descrivere completamente, non si comprendeva immediatamente se fosse un uomo o una donna e anche a lungo andare i suoi gesti e la sua parlata lo lasciavano in un’ombra di ambiguità, i suoi occhi erano paragonabili a quelle pietre verdi che ogni tanto uscivano fuori scavando nelle miniere di rubini, aveva un linguaggio forbito tipico dei sapienti, ma ciò che era più facile da ricordare era la sua capigliatura argentea”, era forse uno dei pochi che avevano mantenuto la propria sanità mentale. Purtroppo il suo viaggio lì dentro era stato inutile, ciò che cercava era già stato sottratto e consegnato a un nuovo proprietario. Diverse copie erano state distribuite e distrutte nel corso dei secoli e finte in mano a diversi scienziati e occultisti dello stampo di Alyster Crowley. Nessuna di quelle era, però, completa, molte erano piene di errori grammaticali o di traduzione, i riti evocatori avrebbero potuto richiamare, nei peggiori dei casi, solo qualche essere per pochi minuti o deboli. Peggiore. Forse, per l’umanità, sarebbe meglio dire nel migliore dei casi. Sì, è meglio. Nel migliore dei casi sarebbero apparsi esseri deboli o minori, creature che i vostri “eroi” o “divinità” avrebbero potuto eliminare, magari con molte perdite. Nel peggiore dei casi, beh, in quel caso fuggirei il più velocemente possibile. Almeno avrei un’illusione di speranza.
Cosa? Perché non bruciarlo? Infondo era solo pelle umana ciò che lo componeva al posto della carta.
Potere, è la risposta. Quel potere oscuro, che proveniva dalle blasfeme eresie intrinseche nella vita stessa di coloro che erano descritti, lo rendeva indistruttibile.
Che autore crudele, porta un altro a scrivere, al posto suo, un abominio e poi lo uccide senza pietà.
Se ciò fosse vero esiste un modo per spezzare questo legame? Un modo per fuggire? ...Non credo.
La prova di Androktasiai
In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore,
produce molto frutto.
[Vangelo secondo Giovanni]
Morte guardò dal basso in alto sua figlia, forse avrebbe dovuto piazzare il trono su un’area rialzata, la cosa cominciava a farsi scomoda per il suo povero collo.
<< Androktasiai, se non erro, tu non hai mai raccolto un’anima giusto?>>
<< No, papà. Come mai questa domanda?>>
Ci aveva riflettuto molto su quella situazione, aveva fatto molte ipotesi su cosa fare e dire, aveva chiesto consiglio persino ad Oniro, maggiore dei suoi figli, per sapere se non fosse troppo presto. Era stato un vero e proprio travaglio interiore, raggiunse il punto di fare la scelta su un pianeta desertico per evitare che le sue emozioni polverizzassero e uccidessero qualcosa o qualcuno, ma doveva farlo. Via il dente, via il dolore.
Si fa per dire.
Se ve lo state chiedendo, la risposta è sì. Il pianeta è stato involontariamente polverizzato, ma gli restavano pochi secoli di vita.
Prese dal tavolino accanto al trono un plico di fogli scritti a macchina, un mezzo ormai in disuso persino tra gli angeli, e glielo porse gentilmente tra le mani.
<< Tu sai cos’è il Libro dell’Assoluto?>>
<< Se non sbaglio è il nuovo volume su cui stai lavorando. Un volume benedetto che raccoglierà tutti i testi più importanti come chi deve morire, dove si trovano le anime, in pratica renderà obsoleti tutti volumi precedenti.>>
Esatto, tutti i volumi citati nei racconti precedenti, presto saranno inutili. Quasi tutti, anzi. Meglio specificarlo, altrimenti poi qualcuno se ne uscirà con lamentele sulla storia. Per ci sono già molte cose per cui lamentarsi.
<< Quelli saranno i primi nomi di coloro la cui anima sarà cancellata dalla lista del futuro libro. Congratulazioni, a te l’onore di falciare.>> La sua voce era come sempre, fredda, glaciale, che non dava l’impressione di non esserne felice o orgoglioso. Orgoglioso lo era, orgoglioso dei suoi figli. Meno che sua figlia dovesse passare quella prova esistenziale. Falciare un’anima è un attimo. Il brutto arriva dopo. Eppure era felice della possibilità ricevuta, suo padre aveva fiducia in lei.
I suoi fratelli avevano ricevuto un lavoro ormai da millenni, lei invece si limitava a studiare volumi su volumi sotto la guida di un angelo precettore. Persino Cheshire aveva ricevuto spesso compiti di primo livello da Tempo. Finalmente anche lei avrebbe mostrato di che pasta era fatta.
Fissò i pezzi di carta prima di chiederlo. In effetti c’era qualcosa che non le tornava.
<< Gli angeli non ne hanno bisogno in quanto i loro corpi sono tua creazione, ma io ho bisogno di qualcosa per lavorare.>>
Un sorriso soddisfatto apparve sul volto pallido del giovane genitore. Aspettava che glielo chiedesse, significava che poteva darle il suo regalo, almeno quello era una cosa bella in quella giornata che sarebbe decisamente peggiorata.
Schioccò le dita e, dal portone di legno aperto, entrò Sahaquiel che portava in mano una lunga asta avvolta da un telo. Era stato lui stesso, insieme ad Armisael, ad aver consigliato al suo dio che forma darle, i due aveva spulciato ogni libro di armi della biblioteca. Almeno quelli che erano riusciti a trovare in sei mesi di ricerca. Da qualche parte è ancora dispersa la loro guida. Attualmente ci sono delle ricerche in corso.
La porse alla ragazza, che mise le pagine sotto il braccio, per vederla. La sua Rappresentante. La sua Rappresentante personale. Lunga, metallica, dall’affilata lama e con un lunga punta in una lega mista di oricalco e ossa di bestie millenarie. Era un alabarda-Partigiana tipica del XVII secolo. Questo significava che era considerata una dea a tutti gli effetti, non più solo un’aspirante.
<< Si chiama Alabarda di Xipe-Totec.>>
<< Xipe-Totec? Non vuol dire “Nostro Signore lo Scorticato”?>>
<< Non ho avuto tempo di pensare a un nome migliore.>> In realtà ci aveva pensato un sacco, ma non era mai stato bravo con i nomi. Quelli degli angeli e dei figli li aveva rubai ai libri di religione che aveva letto.
<< Alabarda di Veles.>>
<< Dopotutto è roba tua, il nome lo decidi tu. Ora vai, hai un compito da svolgere.>> Ci era rimasto un po’ male.
Provò subito l’arma fendendo il tessuto della realtà creando un varco per il primo dei suoi obiettivi. Il suo sorriso emozionato illuminò tutta la stanza, nemmeno il tempo di dire qualcosa, ci saltò dentro scomparendo nel nulla e lasciando i due uomini da soli.
<< Con tutto il rispetto, Morte. Hai fatto una stronzata pazzesca.>> Commentò Sahaquiel critico.
<< Dillo all’ideatore della prova.>>
<< E chi sarebbe? Gli dirò due paroline.>>
<< Gabriel.>>
<< …Facciamo che non ho detto nulla, ok?>> Coraggioso sì, ma scemo no. Gabriel era dolce, amabile e tutto il resto, ma preferivano non tirare troppo la corda. Sopratutto Morte. Era come se una madre si infuriasse. E ciò si estendeva anche ai figli. Se mettete tutti i pezzi insieme vi troverete questo rapporto: Tempo padre, Gabriel madre, Morte figlio. Piuttosto agghiacciante. Gabriel con il rossetto è qualcosa di spaventoso.
Torniamo ad Androktasiai, che è meglio. E smettete di immaginarvi yaoi tra Tempo e Gabriel. Gabriel e Mikhael, Gabriel e Raphael, anche Gabriel e Tabris al limite, ma non Tempo e Gabriel!
La ragazza stata camminando nel sentiero tra i Mondi, era dura essere ancora un Apostolo. Non potevi teletrasportarti, non potevi avere un pianeta tutto tuo, non potevi mandare a quel paesi gli Dei Minori che tentavano di rimorchiarti. Almeno aveva tutto il tempo di leggere con attenzione i documenti. Non erano nulla di speciale. Alcuni vecchi, malati, guerre. Sperava in qualcosa di speciale. Beh, sarebbe stata accontentata. Ogni nome della lista fu cancellato senza fretta, un colpo di alabarda e via, verso il prossimo. Non era difficile come lo facevano sembrare.
L’importante è crederci.
L'ultimo nome su quei fogli sarebbe stato il più difficile da cancellare. A prima vista non sembrava ci fosse nulla di strano, era un anziano paziente di un ospedale. Novantacinque anni, aveva vissuto piuttosto a lungo, sposato da settanta e non aveva mai tradito una volta. Carattere pacato, pagava le tasse, sempre tollerante, in pratica un perfetto candidato per un fiore davvero rigoglioso. Il suo viso era scavato, i capelli erano quasi del tutto caduti e tutte quella macchine, poi. Non riusciva a mangiare, respirare o andare al bagno da solo, falciarlo sarebbe stato solo un bene. Accanto a lui una donna di un paio di anni più giovane, doveva essere sua moglie. Lei avrebbe vissuto ancora chissà quando, non poteva saperlo. Si avvicinò al letto, non poteva vederla, era su un altro piano di esistenza. Era come un fantasma, poteva interagire con le cose, ma non le persone. Con gli altri infatti era andata così. Mietuti senza dire una parola, senza che se ne accorgessero. Facile.
<< Oh, buongiorno, signorina.>> L’uomo, un secondo uomo identico a quello sdraiato, le sorrise facendole un cenno di saluto. Seduto sul letto aveva lo stesso stato di salute debilitato del suo alter ego. Era un separazione tra corpo e anima. Aveva letto qualcosa in un libro. Significava che la morte era già sopraggiunta, ma qualcosa costringeva il corpo a sopravvivere senza che ne avesse più diritto.
<< Oh salve.>> Educazione prima di tutto. Si guardò a destra e a manca. A questo non era preparata. << Lei è, come si dice, non vorrei ferirla, ma...>>
<< Sono morto.>>
<< Sì, grazie. Mi ha reso la cosa più semplice.>>
<< Non credevo che la Morte fosse una ragazza, l’altro giorno avevo visto un uomo incappucciato.>>
<< Tecnicamente la Morte è mio padre. Io sono… diciamo la sua apprendista. Lavoro per succedergli un giorno. Piuttosto, è la prima volta che vedo un'anima come lei. Oggi per l'esattezza, è ancora il mio primo giorno di lavoro.>>
Un’istante solo. Aveva detto che aveva già incontrato suo padre? Perché non ha falciato la sua anima invece di lasciarla lì? Forse non era ancora apparso il nome sulla sua “lista”? O stava ancora lavorando al libro e non aveva fatto in tempo? No, avrebbe potuto chiedere ad un angelo. Sarebbe stato tutto più veloce. Allora perché…?
<< Non sono proprio pronto a morire.>> Commentò ridendo. Spostò poi i suoi occhi verso la moglie seduta accanto a lui a vegliare. << Non sono pronto lasciarla sola.>>
Androktasiai si grattò la chioma bianca, lasciare un’anima separata dal corpo troppo a lungo sarebbe stato un problema grave. L’anima dei mortali è fragile, è come fumo, se rimane troppo a lungo comincia a disperdersi e a scomparire. Nel migliore dei casi. Per quanto fosse decisa le era un po’ difficile raccogliere la sua anima. Gli sembrava di “ucciderlo”. Mise una mano nei pantaloni di jeans alla ricerca di uno strumento che potesse aiutarla. La creazione di dimensioni tascabili era sempre stata una cosa comoda. Lo strumento era un piccolo oggetto simile a un teschietto sul quale si presentava un display verde in ognuno dei due occhi. In quello destro veniva indicato un conto alla rovescia: 00:25:34:90. Significava che le restavano circa venticinque minuti prima che l'anima NON andasse al creatore.
<< Okay.>> Pensò. << Posso farcela. Si tratta solo di spedirlo da papà. Come gli altri.>> Ripeterselo non era d’aiuto. Per nulla. Strinse l’arma con tutta la forza che aveva, ma quando guardò quella luce negli occhi dell'uomo, così pieni d’amore verso la sua compagna, non ce la fece. Per quanto la maggior parte delle divinità disprezzassero la razza umana, lei era stata cresciuta con dei sani principi di rispetto verso gli esseri dotati raziocinio. Non era mai stato permesso nemmeno di uccidere un animale se non per autodifesa o per nutrirsi. Doveva decidersi. Restavano solo venti minuti.
<< Cosa le succede, signorina figlia della Morte?>>
<< Sto cercando un modo per convincerla a venire con me.>>
<< Basta dirlo.>> Rispose mantenendo quel sorriso.
<< N… non capisco.>> Commentò. << Lei ha detto di non essere pronto per lasciarla da sola!>>
<< Ed è così, ma cosa ci posso fare? È il corso della vita umana. >> Iniziò. << Devo dirlo, all’inizio avevo paura della morte. Ma a dirla tutta quando ho l’incrociato il ragazzo col cappuccio ho potuto sentirlo parlare, era così triste. E ora anche, tu, sua figlia, sei uguale. Siete molti tristi. Ma gentili. A vedervi così non posso fare a meno di pensare che la Morte e la sua famiglia siano tutte brave persone.>>
<< Sì… credo che lo siamo.>>
<< Quindi quando arriverà la aspetterò. Posso farlo?>>
<< … Sì.>> Gli porse la mano delicatamente. Una volta che l’uomo la strinse scomparve nel nulla, era stato falciato senza nemmeno usare l’arma.
<< Come è andata?>>
<< Tu lo sapevi, vero? Che era separato dal suo corpo ed era capace di vedere.?>>
Morte rimase fermo a guardarla qualche secondo, poi si alzò dal suo trono e aprì un varco. Con un gesto della mano fece cenno di seguirlo. Decise di avere fiducia nel genitore, nonostante quel giorno si fosse abbassata terribilmente. Il Mondo in cui si trovavano era semplicemente una colossale radura incontaminata, il vento soffiava leggero facendo volare i capelli di lei e i ciuffi visibili di lui. Indicò con la pallida mano il firmamento. << Tasiai, figlia mia, le vedi quelle stelle? Non so quante siano, nessuno lo sa. È impossibile contarle anche per un dio come me. Le anime degli esseri viventi sono ancora di più, alcune brillano poco e si spengono subito, altre brillano per secoli. Altre ancora collassano diventando qualcosa di oscuro. Il compito della Morte e dei suoi angeli non è facile, è orribile, terribile, io lo odio. Non sempre le anime che mietiamo sono destinati a fini felici.>> Si girò verso di lei. << La prima anima che ho mietuto era quella di un bambino, il primo bambino nato nel Secondo Mondo. L’Arcangelo Gabriel mi costrinse a guardare la disperazione dei suoi genitori davanti al suo corpo esanime. E mi disse una cosa: “Come dio e incarnazione della Morte tu causerai spesso queste sofferenze. Sarai odiato e disprezzato. Ti augureranno tutto il male possibile. La tua vita sarà disperazione pura. Perciò vedi di farti tanti amici, di ridere il più possibile con loro, fare i sorrisi più ampi. So che sarà difficile e molti non ci riescono, ma tu prova a trasformare la crudeltà in amore.” Io non avevo scelta, sono stato generato appositamente per mietere. Tu hai una scelta, se lo desidererai potrai essere qualunque cosa tu voglia.>>
<< Io… voglio essere la prossima Morte.>> Commentò, la sua voce però non sembrava sicura. Quasi come se stesse cercando di convincersi da sola. Doveva star attraversando un travaglio interiore terribile. È molto diverso leggere e immaginare dal realizzare un qualcosa.
<< …Capisco.>>
<< Una sola domanda, papà. I consigli di Gabriel… hanno funzionato?>>
Morte attese a lungo prima di rispondere. << Diciamo che riesco a svegliarmi al mattino.>>
produce molto frutto.
[Vangelo secondo Giovanni]
Morte guardò dal basso in alto sua figlia, forse avrebbe dovuto piazzare il trono su un’area rialzata, la cosa cominciava a farsi scomoda per il suo povero collo.
<< Androktasiai, se non erro, tu non hai mai raccolto un’anima giusto?>>
<< No, papà. Come mai questa domanda?>>
Ci aveva riflettuto molto su quella situazione, aveva fatto molte ipotesi su cosa fare e dire, aveva chiesto consiglio persino ad Oniro, maggiore dei suoi figli, per sapere se non fosse troppo presto. Era stato un vero e proprio travaglio interiore, raggiunse il punto di fare la scelta su un pianeta desertico per evitare che le sue emozioni polverizzassero e uccidessero qualcosa o qualcuno, ma doveva farlo. Via il dente, via il dolore.
Si fa per dire.
Se ve lo state chiedendo, la risposta è sì. Il pianeta è stato involontariamente polverizzato, ma gli restavano pochi secoli di vita.
Prese dal tavolino accanto al trono un plico di fogli scritti a macchina, un mezzo ormai in disuso persino tra gli angeli, e glielo porse gentilmente tra le mani.
<< Tu sai cos’è il Libro dell’Assoluto?>>
<< Se non sbaglio è il nuovo volume su cui stai lavorando. Un volume benedetto che raccoglierà tutti i testi più importanti come chi deve morire, dove si trovano le anime, in pratica renderà obsoleti tutti volumi precedenti.>>
Esatto, tutti i volumi citati nei racconti precedenti, presto saranno inutili. Quasi tutti, anzi. Meglio specificarlo, altrimenti poi qualcuno se ne uscirà con lamentele sulla storia. Per ci sono già molte cose per cui lamentarsi.
<< Quelli saranno i primi nomi di coloro la cui anima sarà cancellata dalla lista del futuro libro. Congratulazioni, a te l’onore di falciare.>> La sua voce era come sempre, fredda, glaciale, che non dava l’impressione di non esserne felice o orgoglioso. Orgoglioso lo era, orgoglioso dei suoi figli. Meno che sua figlia dovesse passare quella prova esistenziale. Falciare un’anima è un attimo. Il brutto arriva dopo. Eppure era felice della possibilità ricevuta, suo padre aveva fiducia in lei.
I suoi fratelli avevano ricevuto un lavoro ormai da millenni, lei invece si limitava a studiare volumi su volumi sotto la guida di un angelo precettore. Persino Cheshire aveva ricevuto spesso compiti di primo livello da Tempo. Finalmente anche lei avrebbe mostrato di che pasta era fatta.
Fissò i pezzi di carta prima di chiederlo. In effetti c’era qualcosa che non le tornava.
<< Gli angeli non ne hanno bisogno in quanto i loro corpi sono tua creazione, ma io ho bisogno di qualcosa per lavorare.>>
Un sorriso soddisfatto apparve sul volto pallido del giovane genitore. Aspettava che glielo chiedesse, significava che poteva darle il suo regalo, almeno quello era una cosa bella in quella giornata che sarebbe decisamente peggiorata.
Schioccò le dita e, dal portone di legno aperto, entrò Sahaquiel che portava in mano una lunga asta avvolta da un telo. Era stato lui stesso, insieme ad Armisael, ad aver consigliato al suo dio che forma darle, i due aveva spulciato ogni libro di armi della biblioteca. Almeno quelli che erano riusciti a trovare in sei mesi di ricerca. Da qualche parte è ancora dispersa la loro guida. Attualmente ci sono delle ricerche in corso.
La porse alla ragazza, che mise le pagine sotto il braccio, per vederla. La sua Rappresentante. La sua Rappresentante personale. Lunga, metallica, dall’affilata lama e con un lunga punta in una lega mista di oricalco e ossa di bestie millenarie. Era un alabarda-Partigiana tipica del XVII secolo. Questo significava che era considerata una dea a tutti gli effetti, non più solo un’aspirante.
<< Si chiama Alabarda di Xipe-Totec.>>
<< Xipe-Totec? Non vuol dire “Nostro Signore lo Scorticato”?>>
<< Non ho avuto tempo di pensare a un nome migliore.>> In realtà ci aveva pensato un sacco, ma non era mai stato bravo con i nomi. Quelli degli angeli e dei figli li aveva rubai ai libri di religione che aveva letto.
<< Alabarda di Veles.>>
<< Dopotutto è roba tua, il nome lo decidi tu. Ora vai, hai un compito da svolgere.>> Ci era rimasto un po’ male.
Provò subito l’arma fendendo il tessuto della realtà creando un varco per il primo dei suoi obiettivi. Il suo sorriso emozionato illuminò tutta la stanza, nemmeno il tempo di dire qualcosa, ci saltò dentro scomparendo nel nulla e lasciando i due uomini da soli.
<< Con tutto il rispetto, Morte. Hai fatto una stronzata pazzesca.>> Commentò Sahaquiel critico.
<< Dillo all’ideatore della prova.>>
<< E chi sarebbe? Gli dirò due paroline.>>
<< Gabriel.>>
<< …Facciamo che non ho detto nulla, ok?>> Coraggioso sì, ma scemo no. Gabriel era dolce, amabile e tutto il resto, ma preferivano non tirare troppo la corda. Sopratutto Morte. Era come se una madre si infuriasse. E ciò si estendeva anche ai figli. Se mettete tutti i pezzi insieme vi troverete questo rapporto: Tempo padre, Gabriel madre, Morte figlio. Piuttosto agghiacciante. Gabriel con il rossetto è qualcosa di spaventoso.
Torniamo ad Androktasiai, che è meglio. E smettete di immaginarvi yaoi tra Tempo e Gabriel. Gabriel e Mikhael, Gabriel e Raphael, anche Gabriel e Tabris al limite, ma non Tempo e Gabriel!
La ragazza stata camminando nel sentiero tra i Mondi, era dura essere ancora un Apostolo. Non potevi teletrasportarti, non potevi avere un pianeta tutto tuo, non potevi mandare a quel paesi gli Dei Minori che tentavano di rimorchiarti. Almeno aveva tutto il tempo di leggere con attenzione i documenti. Non erano nulla di speciale. Alcuni vecchi, malati, guerre. Sperava in qualcosa di speciale. Beh, sarebbe stata accontentata. Ogni nome della lista fu cancellato senza fretta, un colpo di alabarda e via, verso il prossimo. Non era difficile come lo facevano sembrare.
L’importante è crederci.
L'ultimo nome su quei fogli sarebbe stato il più difficile da cancellare. A prima vista non sembrava ci fosse nulla di strano, era un anziano paziente di un ospedale. Novantacinque anni, aveva vissuto piuttosto a lungo, sposato da settanta e non aveva mai tradito una volta. Carattere pacato, pagava le tasse, sempre tollerante, in pratica un perfetto candidato per un fiore davvero rigoglioso. Il suo viso era scavato, i capelli erano quasi del tutto caduti e tutte quella macchine, poi. Non riusciva a mangiare, respirare o andare al bagno da solo, falciarlo sarebbe stato solo un bene. Accanto a lui una donna di un paio di anni più giovane, doveva essere sua moglie. Lei avrebbe vissuto ancora chissà quando, non poteva saperlo. Si avvicinò al letto, non poteva vederla, era su un altro piano di esistenza. Era come un fantasma, poteva interagire con le cose, ma non le persone. Con gli altri infatti era andata così. Mietuti senza dire una parola, senza che se ne accorgessero. Facile.
<< Oh, buongiorno, signorina.>> L’uomo, un secondo uomo identico a quello sdraiato, le sorrise facendole un cenno di saluto. Seduto sul letto aveva lo stesso stato di salute debilitato del suo alter ego. Era un separazione tra corpo e anima. Aveva letto qualcosa in un libro. Significava che la morte era già sopraggiunta, ma qualcosa costringeva il corpo a sopravvivere senza che ne avesse più diritto.
<< Oh salve.>> Educazione prima di tutto. Si guardò a destra e a manca. A questo non era preparata. << Lei è, come si dice, non vorrei ferirla, ma...>>
<< Sono morto.>>
<< Sì, grazie. Mi ha reso la cosa più semplice.>>
<< Non credevo che la Morte fosse una ragazza, l’altro giorno avevo visto un uomo incappucciato.>>
<< Tecnicamente la Morte è mio padre. Io sono… diciamo la sua apprendista. Lavoro per succedergli un giorno. Piuttosto, è la prima volta che vedo un'anima come lei. Oggi per l'esattezza, è ancora il mio primo giorno di lavoro.>>
Un’istante solo. Aveva detto che aveva già incontrato suo padre? Perché non ha falciato la sua anima invece di lasciarla lì? Forse non era ancora apparso il nome sulla sua “lista”? O stava ancora lavorando al libro e non aveva fatto in tempo? No, avrebbe potuto chiedere ad un angelo. Sarebbe stato tutto più veloce. Allora perché…?
<< Non sono proprio pronto a morire.>> Commentò ridendo. Spostò poi i suoi occhi verso la moglie seduta accanto a lui a vegliare. << Non sono pronto lasciarla sola.>>
Androktasiai si grattò la chioma bianca, lasciare un’anima separata dal corpo troppo a lungo sarebbe stato un problema grave. L’anima dei mortali è fragile, è come fumo, se rimane troppo a lungo comincia a disperdersi e a scomparire. Nel migliore dei casi. Per quanto fosse decisa le era un po’ difficile raccogliere la sua anima. Gli sembrava di “ucciderlo”. Mise una mano nei pantaloni di jeans alla ricerca di uno strumento che potesse aiutarla. La creazione di dimensioni tascabili era sempre stata una cosa comoda. Lo strumento era un piccolo oggetto simile a un teschietto sul quale si presentava un display verde in ognuno dei due occhi. In quello destro veniva indicato un conto alla rovescia: 00:25:34:90. Significava che le restavano circa venticinque minuti prima che l'anima NON andasse al creatore.
<< Okay.>> Pensò. << Posso farcela. Si tratta solo di spedirlo da papà. Come gli altri.>> Ripeterselo non era d’aiuto. Per nulla. Strinse l’arma con tutta la forza che aveva, ma quando guardò quella luce negli occhi dell'uomo, così pieni d’amore verso la sua compagna, non ce la fece. Per quanto la maggior parte delle divinità disprezzassero la razza umana, lei era stata cresciuta con dei sani principi di rispetto verso gli esseri dotati raziocinio. Non era mai stato permesso nemmeno di uccidere un animale se non per autodifesa o per nutrirsi. Doveva decidersi. Restavano solo venti minuti.
<< Cosa le succede, signorina figlia della Morte?>>
<< Sto cercando un modo per convincerla a venire con me.>>
<< Basta dirlo.>> Rispose mantenendo quel sorriso.
<< N… non capisco.>> Commentò. << Lei ha detto di non essere pronto per lasciarla da sola!>>
<< Ed è così, ma cosa ci posso fare? È il corso della vita umana. >> Iniziò. << Devo dirlo, all’inizio avevo paura della morte. Ma a dirla tutta quando ho l’incrociato il ragazzo col cappuccio ho potuto sentirlo parlare, era così triste. E ora anche, tu, sua figlia, sei uguale. Siete molti tristi. Ma gentili. A vedervi così non posso fare a meno di pensare che la Morte e la sua famiglia siano tutte brave persone.>>
<< Sì… credo che lo siamo.>>
<< Quindi quando arriverà la aspetterò. Posso farlo?>>
<< … Sì.>> Gli porse la mano delicatamente. Una volta che l’uomo la strinse scomparve nel nulla, era stato falciato senza nemmeno usare l’arma.
<< Come è andata?>>
<< Tu lo sapevi, vero? Che era separato dal suo corpo ed era capace di vedere.?>>
Morte rimase fermo a guardarla qualche secondo, poi si alzò dal suo trono e aprì un varco. Con un gesto della mano fece cenno di seguirlo. Decise di avere fiducia nel genitore, nonostante quel giorno si fosse abbassata terribilmente. Il Mondo in cui si trovavano era semplicemente una colossale radura incontaminata, il vento soffiava leggero facendo volare i capelli di lei e i ciuffi visibili di lui. Indicò con la pallida mano il firmamento. << Tasiai, figlia mia, le vedi quelle stelle? Non so quante siano, nessuno lo sa. È impossibile contarle anche per un dio come me. Le anime degli esseri viventi sono ancora di più, alcune brillano poco e si spengono subito, altre brillano per secoli. Altre ancora collassano diventando qualcosa di oscuro. Il compito della Morte e dei suoi angeli non è facile, è orribile, terribile, io lo odio. Non sempre le anime che mietiamo sono destinati a fini felici.>> Si girò verso di lei. << La prima anima che ho mietuto era quella di un bambino, il primo bambino nato nel Secondo Mondo. L’Arcangelo Gabriel mi costrinse a guardare la disperazione dei suoi genitori davanti al suo corpo esanime. E mi disse una cosa: “Come dio e incarnazione della Morte tu causerai spesso queste sofferenze. Sarai odiato e disprezzato. Ti augureranno tutto il male possibile. La tua vita sarà disperazione pura. Perciò vedi di farti tanti amici, di ridere il più possibile con loro, fare i sorrisi più ampi. So che sarà difficile e molti non ci riescono, ma tu prova a trasformare la crudeltà in amore.” Io non avevo scelta, sono stato generato appositamente per mietere. Tu hai una scelta, se lo desidererai potrai essere qualunque cosa tu voglia.>>
<< Io… voglio essere la prossima Morte.>> Commentò, la sua voce però non sembrava sicura. Quasi come se stesse cercando di convincersi da sola. Doveva star attraversando un travaglio interiore terribile. È molto diverso leggere e immaginare dal realizzare un qualcosa.
<< …Capisco.>>
<< Una sola domanda, papà. I consigli di Gabriel… hanno funzionato?>>
Morte attese a lungo prima di rispondere. << Diciamo che riesco a svegliarmi al mattino.>>